Andrea Pubusa
Che Guevara e Fidel Castro
Quando Fidel e il Che. il 1° gennaio 1959, entrarono all’Avana, cacciando il dittatore Fulgencio Batista da Cuba, non avevo ancora quattordici anni. Eppure quel fatto mi impressionò enormemente. Un gruppo di giovani, ribelli e irriverenti anche nell’aspetto, i barbudos col basco, aveva battuto un feroce dittatore e proclamato l’indipendenza del loro paese. Colpiva il carattere quasi scanzonato di quella rivoluzione, fatta di atti di eroismo spericolato, di gesti clamorosi e di tanta allegria e musica. Colpivano quei trentenni che dei rivoluzionari europei, seriosi e compiti, dell’800 e del ‘900 non avevano l’aria nè il portamento.
Quando divenni un po’ più grandicello capii meglio la portata di quella rivoluzione. L’indimenticabile discorso del Che all’ONU nel 1964 è una parte incancellebaile della formazione politica e culturale dei giovani della sinistra di quegli anni, quella chiamata alla lotta contro l’imperialismo, quell’appello sicuro e fiducioso per la liberazione dei popoli del terzo mondo, è una sfida perenne ai potenti del mondo. I fatti successivi sono nei libri di storia, ma per chi allora era giovane e voleva un mondo migliore, più giusto, Fidel e il Che costituiscono uno stimolo permanente a non arrendersi, a non cadere nell’accettazione banale dello stato di cose presente, a non allinearsi, una spinta incessante a considerare la liberazione degli uomini e delle donne, il raggiungimento della loro eguaglianza, un impegno permanente e un dovere morale e politico inderogabile.
Il Che, dopo il suo sacrificio generoso, è diventato un’icona e Castro, nonostante il passare del tempo, l’inesorabile invecchiamento, e il cambiamento del mondo, ha continuato ad impersonare, con l’esistenza stessa di Cuba indipendente, la rivolta contro l’imperialismo e la dipendenza dei popoli del terso mondo. Certo, l’America Latina senza Fidel e il Che non sarebbe stata quella che è. Da cortile di casa degli USA, da terreno di conquista dei vari golpisti di turno, si è avviata, pur con alterne vicende, ad una stabilizzazione democratica in nome dell’indipendenza e della ricerca di forme di giustizia sociale.
Castro è stato e viene denigrato dagli avversari, è stato e viene descritto come un despota dai reazionari di tutto il mondo, eppure nella mente dei veri democratici non è mai venuta meno la convinzione profonda sulla sua aspirazione libertaria contro i gioghi politici ed economici dei potenti della terra. E così in quel 21 gennaio del 1998, quando Fidel accolse Giovanni Paolo II e tenne un memorabile discorso, il rappresentante di Cristo in terra, per quanto egli disse per i diseredati e gli sfruttati, apparve al mondo più lui che il freddo Wojtyla.
Per Fidel non occorre attendere il giudizio della storia per metterne in luce la straordinaria grandezza, semmai la storia mostrerà meglio quanto quest’uomo l’abbia generosamente e spericolatamente forzata per anticipare un mondo di uomini liberi ed eguali.
1 commento
1 Fidel | Aladin Pensiero
27 Novembre 2016 - 22:24
[…] Fidel, un mito, mai tramontato, dei miei anni verdi di Andrea Pubusa su Democraziaoggi. - segue […]
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