De Mauro, una vita da linguista per renderci uguali

8 Gennaio 2017
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Gianna Lai

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Addio a Tullio De Mauro

Se una società non ci invita a leggere e a capire quello che succede, si finisce nella ’dealfabetizzazione’ dell’età adulta, diceva De Mauro, il grosso problema dell’Italia di oggi, dove la percentuale di analfabetismo strutturale si aggira intorno al 33%.
Ricordare la figura di De Mauro attraverso il suo impegno di linguista, vero osservatore critico e studioso della nostra società. E per i suoi libri, La storia linguistica dell’Italia unita, una serie di trasmissioni radiofoniche del 1961, in occasione dell’Unità d’Italia che, raccolte poi da Laterza, divengono libro e manuale per gli studenti. E poi i suoi scritto sui giornali, e gli altri libri, La cultura degli italiani, Storia linguistica dell’Italia unita, Linguistica elementare, fino al Contare e raccontare con Carlo Bernardini, fino al dizionarietto di parole del futuro, fino a La lingua batte, scritto con Camilleri. Alla Storia linguistica dell’Italia repubblicana del 2014 ma, ancor prima il prezioso e fondamentale Dizionario della lingua italiana, Paravia.
Finalmente padroni di una lingua comune gli italiani, ma ancora oggi a rischio analfabetismo funzionale: ci ha spiegato De Mauro l’importanza e la responsabilità delle parole, che son specchio del Paese, mentre  ne alimentano cultura ed  esistenza. Da qui il suo impegno nelle associazioni degli insegnanti, nel Giscel in particolare, articolazione della Società linguistica, docenti della scuola  e docenti universitari, su un piano paritario di ricerca, di impegno e di formazione, gruppi di lavoro in tutta Italia. E anche Cagliari ospitava spesso Tullio De Mauro, sempre salutato con simpatia dagli insegnanti e dagli studenti. Perchè è centrale la scuola nella formazione linguistica, l’aula e l’esperienza quotidiana di alunni e maestri e professori. Né, proprio per questo, potè mai essere purista De Mauro, ‘la sua era la lingua dell’espressività, dell’affettività’: l’importante è farsi capire, diceva. Così la sua Guida all’uso delle parole, nei Libri di base degli Editori Riuniti, per dire come anche gli argomenti più difficili possono essere resi comprensibili a tutti. E chiamava la classe dirigente alla responsabilità di promuovere l’inclusione dei cittadini, la Repubblica a dare a tutti la possibilità di accedere. Una  democrazia del linguaggio, perchè è la lingua che ci rende uguali, secondo l’idea di don Milani. Perchè solo capendo si diventa cittadini, rimanendo sempre, per lui, la partecipazione alla politica, l’elemento essenziale della crescita di ciascuno. Ma non se il 70% dei cittadini dimostra forti difficoltà a spiegare con parole sue un articolo della Costituzione, e si chiude in se stesso, non riuscendo a vivere completamente nella società. La Costituzione, che difese sempre e che amò tantissimo per la chiarezza del linguaggio e per i suoi contenuti. ‘Il 93% del testo è composto dal vocabolario di base della lingua italiana’, amava ricordare, e per questo le dedicò un’importante introduzione al testo, nel 2006, in occasione del Premio Strega, mentre l’Italia era impegnata nel referendum contro le modifiche di Berlusconi. Per questo mantenne fino all’ultimo il suo posto nella giuria di ‘A scuola di Costituzione’, importante iniziativa per le scuole organizzata dal CIDI, dall’ANM e dall’Associazione Basso, da oltre 15 anni.
Proprio in tal senso De Mauro ha lavorato al rinnovo della linguistica, disciplina che ora guarda alla società, agli italiani e al mondo della comunicazione. Sì da comprendere  nella storia della lingua, la storia sociale del Paese, i dialetti, i modi e i costumi, la lingua parlata e i riflessi  della lingua stessa sulla cultura popolare. E questo significa il suo Dizionario, ‘monumento alla lingua parlata, di tutti gli italiani’, secondo l’idea che  ogni uso linguistico va rispettato e va valorizzato. In tal modo De Mauro ha indotto i maestri degli anni sessanta a capire che i dialetti sono parte integrante  del patrimonio di un Paese, a partire da quei maestri che imponevano 10 lire di multa contro l’uso del dialetto in classe.
Al centro la scuola e il timore per la perdita dei saperi, la perdita della conoscenza e dell’esperienza, della capacità stessa di servirsi correttamente della lingua italiana.
‘Vorrei avere una voce più tonante, ma son semplicemente un professore  in pensione, diceva qualche anno fa durante un’intervista alla radio, il sapere deve essere di tutti, la sua perdita mette a rischio il Paese. Vorrei tentare di svegliare la classe dirigente italiana, politici e governanti, intellettualità e imprenditori. La negligenza nella formazione del cittadino, lo stato in cui ci troviamo è grave, tutto il resto ne dipende, il modo di vivere di partecipare, mentre il confronto internazionale ci dice che siamo indietro. E la cosa non riguarda solo chi si occupa di scuola o spulcia statistiche. Voglio trasmettere il senso della mia impotenza a scuotere da questo sonno i responsabili, a far aprire gli occhi sui problemi di una cultura diffusa, e di acquisizione di strumenti nuovi di partecipazione. Da Marchionne ai dirigenti politici, si sveglino tutti. A pezzi l’alta ricerca scientifica, mentre si fa finta di non capire il senso di gravità della perdita’. Né se ne valutano i risultati, aggiungeva: da noi il numero più basso di laureati in Europa e di consumi culturali, il 44% di giovani disoccupati, perché da decenni non si investe nell’istruzione pubblica. Assente nella Buona scuola di Renzi, la scuola della Costituzione, libera e gratuita. E’ così che viene meno un’idea concreta di cultura e che diventiamo materialmente più poveri. Resta l’Italia ancora divisa tra chi conoscer la lingua e chi no, una  staticità  che solo la scuola rompe, concludeva De Mauro, nell’avanzare della lingua comune, del leggere e dello scrivere, quando essa diviene esigenza diffusa e applicata.
 
 

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  • 1 Oggi domenica 8 gennaio 2017 | Aladin Pensiero
    8 Gennaio 2017 - 10:24

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