Il capitalismo è correggibile?

6 Ottobre 2016
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Gianfranco Sabattini

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A parere di Philip Kotler, docente di marketing alla Northwestern University nello Stato dell’Illinois (USA) e autore di “Ripensare il capitalismo. Soluzioni per un’economia sostenibile e che funzioni meglio per tutti”, è possibile correggere l’attuale modo di funzionare dell’economia di mercato, per “creare un capitalismo ad alte prestazioni”; esisterebbero diversi motivi per farlo: intanto perché, a parere dell’autore, il capitalismo funziona meglio di qualsiasi altro sistema sinora sperimentato; in secondo luogo, perché, facendo tesoro di una massima del mahatma Gandhi (secondo la quale, la differenza tra ciò che si fa e ciò che si sarebbe capaci di fare basterebbe per risolvere quasi tutti i problemi del mondo) è possibile proporre una soluzione per i principali difetti del libero mercato; infine, perché è necessario affrontare i problemi che impediscono al capitalismo di produrre le migliori prestazioni possibili, secondo un approccio diverso da quello tradizionale, privilegiando una visione d’insieme di rutti i limiti dell’economia di mercato, per comprenderne l’impatto complessivo sulla struttura del sistema sociale.
Dacché si è definitivamente affermato, con la Rivoluzione industriale a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, il capitalismo è stato in continua evoluzione; oggi, esso sta vivendo un processo di globalizzazione che, pur avendo contribuito a favorire la crescita e lo sviluppo delle economie di molti Paesi tradizionalmente arretrati, ha provocato, però, un ulteriore approfondimento delle disuguaglianze preesistenti a livello nazionale ed internazionale. Ciononostante, la maggior parte dei Paesi ha scelto di governare, per integrarsi nell’economia mondiale, in tutto o in parte, la propria economia, secondo i “meccanismi” propri del capitalismo. Oggi, le regole del capitalismo sono diventate universali, riuscendo a prevalere, sul piano dei risultati conseguiti, su qualsiasi altro sistema sperimentato per il governo dell’economia. Persino il sistema alternativo, quello comunista, affermatosi principalmente in Unione Sovietica ed in Cina, è stato abbandonato, per essere sostituito da un’economia di mercato, orientata a un capitalismo autoritario, funzionante secondo applicazioni diverse della teoria e della prassi proprie del capitalismo d’antan.
E’ opinione comune, secondo Kotler, che oggi tutti i Paesi adottino un’economia di mercato orienta tendenzialmente al capitalismo, in virtù del fatto che le regole che esso suggerisce nel governo dell’economia consentono di migliorare le condizioni esistenziali di tutti, riuscendo ad offrire più crescita e libertà di qualsiasi altro sistema possibile. Il capitalismo dell’origine, tuttavia, si caratterizza secondo modalità che non sono presenti all’interno dei Paesi che hanno adottato il capitalismo autoritario.
Il capitalismo, in sé e per sé considerato, richiede un ordinamento giuridico costituzionale basato su tre pilastri fondamentali: proprietà privata del mezzi di produzione, libertà di contrattazione e Stato di diritto (con la funzione, per quest’ultimo, di regolare e tutelare sia la prima che la seconda). I diritti di proprietà privata e la libertà di utilizzare i beni posseduti sono finalizzati alla soddisfazione degli stati di bisogno dei componenti la collettività, secondo le regole statuite dallo Stato di diritto: regole che affermano e tutelano l’individualismo, lo spirito competitivo, la collaborazione e l’uso efficiente dei beni disponibili.
Il problema che si è sempre posto, all’interno di un Paese la cui economia fosse stata gestita secondo le regole proprie del capitalismo originario, ha riguardato la determinazione del confine tra la libertà del marcato e la regolamentazione dello Stato; ad un estremo era collocato chi sosteneva che lo Stato dovesse intervenire il meno possibile; all’estremo opposto era schierato chi, al contrario, riteneva che lo Stato dovesse svolgere un ruolo attivo di regolamentazione, per promuovere il “benessere sociale”. Sul ruolo dello Stato come regolatore del mercato, tutti i Paesi capitalisti hanno coperto “la totalità dello spettro, da un estremo all’altro”, dallo “Stato minimo” allo “Stato massimo”.
