Andrea Pubusa
Cari amici, care amiche, cari compagni, care compagne,
mi rivolgo a voi col cuore pieno di gioia per la straordinaria vittoria della nostra Costituzione e ancora emozionato per la mobilitazione cui abbiamo dato vita, suscitando e facendo emergere il meglio del popolo italiano e sardo. Senza enfasi, possiamo dire di aver partecipato da protagonisti ad un passaggio storico della nostra democrazia. Credo che ci siamo guadagnati il titolo di “partigiani”, che la sola iscrizione all’ANPI o l’adesione ideale alla Resistenza non poteva darci. Ora, possiamo dire con orgoglio di esserci conquistati quell’onore sul campo, combattendo e sconfiggendo i nemici della Costituzione.
Ma ora, dobbiamo pensare al domani, al che fare? Dopo la vittoria perentoria del NO, molti chiedono al Comitato di continuare la sua attività. Si vuole in questo modo conservare ed allargare quel prezioso patrimonio di relazioni, condivisioni che in questi mesi abbiamo meravigliosamente e magicamente creato. Lo sforzo comune ha fatto crescere una reciproca fiducia, una voglia di far irrompere queste energie nel circuito politico per travolgere e trasformare lo stato di cose presenti.
Io quanto e forse più di voi sento questo stimolo e questo bisogno. Ma invito tutti alla riflessione. Quale è stata la base della nostra unità? E’ stata la Costituzione. I suoi valori di civiltà e di giustizia ci hanno fatto, come per miracolo, riunire, e, ancor più prodigiosamente, hanno fatto emergere energie sopite, volontà di lotta represse nella tristura della quotidianità politica. Quella base ha così consentito a tutti noi, autonomisti, sovranisti, liberal, comunisti, semplici democratici di trovarci e lavorare insieme senza che nessuno chiedesse all’altro di manifestare la propria “fede”. Il patriottismo costituzionale è stato il nostro cemento. Bene, se noi ora cercassimo una base diversa per stare insieme e se la prospettiva fosse quella elettorale, ognuno di noi declinerebbe la propria ispirazione politica e il comitato si trasformerebbe in una babele con tanti linguaggi. Avremmo perfino una difficoltà di interlocuzione. Ci sarebbe in breve tempo un’esplosione o implosione, senza possibilità di rimettere insieme i cocci.
Se questa sommaria analisi è corretta, allora bisogna perseguire un’altra strada, una via simile a quella che ci ha unito in questi mesi appassionanti. Manteniamo al centro la Costituzione e lo Statuto speciale e lavoriamo alla loro applicazione. Manteniamo un Comitato di scopo come è stato il comitato per il NO. Due obiettivi io vedo innanzitutto: la legge elettorale nazionale e sarda, lo sviluppo di un’azione sul lavoro in vista di una revisione del Jobs act. Due obiettivi alla nostra portata, da perseguire anche congiuntamente. Manterrei anche la struttura attuale: un Comitato d’iniziativa costituzionale (o democratica, se si preferisce) e l’ANPI. Quest’ultima associazione è essenziale perché ha una struttura, per quanto esile, non solo a Cagliari ma anche nei territori, dal Sulcis, alla Trexenta, al Medio Campidano etc. Si tratta di rinforzarla con un tesseramento di massa (tesseriamo tutti quelli che hanno lavorato con noi in questi mesi!). Le persone che formano l’ANPI hanno dato anche in periferia buona prova sia per serietà che per capacità organizzativa e radicamento sociale. Il Comitato, nella sua informalità, raccoglie, invece, associazioni (Arci, CSS, Libertà e Giustizia etc.) e movimenti distinti dall’ANPI, anche se molti membri di essi sono iscritti pure all’ANPI. Mi pare, quindi, che il Comitato ha un modo di lavoro più agile e una maggiore capacità aggregratrice. Manteniamo entrambi, Comitato e ANPI, in simbiosi, dando al primo obiettivi limitati, decisi volta per volta e facendolo lavorare “per campagne”.
I partiti poi facciano il loro gioco ed ognuno di noi partecipi a quello che più gli aggrada, senza far valere questa sua militanza nel Comitato, che rimane un organismo informale di scopo.
Per parte mia, insieme ad altri compagni, da anni mi considero parte della riserva democratica, che scende in campo e si batte quando ci sono pericoli e le truppe regolari sono inadeguate o insufficienti. Questo atteggiamento non è frutto di supponenza, ma solo della presa d’atto di una sorta di esilio o confino politico, cui tanti di noi sono stati relegati dai satrapi della sinistra vecchia e nuova. La mancanza di respiro politico, di collegamento con i lavoratori, la ricerca forsennata del seggio, la riduzione della politica ad intrigo e manovra hanno trasformato non solo il PD, ma anche gli altri partitini in consorterie intorno a notabili (Zedda, Uras e simili), sul modello della politica ottocentesca. prima dell’irruzione dei partiti di massa.
Queste fazioni politiche, che della sinistra portano il nome, ma non la sostanza, sono in via di autoestinzione, per mancanza di idealità e moralità. Poi ci sono altre realtà emergenti, come il M5S, che esce da questa campagna referendaria come grande forza costituzionale e democratica, argine alle mire eversive e anticostituzionaki della maggioranza PD. Il M5S è oggi l’unica alternativa possibile a Renzi e Berlusconi. C’è dunque una realtà politica varia e c’è l’imbarazzo della scelta. Ognuno scelga e voti chi vuole, ma per far vivere il Comitato dv’essere chiaro che queste opzioni stanno fuori dalla porta. Il Comitato sopravviverà solo se agirà come centro d’iniziativa con ispirazione costituzionale, con scopi limitati e senza propositi elettorali.
3 commenti
1 Oggi sabato 10 dicembre 2016 | Aladin Pensiero
10 Dicembre 2016 - 09:03
[…] Dopo la vittoria del NO, quale futuro per il Comitato? Andrea Pubusa su Democraziaoggi. Cari amici, care amiche, cari compagni, care compagne, Dopo la vittoria del NO, quale futuro per […]
2 marco
10 Dicembre 2016 - 11:09
concordo al 100%, grazie Andrea
3 Antonello Murgia
12 Dicembre 2016 - 14:16
Io sono d’accordo. Da un lato c’è l’esigenza di non disperdere il patrimonio accumulato nella campagna referendaria insieme alla necessità di sostenere una interpretazione “da sinistra” della Costituzione, perché mi sembra evidente che l’ulteriore uscita dalla crisi istituzionale pilotata da chi ha prodotto i guasti (iniziò Napolitano, continuiamo con Renzi), difficilmente ci farà avvicinare ad una soluzione accettabile. Insomma, il Comitato può, nel suo piccolo, contribuire a chiarire i veri termini della questione, così come ha saputo brillantemente fare per il referendum e sostenere proposte che consentano di arrestare la deriva oligarchica che non cessa, come era facile prevedere, con la caduta di Renzi.
Dall’altro lato c’è la necessità di non occupare spazi che mi sembra siano dei partiti o magari di ciò che i cittadini potranno individuare in loro vece, visto lo scollamento attuale fra la società civile e appunto i partiti e che però non mi sembra possa competere al Comitato indicare.
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