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Niente più manifestazioni davanti ai luoghi di culto. Lo ha deciso il ministro dell’Interno Roberto Maroni sulla scia delle polemiche seguite alla preghiera islamica in piazza Duomo a Milano a conclusione di un’iniziativa di solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza. “Ho preparato una direttiva che verrà inviata a tutti i prefetti affinché fatti come quelli avvenuti davanti al Duomo di Milano non abbiano a ripetersi”, ha chiarito il responsabile del Viminale rispondendo ad un’interrogazione al question time alla Camera.
Il ministro ha poi ribadito che l’obiettivo è quello di “meglio regolare le manifestazioni, garantendo il diritto di manifestare e allo stesso tempo il diritto dei cittadini a fruire pacificamente degli spazi della propria città”. E quanto agli incidenti che si sono verificati con alcuni esponenti dei centri sociali - “gruppi isolati vicini alle frange anarchico-insurrezionalisti che tentano ancora di strumentalizzare momenti di aggregazione per recuperare visibilità” - Maroni ha sottolineato che la “responsabilità d’intervenire spetta all’autorità giudiziaria”. “Le forze dell’ordine - ha sostenuto - garantiscono il diritto di manifestare, sempre nel rispetto della legalità”.
La direttiva, tuttavia, secondo le agenzie di stampa, non si ferma qui. Imporrebbe o consentirebbe d’imporre a carico degli organizzatori il deposito di una somma per risarcire eventuali danni causati nel corso delle manifestazioni.
Ora, il primo punto solleva gravi problemi: tutte le “piazze di chiesa” italiane saranno precluse alle manifestazioni? Non è un limite previsto dalla Costituzione. Pensate a Piazza del Duomo a Milano, luogo storico delle grandi manifestazioni milanesi. Dovremmo scordarcele? Ma - si può obiettare - non è neppure un vero e proprio divieto, non lede la libertà di riunione in luogo pubblico; a ben vedere, impone soltanto una variazione di percorso, che già oggi è praticata per ragioni varie, non ultima la circolazione stradale, anch’essa oggetto di una libertà costituzionale. Ma allora, se è così, non si deve prefissare un divieto generale. Si deve valutare e decidere caso per caso. Nè vale, in senso contrario, il fatto che l’iniziativa del ministro dell’Interno sia stata accolta positivamente dal presidente dell’istituto islamico milanese di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, che, fra l’altro, dopo la manifestazione del 3 gennaio in Piazza Duomo, Shaari, insieme al presidente della Casa della Cultura islamica, Asfa Mahmoud, si è recato all’Arcivescovado per scusarsi. Non è sulle posizioni di questi pur autorevoli esponenti dell’islamismo in Italia che si può misurare l’ampiezza della nostra libertà. Sia, però, consentito, incidentalmente, osservare che la preghiera, in qualunque luogo avvenga, è sempre espressione di sentimento religioso e, dunque, mai riprovevole o irriguardosa.
Suscita invece allarme rosso, la storia della cauzione. Una previsione di questo contenuto costituisce una palese violazione del dettato costituzionale. L’art. 17 della Costituzione, infatti, pone come limite alla libertà di riunione soltanto ch’essa si svolga “pacificamente e senza armi“. E ben se ne comprende la ragione. Le riunioni e le manifestazioni sono finalizzate al confronto democratico. Ergo, anche quando sono severamente critiche o esprimono una protesta, devono favorire la dialettica delle idee, mai quella delle armi, che evidentemente più che al dialogo è volta alla sopraffazione e alla violenza. Le riunioni in luogo di pubblico transito (cioé le manifestazioni) sono soggette solo a preavviso e all’unico fine di consentire alle forze dell’ordine di salvaguardare l’esercizio di questa libertà, nel bilanciamento con altre, prima fra tutte la libertà di circolazione. Il divieto può essere disposto “soltanto per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica“. Dunque, per la tutela dell’incolumità delle persone: E ciò conferma, per altro verso, che lo svolgimento dev’essere pacifico e senza armi. Non solo. Ma i motivi che possono giustificare il divieto devono essere “comprovati“. Non basta insomma una sensazione soggettiva del Prefetto o del Questore. Devono esistere fatti, situazioni obiettive che conducano, ragionevolmente, a ritenere che la manifestazione possa degenerare in atti di violenza, tali da mettere in pericolo l’incolumità e la sicurezza delle persone.
Come si vede, non ci sono autorizzazioni e c’è spazio per cauzioni. Questa è una limitazione ulteriore, non prevista e dunque vietata dalla Costituzione. E poi è ben facile immaginare dove può condurre una prescrizione di tal fatta: le manifestazioni potranno essere indette solo dai ricchi e dagli abbienti. E quale l’ammontare della cauzion? Ci sarà un listino prezzi? Ci vorrà una sponsorizzazione? O anche una fidejussione? Come vedete, si cade nel ridicolo. Ma è bene vigilare. Fino a qualche tempo fà nessuno avrebbe mai immaginato a quale deriva saremmo poi arrivati, con leggi elettorali folli, nomine di deputati dall’alto, leggi di stampo razzista o disposizioni che attentano alla laicità dello Stato e via discorrendo. Quindi sulla libertà di manifestazione stiamo in campana. Massima vigilanza.
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