Tonino Dessì
Proseguiamo il dibattito sulla legge elettorale regionale con questo articolo di Tonino Dessì, che integra, costituendone, in certo senso, una premessa, quello che segue di Fernando Codonesu.
Credo che per il movimento costituzionalista e statutario democratico, anche in Sardegna, si apra lo spazio per un impegno concreto con un obiettivo determinato.
Tutte le proposte di legge finora presentate in materia elettorale, anche se con articolazioni differenziate, hanno la stessa finalità: congelare la rappresentanza politica sostanziale dentro lo schema bipolare con le lancette dell’orologio fissate al 2013.
Se la proposta analizzata da Pubusa ha almeno il pregio di farlo esplicitamente, in quanto si limita programmaticamente a una razionalizzazione della legge elettorale vigente, le altre, in particolare quelle di matrice PD, lo fanno in modo più mistificatorio, con l’intento aggiuntivo di risolvere piuttosto problemi derivanti dall’implosione notabiliare-correntizia di quel partito.
In questa prospettiva, anche le prossime elezioni darebbero come esito una rappresentanza truccata: nessuno si illuda.
Ho scritto in una precedente nota che la giurisprudenza costituzionale non consente di elaborare forme di governo regionale diverse dall’alternativa tra quella presidenziale con clausola dissolvente e quella parlamentare.
Entrambe, come è scritto nell’articolo 15 dello Statuto novellato dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, devono assicurare “la stabilità”.
Nel meccanismo presidenziale la stabilità non può essere assicurata soltanto dalla clausola dissolvente (simul stabunt, Presidente della Regione e Consiglio regionale, aut simul cadent).
Per evitare la paralisi legislativa, occorre evitare maggioranze assembleari differenti da quella presidenziale: ergo il premio di maggioranza è consustanziale al sistema.
Nella forma assembleare, i meccanismi che possono assicurare maggioranze stabili sono prevalentemente politici (dipendono dalla forza di coesione della maggioranza che elegge il Presidente) e possono essere rafforzati dall’introduzione dell’onere della deliberazione di sfiducia costruttiva in caso di eventuali crisi.
Ora, l’obiettivo democratico è senz’altro, a mio avviso, quello di rendere l’assemblea regionale il più rappresentativa possibile di forze politiche, purché non al di sotto di una certa soglia di rilevanza.
Il sistema proporzionale è il solo che può garantirlo. Potrebbero essere introdotti dei correttivi, come l’onere di conseguire un determinato quorum almeno in una circoscrizione o di ottenere un determinato quorum calcolato sull’intero collegio regionale, ma occorre tener conto che una soglia di materiale alta è già determinata dalla riduzione a sessanta (da ottanta che erano), dei Consiglieri, non incrementabile se non da una legge costituzionale di modifica dello Statuto (non ne tira, però, aria favorevole, per immaginare modifiche statutarie approvate dall’attuale Parlamento italiano).
Tutto si può ipotizzare.
Senz’altro l’attuale stato delle discussioni in sede partitica e istituzionale va contestato in radice, con i suoi premi e i suoi plurisbarramenti.
Ma un chiarimento di fondo sulla forma di governo non può che essere preliminare, quali che ne siano le conclusioni, perché legge elettorale e forma di governo, nelle Regioni, sono indissolubilmente legate tra loro.
1 commento
1 Leggi elettorali | Aladin Pensiero
11 Febbraio 2017 - 10:27
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