Tuttavia, all’interno dei Paesi dotati di uno Stato di diritto, la tesi che lo Stato governa bene quando regolamenta poco l’economia è divenuta prevalente con l’affermarsi dell’ideologia neoliberista, dando forza di convincimento alle massime di Winston Churchill: questi, reagendo contro chi lamentava che molti problemi del mondo moderno fossero da imputare allo Stato di diritto e alla democrazia, osservava che la democrazia, in fin dei conti, era “la peggior forma dei governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate sinora” e che il “vizio intrinseco del capitalismo è l’ingiusta ripartizione della ricchezza”, mentre la “virtù intrinseca del socialismo è l’equa ripartizione della miseria”.
Indipendentemente dalla suggestione che possono sollevare in chiunque le legga, le “gag” di Churchill hanno contribuito a rafforzare la posizione dei sostenitori del capitalismo e del libero mercato, dipingendo il primo come sistema infallibile e il secondo come strumento dotato di automatismi autoregolatori. Kotler, tuttavia, è del parere che un capitalismo senza regole presenti molte carenze, in quanto, benché sia riuscito ad aumentare il livello di benessere delle comunità di molti Paesi, nel contempo esso ha creato, e continua a creare, molti problemi non riesce a dare efficaci soluzioni; tali sono soprattutto il permanere delle disuguaglianze distributive, il loro approfondirsi a livello di ogni Paese ed a livello internazionale e il degrado ambientale.
Chiedendosi quali sia la causa delle carenze e dell’incapacità del capitalismo del libero mercato a dare soluzioni ai problemi indicati, l’economista della Northwestern University la rinviene nell’individualismo; ovvero nell’assunto che i sostenitori del capitalismo pongono alla base del corretto funzionamento del mercato. Tale assunto conferisce valore all’indipendenza decisionale ed operativa dei singoli soggetti ed afferma la prevalenza dell’interesse individuale sull’interesse della comunità; a parere di Kotler, per limitare le conseguenze negative dell’individualismo, basterebbe solo orientare il funzionamento delle istituzioni del capitalismo verso la comunità, senza con ciò trasformarla in senso collettivistico; in altri termini, per Kotler, sarebbe sufficiente che il funzionamento delle istituzioni del capitalismo fosse orientato secondo una prospettiva socialdemocratica, per dotare la comunità di un sistema economico che persegua il “bene comune”, difenda la proprietà privata e la gestione privata dell’attività economica e tuteli le istituzioni politiche democratiche.
A tal fine, secondo Kotler, la socialdemocrazia dovrebbe garantire un ordine sociale nel quale, né i diritti individuali, né i diritti della comunità dovrebbero avere la prevalenza gli uni sugli altri; ciò perché una “buona società” dovrebbe essere fondata su un equilibrio tra “libertà e ordine sociale, tra diritti del singolo e responsabilità sociale”, rigettando, sia gli estremismi dell’individualismo liberale, sia quelli del collettivismo autoritario; egli ritiene infatti che “una delle funzioni principali della comunità sia quella di rappresentare una ‘voce morale” riguardo a ciò che è giusto o sbagliato per gli individui e la comunità”.
Secondo l’analisi critica del capitalismo condotta da Kotler, perciò, per rimediare ai difetti del capitalismo sarebbe sufficiente solo un’”obbligazione morale”, gravante su ogni soggetto liberato dal bisogno, nei confronti di chi sta peggio; Kotler, al riguardo, trascura totalmente il fatto che l’obbligazione morale, istituzionalizzata all’interno del capitalismo del libero mercato con la realizzazione del welfare State, è di fatto servita solo a lenire sul piano sociale gli esiti negativi dei fenomeni della povertà, delle disuguaglianze distributive e dell’inquinamento ambientale, attraverso procedure caritatevoli, non risolutive dei difetti del capitalismo.
