Salvatore Lai
Il voto di Dicembre ha rappresentato una straordinaria prova di partecipazione e maturità democratica. Non era scontato: poteva, come reazione dei cittadini a politica e istituzioni delegittimate, prendere la strada dell’astensione. Invece si è espresso in un voto molto ampio e consapevole, in difesa della Costituzione. E non perché non vi fosse la consapevolezza del divario tra “ Carta formale “ e situazione reale e che i principi fondamentali fossero sempre piu’ disattesi e ridimensionati da una politica mediocre e corrotta, ma perchè considerava quello storico patto tra le forze democratiche del dopoguerra, qualcosa che aveva assicurato - certo attraverso dure battaglie dei movimenti operai e progressisti - via via i presupposti di fondo su cui, pace diritti , libertà , emancipazione si sarebbero incarnati e in parte realizzati; e che dare la colpa alla Costituzione non riformata, delle inefficienze e disastri della politica, era veramente troppo. Si è espressa in quella storica consultazione una domanda di partecipazione che mette in discussione una delega in bianco alla politica, e in particolare a quella dell’uomo solo al comando. Si è riversato su quel voto il malessere sociale, le sofferenze delle povertà diffuse, la rabbia per i privilegi, la frustrazione dei giovani senza presente e senza futuro e l’emarginazione delle periferie urbane e del sud d’ Italia. Quel voto pone questioni di fondo che riguardano l’economia, quella finanziaria in primis, il ruolo sempre piu’ subalterno e incapace di risposte di politica ed istituzioni, da quelle europee fino a quelle regionali, la marginalizzazione del lavoro e la politica dello scarto (Francesco). E rimanda a grandi questioni, non marginali, relative all’incapacità dell’attuale modello di sviluppo di risolvere le questioni che esso genera: marginalità del lavoro e suo forte ridimensionamento, contrazione dei diritti del welfare, emarginazione sociale, la mancanza di prospettive dei giovani, i grandi flussi migratori e le periferie del mondo, la questione dei conflitti armati e della pace, lo sviluppo tecnico e scientifico non sempre utilizzato a favore dell’uomo. In Italia e in Sardegna in particolare , le contraddizioni acute del sistema hanno trovato sbocco in un voto democratico in difesa della Costituzione. Ma fino a quando il malessere profondo della società italiana potrà essere incanalato in forme democratiche??? Si pone con urgenza, quindi la grande questione di come andare avanti, di quale sbocco dare, per evitare che quella volontà di resistenza e di cambiamento, rifluisca su se stessa o vada in direzioni non positive. Questo non dipende se non in parte da noi, anche se ognuno deve fare la sua parte: ben altro si deve muovere a livello italiano ed europeo , a partire da una riflessione profonda sulla crisi delle forze e delle istituzioni democratiche, in rapporto all’incapacità di rappresentare i cittadini e di modificare il loro rapporto subalterno rispetto all’economia della finanza e di un mercato senza regole….. come condizioni per costruire un fronte ampio di forze, di movimenti, un progetto di cambiamento di dimensione internazionale, rivitalizzazione e rinascita delle istituzioni democratiche o di nuove formazioni politiche. Ma qualcosa bisogna fare in Sardegna come contributo alla costruzione di un processo piu’ generale di riflessione e proposta, dando continuità al lavoro dei Comitati del No, per la difesa della Costituzione e della concretizzazione dei suoi principi, a favore di un nuovo Statuto sardo che stando dentro l’unità della Repubblica assicuri il massimo di autonomia e di autogoverno, e dell’abolizione dell’attuale legge elettorale regionale. I comitati devono interloquire, cosi’ come è stato durante la campagna referendaria con i diversi movimenti (pacifismo, difesa dell’ambiente e del territorio, energie, contrasto delle povertà e recupero degli emarginati e soprattutto il lavoro e movimenti contro lo spopolamento). Non dimentichiamo che essi hanno difeso con noi la Costituzione. E’ quindi urgente incontrarsi e lavorare con loro perché pongono questioni fondamentali sul modello di sviluppo e di società. Trovarsi, discutere, lavorare per dare vita a un grande Movimento unitario puo’ essere la nuova frontiera dell’impegno. Non si tratta di costruire nuovi partiti, ce ne sono già troppi e delegittimati. Ma di avere un rapporto con quelle formazioni anche politiche (sindacati compresi) che non accettano lo status quo. Ma come diceva Luigi Pintor, nell’articolo “Senza Confini” del Manifesto del 24 Aprile 2003 ” Non è un’organizzazione formale ma una miriade di donne e di uomini di cui non ha importanza la nazionalità , la razza, la fede religiosa, la formazione politica. Individui ma non atomi che si incontrano e riconoscono quasi d’istinto ed entrano in consonanza con naturalezza. Nel nostro microcosmo ci chiamavamo compagni con questa spontaneità ma in un giro circoscritto e geloso. Ora è un’area senza confini. Non deve vincere domani ma operare ogni giorno e invadere il campo. Il suo scopo è reinventare la vita in un’era che ce ne sta privando in forme mai viste”
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