Sovranità popolare, sovranismo…metropolitano e referendum costituzionale

1 Novembre 2016
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Tonino Dessì

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Si ricorderà che ai sensi della Legge Regionale 4 febbraio 2016, n. 2, recante il “Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna”, è stata quest’anno istituita la Città metropolitana di Cagliari.
Alcuni giorni fa si sono svolte le votazioni per il rinnovo del Consiglio della Città metropolitana, alle quali hanno partecipato i Sindaci dei Comuni che ne fanno parte, eleggendosi nell’organo tra di loro.
Fatta eccezione per i blog dei politici e per i siti dei rispettivi partiti, celebrativi ciascuno del risultato conseguito dalle relative liste (la maggioranza l’ha ottenuta una coalizione composta più o meno allo stesso modo di quella che amministra il capoluogo, centrosinistra-sovranista più frattaglie), nemmeno la stampa cartacea si è filata l’evento, tanto la scontata logica spartitoria che lo ha caratterizzato era priva di alcun pathos politico e partecipativo.
Se penso alla baruffa di qualche mese prima tra il Nord e il Sud dell’Isola per averne due anziché una, di Città metropolitane, mi vengono in mente pensieri sarcastici.
Sassari proprio non sa cosa si è persa, ma si potrà prima o poi consolare col suo, di ente semimetropolitano di secondo grado e di seconda classe.
Ricordo che l’accesa diatriba attraversò vari temi, da quello del miraggio delle risorse aggiuntive a quello del bilanciamento del peso politico dei territori.
Già allora mi colpì il fatto che nessuno, ma proprio nessuno, si fosse posto il problema che nasceva un nuovo ente i cui organi non sono eletti dai cittadini e nemmeno avesse avanzato la preoccupazione che forme incisive di partecipazione democratica delle popolazioni interessate occorrerebbe introdurle proprio al fine di qualche bilanciamento dei poteri e per promuovere l’esercizio del controllo democratico di un’istituzione interamente consegnata all’arbitrio dei partiti.
Così infatti è accaduto che, poche settimane dopo la sua istituzione, i Sindaci della Città metropolitana di Cagliari abbiano pro forma raffazzonato uno straccio di Statuto che pare copiato dalle pubblicazioni Buffetti per l’amministrazione dei condomini, dove agli istituti partecipativi si fa riferimento vago per rinviarne la disciplina a un futuribile regolamento dell’ente.
L’articolo 5 di questo Statuto dice infatti:
“Art. 5. Trasparenza e partecipazione. 1. I procedimenti di elaborazione e revisione del Piano strategico metropolitano e del Piano Territoriale di Coordinamento Metropolitano, si ispirano al principio di trasparenza e al metodo della partecipazione, prevedendo processi di sussidiarietà e co-pianificazione con i Comuni e gli altri Enti interessati e modalità di coinvolgimento delle forze economiche e sociali.
2. Un regolamento stabilisce le modalità di partecipazione dei portatori di interesse.”.

Più o meno come fa la riforma Renzi-Boschi nei nuovi articoli 71 e 75 per l’iniziativa legislativa popolare e per i nuovi tipi di referendum, limitandosi per l’eventuale immediato a fissarne soglie di ammissibilità quasi proibitive.
La riduzione di sovranità popolare ha quindi fatto irruzione, tramite la cultura politica prevalente, nella già provata sfera delle autonomie locali e vuol trovare la sua consacrazione attraverso la proposta di modifica costituzionale.
Nel 2001, una nuova stesura dell’ articolo 114 ha introdotto un principio ampiamente federalista in Costituzione, stabilendo che:
“1. La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.
Il testo originario dell’articolo era il seguente:
“La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni”.
La riforma del Titolo V ha precisato, rispetto alla visione di sapore “decentrativo” del testo del 1948, un più coerente sviluppo del connotato autonomistico dell’articolo 5 della Costituzione, stabilendo che la sovranità istituzionale (almeno quella interna, popolare e rappresentativa) si distribuisce tra i diversi soggetti della Repubblica, collocati, in linea di principio, sullo stesso piano di dignità.
La nuova proposta di revisione costituzionale modifica l’articolo 114 eliminando la citazione delle Province, che si intende sopprimere definitivamente. Il loro posto nell’ordinamento locale sarà preso dalla congerie di altri enti intermedi non elettivi a geometria variabile che sono stati o che verranno istituiti Regione per Regione a macchia di leopardo, privati però di dignità costituzionale.
Si dirà che sembra cambiare poco. In realtà cambia moltissimo. Recenti leggi statali hanno infatti reso le Province non più rappresentative, commissariandole in attesa di soppressione: ancora non mi capacito che il giudice costituzionale non abbia impedito che uno degli enti locali in cui “si riparte la Repubblica” potesse essere privato della derivazione elettiva con semplice legge ordinaria.
Non solo: le stesse leggi hanno stabilito la non elettività diretta degli organi metropolitani, talchè, se la riforma passerà il vaglio referendario, il resterà inserito nel sistema autonomistico un soggetto istituzionale non elettivo di rilevanza costituzionale.
Vero è che questo resterebbe anche se vincesse il NO, ma consideriamo che se vincesse invece il SI, nel ramo “alto” dell’ordinamento farà la sua comparsa anche un Senato non elettivo.
In tal modo l’indebolimento del principio di sovranità popolare, che in uno Stato democratico si dispiega attraverso l’elezione diretta dei rappresentanti in ogni livello delle istituzioni, avrà con l’eventuale approvazione referendaria una conferma di più ampia portata, modificando strutturalmente l’impianto della Carta.
Come mi è capitato di sottolineare altre volte, la vittoria del NO non avrà un effetto contingentemente limitato alla non approvazione delle singole norme della proposta di revisione, ma ristabilirà anche per l’interpretazione giurisprudenziale e per la legislazione ordinaria future il principio dell’intangibilità e dell’infrangibilità della sovranità e della rappresentanza.
Non mi pare, questa sì, cosa da poco.

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