Andrea Pubusa
La cassapanca fiorita del Sulcis
(foto 1: cassapanca di casa A. Pubusa – Nuxis)
Nel Sulcis da Nuxis a S. Antioco si è diffusa nell’Ottocento una cassapanca molto diversa da quelle barbaricine. Queste sono intarsiate e rappresentano di solito uccelli (l’upupa con cresta e coda e simili), E’ una cassa solitamente di color legno o addirittura nera, molto severa nell’aspetto, talora alleggerita, sopratutto in epoca più recente, da un colore chiaro. La cassapanca del Sulcis invece è fiorita e reca nella parte anteriore un motivo standard: un piccolo vaso con dei fiori, talora di fantasia. Ai lati questa cassa ha solitamente un cerchio con all’interno delle eliche geometriche di diverso colore, sembra la rosa dei venti. La parte interna del coperchio reca solitamente sullo sfondo dei monti con grandi alberi davanti o sopra, non proporzionati ai monti. Si tratta di disegni infantili, forse di apprendisti, mentre la parte anteriore-esterna era riservata al “maestro”, anch’esso in verita’ non molto affinato. Talora anche la parte interna del coperchio reca dei bei fiori (v. foto n. 2) In qualcuna non c’è disegno ma solo dei puntini coi colori che il pittore ha usato per dipingere i fiori e i rosoni laterali (v. foto n. 4).
(foto 2: cassa Nioi-Pittau - Nuxis)
Altra particolarità di queste casse è che il vaso e il fiore anteriore sono all’interno di una cornice che presenta caratteri uniformi in quasi tutte le casse e forma un insieme aritolato e gradevole, che poi prosegue ai lati, lasciando i bordi col colore di base che stacca rispetto a quello della cornice, conferendo al dipinto un andamento mosso e piacevole. Trattandosi di bauli ha due manici di legno ai lati e originariamente poggiava su due supporti mobili sempre di legno, anch’essi dipinti, a mo’ di panchette (v. foto n. 3 e n. 9) .
(foto 3: cassa di P. Pubusa, ridipinta da A. Vascellari -2012, prov. fam. D. Crobeddu)
Le casse del Sulcis sono di medie e piccole dimensioni, dei veri e propri bauli, all’interno sulla destra hanno uno sportello con un piccolo vano per conservare documenti o oggetti. Lo sportellino sollevato consente di appoggiarvi il coperchio mantenendolo aperto per le operazioni di riempimento o svuotamento della cassa. Di solito si teneva in camera da letto e conteneva coperte, lenzuola e simili.
(foto 4: cassa di F. Pubusa, ridipinta da A. Vascellari - 2010, prov. fam. Pinna - Rio Murtas)
Queste casse non sono state finora oggetto di studio. Non se ne trova traccia neppure su internet, dove le casse sarde sono solo quelle barbaricine. Non se ne conosce pertanto l’origine. Esistono però solo nel Sulcis da Nuxis a S. Antioco. A Nuxis esistevano in tutte le famiglie e molte ancora la tengono, talora relegandola in scantinati o magazzini. Hanno perso identità e pregio intorno agli anni ‘30 del 1900 a causa della moda diffusa di coprire il disegno, forse deteriorato dal tempo e dall’uso, con una vernice marron e con l’apposizione di supporti fissi in legno in luogo dell’antico appoggio mobile.
(cassa Locci-Maggio - S. Antioco, recante verniciatura coprente)
Questa trasformazione è ancora in atto per l’inconsapevolezza dei proprietari sul pregio della cassa, e per la scarsa attitudine delle maestranze locali a proporre e realizzare restauri o, nei casi estremi, a rifare interamente il dipinto. Da ultimo, ma non per importanza, in tutto questo incide anche il maggior costo di restauri delicati o di rifacimento dei decori floreali in luogo della loro eliminazione con tinte o lucidi. Dunque, molte casse sono state riportate a legno e lucidate. Queste modificazioni hanno conferito a questi splendidi manufatti un aspetto serioso, privandole di quel carattere civettuolo, leggero e intrigante delle origini. E’ rimasto però generalmente il dipinto interno, solitamente ben conservato perché protetto dal coperchio e non esposto all’esterno.
(foto 5: interno cassapanca prov. Tratalias reca la data del dipinto: 19.6.1907)
Nella mia famiglia questa cassa è sempre esistita in camera da letto (v. foto n. 1). Conteneva coperte sopratutto e, nel ripostiglio interno con sportello, qualche rara foto, insieme agli atti notarili, anch’essi pochi per l’uso di trasmettere la proprietà senza scritti. Sono vissuto fino a quasi 50 anni senza dare valore a questa cassa. Ne ho intuito la bellezza solo quando in casa di Francesco Cocco ho visto una cassa simile, che lui tiene giustamente aperta per mostrare l’insieme del dipinto, esterno ed interno. Questa cassa proviene da Santadi (famiglia Pili).