In realtà, per realizzare una “buona società” all’interno dei Paesi che seguano le regole del libero mercato, l’equilibrio tra libertà e ordine sociale dovrebbe essere assicurato, non attraverso l’assunzione di un’obbligazione morale da parte di un settore della comunità nei confronti di un’altro, ma attraverso la statuizione della funzione positiva svolta, dal punto di vista del benessere comumitario, sia dai singoli individui, che dall’intera comunità. Ciò in quanto, così come non è possibile ipotizzare la massimizzazione degli interessi individuali fuori dal contesto comunitario, ugualmente non è possibile assumere la massima soddisfazione degli interessi comunitari prescindendo dall’impegno attivo verso la comunità da parte dei suoi singoli componenti. Un efficace equilibrio tra libertà d’iniziativa individuale e ordine comunitario, e con esso anche il contenimento dei difetti del capitalismo dei quali parla Kotler, può essere realizzato solo se si assume, non un’obbligazione morale dei singoli verso la comunità, ma il riconoscimento che l’interesse individuale può essere ottimizzato, massimizzando, in condizioni di reciprocità, anche l’interesse della comunità, espresso in linea di principio dalle istituzioni politiche dello Stato di diritto. Ad originare i difetti del capitalismo perciò, non è tanto l’individualismo, quanto lo sono le istituzioni politiche; ciò in quanto sinora, pur all’interno dello Stato di diritto, esse hanno operato come non avrebbero dovuto, perché condizionate e deviate dal loro corretto funzionamento, in base all’assunto della presunta superiorità dell’individuo rispetto alla comunità.
Vi è un altro aspetto del capitalismo liberista, che Kotler tratta in termini “non convincenti”, forse perché fortemente influenzato dalla cultura e dall’ideologia economica prevalente del Paese al quale appartiene: esso riguarda il governo della crescita in funzione della salvaguardia ambientale. Secondo l’economista americano esisterebbero tre correnti di pensiero schierate a sostegno di un drastico controllo della crescita: una linea di pensiero consiglierebbe una “crescita lenta”; una seconda suggerirebbe un “consumo ragionevole; una terza, infine, la realizzazione di un’”economia stazionaria”. Non si capisce perché Kotler, complicando ulteriormente un argomento già di per sé complesso, anziché usare il “rasoio di Occam”, abbia preferito introdurre più ipotesi di quelle strettamente necessarie per affrontare i problemi connessi alla necessità di porre un limite alla crescita continua.
In realtà, le tre correnti di pensiero alle quali allude Kotler si riducono a una: quella che sostiene la tesi, divenuta ormai luogo comune, della decrescita sostenuta da Serge Latouche. Riguardo alla tesi dell’economista francese è stata prodotta, pro e contro, una letteratura pressoché smisurata; alla disparità di opinioni sul come sarebbe possibile governare la crescita in funzione della salvaguardia ambientale, una risposta soddisfacente è quella data Herman Daly. Questi ha formulato due ipotesi, idonee a fugare tutti dubbi di Kotler, circa la possibilità di porre un limite a una crescita, dissipatrice del capitale naturale. Entrambe le ipotesi presuppongono un ruolo attivo delle istituzioni politiche, chiamate ad esprimere democraticamente, tenuto conto del quadro complessivo al cui interno si colloca la comunità, in quale direzione orientare il funzionamento del sistema economico in funzione del benessere sociale.
Com’è noto le ipotesi alternative formulate da Daly prevedono, la prima, una “configurazione debole della sostenibilità della crescita”, compatibile con un livello di benessere crescente della comunità; la seconda, una “configurazione forte della sostenibilità della crescita del livello di benessere, compatibile con uno “stato stazionario” del sistema economico. In entrambi i casi, come Daly ha dimostrato, diverrebbe decisivo il controllo della dinamica demografica, nel senso che, nel primo caso, la sostenibilità della crescita del livello di benessere e la salvaguardia ambientale sarebbero assicurate da un appropriato governo della dinamica demografica; mentre, nel secondo caso, lo stesso obiettivo sarebbe raggiunto con il blocco totale della crescita, a meno di quanto è necessario produrre per reintegrare (ammortamento) i beni capitali utilizzati per garantire l’aumento del livello di benessere, e con il blocco totale della crescita demografica.
