Euroallumina e dintorni: un piano straordinario per il lavoro a partire dalle bonifiche e dalla messa in sicurezza

16 Febbraio 2017
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Fernando Codonesu

Fanghi rossi

Si è riacceso il dibattito sull’Euroallumina a seguito dell’approvazione del progetto Rusal. Oggi la CSS, a partire dalle 10. nella sua sede di via Roma 72 - p. 1° - a Cagliari tiene una conferenza stampa. Ecco un qualificato contributo al dibattito da Fernando Codonesu, esperto e profondo conoscitore della materia.

Certo una riflessione a giochi ormai fatti sul progetto recentemente approvato dall’ultima Conferenza dei Servizi decisoria dell’otto marzo sul progetto di rilancio dello stabilimento sulcitano di Eurallumina, va fatta.
Detto in termini manzoniani, con riferimento voluto alla Regione nel suo complesso, possiamo dire che alla richiesta di autorizzazione del progetto della Rusal “la sciagurata rispose”, con tutto ciò che ne conseguì nel libro del grande lombardo e che ne consegue per la nostra martoriata  regione, cioè per tutti noi.
Bene ha fatto Giacomo Meloni della CSS a rimarcare tutte le criticità del progetto presentato da Eurallumina-Rusal per il suo rilancio produttivo, un progetto basato dal punto di vista energetico sull’uso del carbone e sulla riproposizione della produzione di allumina, con lo stabilimento Alcoa chiuso da anni. Così come altrettanto bene hanno fatto associazioni e gruppi ambientalisti come  Legambiente, il GrIg e numerosi altri che si sono pacatamente e motivatamente opposti all’autorizzazione del  progetto.
Intanto va osservato che venuta meno la presenza di Alcoa nell’area, la ripresa della produzione di Eurallumina, a differenza del periodo di piena attività del polo industriale, vede ora l’operatività di un solo segmento della filiera, anzi di un singolo “punto produttivo” che non costituisce filiera per definizione, che sarà alimentato con materia prima proveniente via nave, così come avverrà via nave l’approvvigionamento del carbone, essendo venuta meno la produzione di carbone nella vicina miniera. Quindi una filiera inesistente e un rilancio produttivo che fa solo gli interessi temporanei della Rusal che a tempo debito (tre anni, forse cinque), dopo aver realizzato la centrale, confezionerà un “pacco” da mettere sul mercato rifilandolo a qualche altro operatore.
E allora riprenderà la trafila per richiedere ancora qualche intervento basato sull’assistenzialismo di industrie decotte e non in grado di stare sul mercato?
Una cosa è la protezione dei lavoratori in aree e periodi di crisi, altro è finanziare attraverso la collettività industrie esogene che nulla hanno a che vedere con le vocazioni territoriali della Sardegna, obsolete in quanto ferme da ben otto anni, inquinanti come ampiamente noto e non in grado di stare sul mercato.
Altro sarebbe stato creare un polo produttivo di riciclo dell’alluminio come suggerito dal GrIG che avrebbe avuto anche il merito di emissioni ridotte del 90% rispetto alla produzione di alluminio da minerale.
Il progetto, in sintesi, prevede la realizzazione di una caldaia di cogenerazione di energia elettrica e vapore, l’adeguamento della raffineria per utilizzare bauxiti tri-idrate come materia prima per la produzione dell’allumina e l’ampliamento del bacino dei fanghi rossi ancora sotto sequestro della magistratura, con investimenti di circa 170 milioni e un impatto occupazionale tra diretti e indotto di circa 500 lavoratori.
Siamo sicuri sia questa la via più efficace per la salvaguardia dell’occupazione e lo sviluppo del già martoriato Sulcis?
A giudicare dalla situazione di grave inquinamento ambientale, come sottolineato efficacemente da Legambiente, la risposta è totalmente negativa: si immette ulteriore inquinamento ambientale che si somma a quello esistente a fronte di profitti certi per un breve periodo per la multinazionale di turno e futuro molto incerto per i lavoratori di cui si vedrà  a breve termine l’esito.
Come in tanti, troppi altri casi, è il coraggio delle scelte che manca e l’epilogo di questa vicenda ne costituisce l’ulteriore riprova.