(cassa di F. Cocco - prov. fam. Pili Santadi)
Dal disegno interno ho compreso che la splendida cassa del mio amico era simile a quella, intristita dal colore marron delle pareti esterne, che io avevo in casa.
A quel punto chiesi notizie a mia madre, che mi confermò che quelle casse poggiavano su due piccoli supporti di legno, erano dipinte anche all’esterno e molte furono verniciate di marron e munite di piedi intorno agli anni ‘30 ad opera di un falegname che a Nuxis teneva bottega in Prac’e Gresia, in Piazza di Chiesa.
(foto 6: cassa F. Pubusa, ridipinta da A. Vascellari)
Individuai un ottimo restauratore di Cagliari, gli consegnai la cassa e lui, con un lavoro certosino, la riportò all’antico splendore eliminando la vernice esterna.
In questo restauro c’è poi una coincidenza curiosa. Il restauratore, Giuseppe Pili, “mastro Geppe” con bottega a Marina, era originario di Santadi e ho scoperto dal cognome che discendeva. per parte materna, dalla famiglia della mia nonna paterna, Fedela Cani, per cui ho desunto che il restauro, se la cassa provenisse dalla famiglia di mio padre, è stato effettuato da un discendente degli originari proprietari della cassa in favore di un discendente della stessa famiglia.
Difficile stabilire l’origine di queste meravigliose casse. Esistono solo nel Sulcis e sopratutto nell’area che da Nuxis-Santadi va fino a S. Antioco. Lì dunque è successo qualcosa che ha importato il modello che poi si è diffuso per la semplicità del disegno e per il poco valore del legno.
(foto 7: lato Cassa Nioi-Pittau originale)
Le mie personali ricerche hanno portato a verificare i contatti col Nord Italia e col mondo altoatesino, in cui esistono cassapanche simili, anche per il supporto ligneo, oltre che per i fregi interni, esterni e laterali. Il contatto poteva essere dovuto a viaggiatori o a soldati, agli scambi anche in occasione di guerre e battaglie. I morti, si sa, lasciano i loro beni in questa terra a disposizioni di chi ne è erede legittimo o di chi se ne impossessa.
La ricerca così orientata mi ha portato ad un certo Salvatore Putzolu di S. Antioco, militare di carriera, presente alla battaglia di Solferino e S. Martino (24 giugno 1859) e ancor prima alla spedizione di Crimea (4 ottobre 1853 - 1º febbraio 1856). Fu dalla prima battaglia che, nei ricordi dei familiari, il col. Putzolu rientrò, recando con sé un baule del tutto particolare, forse abbandonato da un austriaco in fuga o deceduto: una piccola cassa fiorita davanti, con un fregio cerchiato e geometrico ai lati e un dipinto panoramico all’interno del coperchio. Aveva anche lo sportello interno nel lato destro e i piedi mobili. Fu questo il modello di provenienza forse altoatesina o comunque settentrionale, cui s’ispirarono falegnami e pittori dilettanti del Sulcis? E’ verosimile, sia perché le casse del Sulcis risalgono alla metà dell’Ottocento, sia perché sono semplici da costruire, sia perché non occorre grande maestria nella pittura per fregiarle. Potevano, così provenire, da un solo falegname o anche dai singoli artigiani operanti nei diversi paesi, non essendo difficile trovare in ciascuno di essi chi sapesse dipingere fiori, inventandone le forma e inserendoli in una cornice geometrica e sempre uguale, per la quale poteva tornare comodo anche un semplice stampino ligneo. Poi e’ fatta di materiale povero: abete con incastri a nido di rondine, due anelli fatti dal fabbro per l’apertura e chiusura del coperchio, serratura interna con grande chiave esterna (v. Cassa Nioi, conservata nell’originale in tutte le parti, anche nella chiave).