Si tratta di ipotesi che, anche per i sostenitori del capitalismo “corretto à la Kotler”, risultano di difficile condivisione; sono ipotesi, tuttavia, destinate ad imporsi all’attenzione dell’umanità, se l’economia e la popolazione mondiale continueranno a crescere anche per il futuro secondo i ritmi sinora registrati. I “pannicelli caldi” proposti da Kotler dovranno essere sostituiti da ben altre “ricette”, per salvaguardare, sia la sopravvivenza dell’umanità, che l’integrità del sistema-Terra.

2 commenti

  • 1 | Aladin Pensiero
    6 Ottobre 2016 - 10:01

    […] Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi […]

  • 2 Gavinu Dettori
    7 Ottobre 2016 - 23:18

    A me non corre l’obbligo , come Renzi che dovette accettare un confronto oppositivo con Zagrebelscky. Renzi aveva il dovere di accettare in quanto Pres. del Consiglio e legislatore ( di riforme scritte da altri), ma doveva assumere un atteggiamento più umile davanti ad un “grande” riconasciuto Costituzionalista. Ma la sua difesa aprioristica, tutta studiata, della riforma Costituzionale gli ha impedito di assumere un atteggiamento di ascolto, ben anche di prevalenza, in casa propria, con espressioni mimiche e verbali per sminuire la potente figura dell’avversario. Un confronto che non aveva senso fare per l’enorme divario culturale e per le aspettative banali, obbligate delle argomentazioni riconosciute di Renzi.
    Gianfranco Sabattini, oggi amico, riconosciuto bravo professore di economia, studioso di . storia e politica, scrittore di numerose pubblicazioni sull’economia applicata e di storia,è stato anche mio professore quando insegnava “ politica economica e finanziaria” nella facoltà di economia e commmercio. Esame che io ho sostenuto ( con altri due) come studente di ingegneria con l’obbiettivo di indagare sulle implicazioni economiche che riguardavano lo studio dell’urbanistica. La mia curiosità e ricerca, che riguardava il libero programma e sviluppo del territorio e delle città, subito stroncata dalla presa di coscienza dell’immodificabile diritto della proprietà del suolo, che con la “ rendita di posizione” condizionava lo sviluppo organico della città, dando luogo alla speculazione edilizia ed alla lievitazione dei prezzi delle abitazioni, espellendo dal mercato edilizio e fuori città le fasce più deboli dei cittadini. Parte dell’abusivismo edilizio è nato a causa di questa privazione e dalla negligenza delle amministrazioni comunali e regionali di ottemperare a programmazioni tempestive e organiche delle espansioni urbane ed alla rinuncia alla costruzione di sufficienti case di edilizia economica popolare, dando di fatto l’espansione dei centri urbani, in mano ai costruttori.
    Io non mi confronto con il prof. Sabattini, ma umilmente mi informo delle sue dotti recensioni e considerazioni,che in me suscitano sempre curiosità e sollecitano riflessioni….
    Io non hol letto il libro di Kotler ed altri autori citati nella interessante, dotta e chiarissima disquisizionedal prof. Sabattini su un argomento di grande attualità del quale raramente si parla per indicarne l’evoluzione nel tempo a seguito della crisi globale che lo stesso ha generato.
    Mi scuso se da umile cittadino, di poche informazioni dirò alcune o numerose castronerie: mi interessa che sia colto il senso generale delle argomentazioni, che chi è esperto saprà cogliere.
    Gli scritti del prof. Sabattini mi entusiasmano sempre per la loro attualità e importanza, sapendo cogliere le tematiche del momento. Questa tematica sulla corregibilità o adattabilità del capitalismo non è trattata diffusamente, mentre molti studiosi si cimentano sulla crisi , anche irreversibile, da far morire il capitalismo di “overdose”, cosi dice l’economista W.Streeck, che dice anche: il capitalismo si è giovato delle opposizioni operate dalle forze contrarie ( il senso con parole mie; non mi ritrovo l’art. comparso su un numero della rivista “ micromega”).
    Se non sbaglio, il senso era che le forze politiche e sindacali oppositive hanno impedito la prevalenza oppressiva del capitalismo, con la rivendica di spazi del welfare.