E’ stato appurato fin dai primi anni ‘90 che l’attività industriale attraverso le emissioni gassose e polverulente, gli scarichi idrici e le discariche di rifiuti ha rappresentato la principale sorgente di rischio per la popolazione residente e per la qualità dell’ambiente, al punto di aver definito un piano di disinquinamento e incluso tutta l’area nella nella perimetrazione del SIN (Sito di interesse nazionale per le bonifiche) ‘Sulcis-Iglesiente-Guspinese’ nell’anno 2003 .
E veniamo ad alcuni dati attuali sull’inquinamento ambientale che dovrebbero essere al centro dell’agenda della Regione, così come del sistema sanitario e di tutta la popolazione non solo del Sulcis, ma dell’intera Sardegna.
L’inquinamento è così diffuso che si fa fatica ad immaginare quante risorse finanziarie dovranno essere trovate per bonificare e ripristinare le zone individuate.
Trascuriamo per il momento i dati dell’inquinamento del suolo della zona industriale di Portovesme, su cui spesso sono intervenute le ordinanze di divieto del consumi di ortaggi, latte, formaggi e altro da parte del sindaco di Portoscuso, e concentriamo l’attenzione sull’inquinamento della falda acquifera. A tale riguardo, in data 27 gennaio 2013 sul quotidiano l’Unione Sarda è stato pubblicato un articolo con i dati di fonte ministeriale riportati nelle due tabelle in calce.
Non risulta che in questi anni si sia proceduto a bonifiche sistematiche dei suoli e della falda perché l’unica attività realmente operativa in capo alle poche aziende produttive dell’area consiste in interventi di “pump and treat”, ovvero niente più di un semplice monitoraggio con piezometri a diverse profondità. Per tale motivo è ragionevole supporre che la situazione non sia affatto migliorata, salvo auspicabile smentita documentata.
Si osserva che sull’inquinamento e sulle aziende alle quali addebitarne i costi e gli oneri continua ad esserci un rimpallo delle responsabilità, ovvero chi ha inquinato, da quando e fin dove: lo Stato prima, Alcoa, Eurallumina e le altre aziende dopo, per cui chi deve pagare? Anche per tali motivi il piano di disinquinamento dopo oltre vent’anni dalla sua prima stesura è ancora fermo al palo: si fa il monitoraggio, ma nessun reale passo avanti concreto verso la messa in sicurezza permanente, la bonifica, il ripristino e il riuso.
Parlare di bonifiche, con i valori su indicati, è pressoché impossibile: se si applicassero rigorosamente le norme bisognerebbe far cessare anche le poche produzioni rimaste in funzione nell’area industriale. Infatti, i valori di inquinamento sono così alti che solo con un periodo di qualche decennio di bonifiche profonde dei suoli è ipotizzabile un’azione di riconversione, riqualificazione, recupero e ripristino dell’area in esame.
E questo, purtroppo, vale anche per numerosi altri siti industriali presenti nell’isola.
Nella nostra isola abbiamo tutti i tipi di inquinamento ambientale di origine industriale, minerario e militare. Anche a partire da qui abbiamo il dovere di delineare idee e progetti sostenibili finalizzati alla proposta di un piano straordinario per il lavoro che dia prospettive di sviluppo e benessere soprattutto ai nostri giovani, senza costringerli ad emigrare per l’inadeguatezza generalizzata delle classi dirigenti, perché senza i giovani la Sardegna sarà definitivamente senza futuro.

Tabelle inquinamento

Inquinante
Dato rilevato [μg]1
Limite di legge per litro [μg]
Arsenico
609
10
Benzo(a)antracene
3,28
0,1
Cadmio
125.000
5
Fluoruri
34.359
1.500
Mercurio
550
1
Piombo
29
10
Selenio
64
10
Policiclici aromatici (IPA)
8,74
0,1
Triclorometano
40,4
0,15
Tab. 1:  Inquinamento falda acquifera superficiale area industriale Portovesme. Fonte: Ministero dell’Ambiente

Inquinante
Dato rilevato [μg]
Limite di legge per litro [μg]
Zinco
3.134.000
3.000
Manganese
312.000
50
Tab. 2: Inquinamento falda acquifera profonda area industriale Portovesme. Fonte: Ministero dell’Ambientenquinamentp

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