(cassa F. Cocco - lato destro)
Sia come sia, siamo pur sempre nel campo delle ipotesi, queste casse ormai fuori produzione a memoria d’uomo, sono ancora diffuse nelle famiglie del Sulcis e bisogna non perderne neanche una. Sono inportanti segni d’identità del Sulcis e della Sardegna. Occorre, dunque, recuperarle e valorizzarle. Si devono conservare quelle che hanno ancora il dipinto a vista, e recuperare quelle che sono state verniciate per il tramite di un restauratore professionista (vedi la cassa n. 1). Attenzione!, se volete salvare la vostra cassa, non rivolgetevi a chi non è del mestiere! Infine, per quelle ormai prive di disegno, se molto malandate occorre farle restaurare da un falegname (v. foto n. 8) e poi, consegnando delle foto di casse originali, farle ridipingere da un buon pittore. Ovviamante il disegno floreale si può apporre allo stesso modo in quelle che sono state lucidate. In questo modo io ne ho recuperato tre (vedi foto n. 3, 5, 8 e 9).
(foto 8: cassa antica fam. Pilloni, restaurata dal falegname di Nuxis G.B. Lampis - v. foto succ.)
Le casse da me resuperate erano ormai finite tristemente in ripostigli o garage e destinate al fuoco. Ora, in casa mia e dei miei figli, fanno una bellissima figura e danno un tocco di “sulcitudine”, d’allegria e leggerezza all’ambiente. Basta guardare le foto per rendersene conto.
(foto 9: cassapanca della foto precedente, ridipinta da Ielmo Cara - 2016)
Due ulteriori considerazioni: queste case vanno fotografate e inventariate. Lo si puo’ fare anche inviando foto e nome del proprietario a questo sito o alla Pro loco di Nuxis; secondariamente, questa cassa andrebbe in certo senso “brevettata” come tipico prodotto, segno d’identità, del Sulcis per riavviarne la produzione. E’ un bel pezzo di arredamento che non ha niente da invidiare alla più nota cassapanca barbaricina.
Per valorizzare questo bel manufatto, espressione della cutura sulcitana, la Pro Loco di Nuxis, nel contesto delle sue meritorie iniziative culturali, ha programmato per il 2017 una mostra, a cui far seguire una pubblicazione illustrativa.
5 commenti
1 francesco Cocco
6 Gennaio 2017 - 09:29
La ricerca del direttore di questo blog può sembrare una bizzarria, ma così non è. Scavare e ricercare gli elementi di arredo delle antiche case sarde, è una ricerca sulle basi della nostra identità. Questo avevano ben compreso un artista come Biasi ed un architetto come Arata. Nella loro opera pubblicata prima della Seconda Guerra Mondiale, avevano posto in evidenza che l’arredo della casa sarda era una sintesi dei valori originali della nostra identità. Come evidenza Andrea, le casse sarde del Sulcis si differenziano profondamente da quelle barbaricine: hanno una solarità che ne fa dei pezzi artistici da valorizzare, ed Andrea inizia un discorso (così mi auguro) da approfondire anche per dare una maggiore consapevolezza della propria identità alle popolazioni del Sulcis.
2 Rosamaria Maggio
6 Gennaio 2017 - 09:59
Ti manderò la foto della mia!
3 Giorgio
20 Maggio 2021 - 15:43
Ne ho una bella. Il suo articolo è molto interessante.
4 Lucia M. Tanas
27 Ottobre 2022 - 22:40
Ho una cassapanca di questo genere. Apparteneva alla mia bisnonna di Teulada, morta nel 1894. Era tradizione lasciarla alla figlia primogenita. Sono sempre stata curiosa sull’origine di questo tipo di cassapanche. Le invierò la foto. E’ in ottime condizioni perchè le donne che l’hanno avuta prima di me l’hanno tenuta in grande considerazione.
Risposta
E’ proprio come dici tu. A Nuxis alcuni anni fa abbiamo fatto una mostra di queste splendide casse e abbiamo constatato che molte famiglie le custodiscono ancora gelosamente. Abbiamo anche cercato di ricostruirne la storia e intrpretarne i disegni, ma per far questo ci vorrebbe un gruppo di esperti.
In questo blog comunque abbiamo scritto su queste ricerche.
Chi ne ha o ne vede dovrebbe comunque fotografarle e tracciare una storia sulla provenienza. Un giorno o l’altro i sulcitani si accorgeranno di avere delle casse altrettanto belle di quelle tradizionali intagliate e un patrimonio culturale di grandissimo valore.
5 Gian-Piero
10 Maggio 2023 - 12:31
A casa mia, a Pattada, è custodito il coperchio di una di queste casse, per la precisione il disegno è praticamente identico a quello della cassa dì F. Cocco fotografata in questa pagina, il soggetto del disegno è la decapitazione di Oloferne da parte di Giuditta.
Questo coperchio è stato recuparato oltre trent’anni fa in una vecchia casa di una parente che morì. Della cassa non ho altre notizie e sopratutto resta il mistero di come sia arrivata qui a Pattada.
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