    Ora ., come si dice : il capitalismo è una piovra che si appiccica e si adatta in vari sistemi politici e sociali, nelle democrazie e nelle dittature di destra, ma come è successo in cina , anche di sinistra, instaurando un capitalismo autoritatrio; nei paesi ricchi come anche in quelli poveri,…
    La sua forza è insita nella spontaneità degli scambi e nella iniziativa individuale delle persone, legata alla spontanea e intuitiva esigenza della sopravvivenza, anche se l’esigenza della socialità impone delle regole per correggere le distorsioni dovute all’assembranmento nel territorio, con la mancanza dei beni e del lavoro per tutti.
    L’uomo sociale richiede una pausa di riflessione al comportamento spontaneo e individuale, e qualunque sistema economico deve tener conto di questo dato di fatto con la necessità di sostentamento collettivo aiutando le fasce più deboli, e con la necessità di autosostentamento ( lavoro), caratteristica necessaria per la conservazione della dignità umana.
    Lo sviluppo dei diritti, che non sono altro che le rivendiche delle classi più deboli e per loro della classe media che ha la capacità di lotta, lo sviluppo della democrazia che alimenta e sostienel’ampliamento dei diritti, sono un freno all’economia selvaggia, pur salvaguardando l’intrapresa individuale e la salvaguardia delle libertà individuali e collettive.
    L’ampliameno dei diritti, conduce la democrazia ad evolver verso un Welfare diffuso con la rinuncia del sistema economico capitalista a parte di quell’essenza vitale insita nella sua stessa concezione.
    Ma alla fin fine si tratta solo di capire come consumare i prodotti, come utilizzare le risorse e come lavorarle. Allora le forti diseguaglianze sociali, non hanno convenienza per nessuno e come qualcuno dice , forse c’è convenienza ad attivare la “ solidarietà interessata”: ovvero il livello di benessere collettivo, giova anche a coloro che tendono ad accumulare i maggiori profitti, anche e soprattuto in termini di sicurezza individuale e sociale, evitando le ruberie , le ribellioni, le rivoluzioni, le guerre civili e tra le nazioni.
    Ma il capitalismo oggi sembra inattuale, in specie nei paesi a sistema democratico, che non tollera le forti diseguaglianzesociali e non condivide neanche le diseguaglianze fra gli Stati, che alimentano le guerreper l’accapparramento delle risorse e delle piazze commerciali.
    Ma il punto nodale della sua crisi e inattualità sono la limitatezza delle risorse naturali, la distruzione dell’ambiente ed ultimo ma forse il più importante , l’inquinamento atmosferico che si distribuisce equamente fra tutti, mettendo in pericolo la vita anche di coloro che inquinano e che oltre i paradisi fiscali, non esistono altri rifugi altrettanto sicuri dove poter sopravvivere……
    Questi allarmi: diseguaglianze, limitatezza delle risorse tutela dell’ambiente impongono delle regole che non per questo sono deleterie per il capitalismo sebbene la sua essenza sia quella della crescita illimitata delle produzioni e dei profitti.
    Allora parlare della decrescita, secondo S. Latouche, non sarebbe così inattuale se la si intende come una assunzione culturale di risparmio delle risorse e della produzione dei beni non necessari.
    Perchè invece di esaltare l’intrapresa al benessere individuale non si educano le persone alla cultura del benessere collettivo? Ma allora stiamo pensando al sistema collettivista? Io non lo so, ma il mondo ci dovrà tendere, ma sarà sempre dall’interno del sistema capitalista. Non si dirà siamo nel comunismo, ha vinto il comunismo, …. no! siamo nel capitalismo che si è adattato come una piovra, rinunciando alle sue originarie caratteristiche, ma conservando i principi di libertà , di proprietà, di mercato…. .. accettando e realizzando quella globalità sociale che oggi non esiste: rendendo globali la fruizione delle risorse ed uniformando il mercato del lavoro: un’altro nodo principale da risolvere, insieme alla abolizione della proprietà del terreno, che è stato reso commerciale nonostante non sia un prodotto dell’uomo.

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