Il quesito del referendum, una truffa ai danni dei cittadini

3 Ottobre 2016
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LUIGI FERRAJOLI
Articolo intero su Il Fatto Quotidiano del 27/09/2016

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Il giurista. “Nessuno aveva mai pensato alla formulazione ingannevole e fuorviante del titolo della legge costituzionale”.

I quesiti che saranno riportati sulla scheda elettorale e sottoposti al referendum costituzionale – “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi” della politica e altre piacevolezze – sono chiaramente, lo riconoscono tutti, una truffa, uno spot a favore del Sì, in grado di compromettere l’autenticità del voto. I contenuti della legge sono infatti, come i pochi informati ben sanno, assai più gravi e certamente diversi.

Configurano, per quanto riguarda “l’ordinamento della Repubblica”, una nuova Costituzione basata, anche grazie alla nuova legge elettorale, sulla centralità del governo e del suo capo e sulla totale emarginazione del Parlamento. Siamo perciò di fronte a un condizionamento premeditato dell’esercizio della sovranità popolare nel quale consiste il referendum costituzionale. Il governo, infatti, ha dato alla sua legge di revisione il titolo accattivante riportato in quei quesiti al fine di trarre in inganno gli elettori chiamati a pronunciarsi sul referendum confermativo previsto dalla legge medesima.

La truffa, a me pare, rivela perciò, quanto meno, l’incostituzionalità dell’art. 16 della legge n. 352 del 25 maggio 1970, istitutiva dei referendum. Questo articolo stabilisce che “il quesito da sottoporre a referendum consiste nella formula seguente: ‘Approvate il testo della legge costituzionale concernente… approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n… del…?’”.

Fino a oggi, nei precedenti referendum costituzionali, la formulazione del quesito rispettò questa norma facendo seguire alla parola “concernente” il titolo neutro della legge: “Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione” nel referendum del 2001 sulle competenze dello Stato e delle Regioni; “Modifiche alla parte seconda della Costituzione” nel referendum del 2006 sulla riforma Berlusconi-Bossi. Nessuno aveva mai pensato alla possibilità di una formulazione fuorviante, accattivante e ingannevole del titolo della legge costituzionale, finalizzata a trarre in inganno i cittadini nel relativo referendum confermativo. Ma è precisamente questo che questo governo ha fatto, sulla base della legge del ’70, e che altri governi potranno in futuro continuare a fare.

Ma allora proprio la formulazione ingannevole del titolo della legge Renzi-Boschi rivela il vizio di incostituzionalità dell’art.16 della legge del 1970 che disciplina i referendum. Giacché ciò su cui i cittadini sono abilitati, dall’art. 138 della Costituzione, a votare nel referendum da esso previsto non è il titolo della legge di revisione, ma le norme in essa contenute: “La legge sottoposta a referendum”, dice l’art. 138, “non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi”; dove è chiaro che l’approvazione deve avere a oggetto le norme contenute nella legge e non certo il suo titolo, che può essere – come nel nostro caso – totalmente ingannevole.

Ciò che l’articolo 16 avrebbe dovuto imporre è la pubblicazione, quale oggetto del quesito, dell’intero testo della legge sottoposta all’approvazione popolare, con ciò implicitamente scoraggiando quesiti (e riforme) illeggibili che investono mezza Costituzione. Proprio l’assurdità, sulla scheda, di un quesito riguardante, nel nostro caso, l’approvazione di ben 47 articoli, confusi, eterogenei, taluni lunghi pagine intere e incomprensibili, avrebbe reso evidente la contrarietà della legge Renzi-Boschi alla logica del referendum, che come richiesto più volte dalla Corte costituzionale deve svolgersi su quesiti omogenei. Di più: avrebbe reso evidente la contrarietà di una riforma di tali dimensioni alla natura stessa del potere di revisione istituito dall’art. 138, che è un “potere costituito”, abilitato a produrre emendamenti su norme determinate, e non può certo trasformarsi in un “potere costituente” senza violare il principio della sovranità popolare.

Insomma, questo articolo 16 dovrà essere portato all’esame della Corte costituzionale.

 

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