Neppure i sostenitori del Sì sono convinti …e men che meno convincenti

29 Settembre 2016
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Gianfranco Sabattini

Il libro di Guido Crainz e Carlo Fusaro, “Aggiornare la Costituzione. Storia e ragioni di una riforma”, è in sostanza una sorta di manifesto in pro della riforma Renzi/Boschi. Interessante l’inquadramento in una prospettiva storica, effettuata da Crainz, di tutti i tentativi di riformare la Costituzione repubblicana, succedutisi dal 1948 ad oggi. Poco convincenti gli argomenti di natura formalistica avanzati da Fusaro e di poco respiro quelli di natura politica; questi si limitano ad augurare per il sistema sociale italiano, se la riforma sarà confermata nella prossima consultazione referendaria, “con un buon grado di probabilità”, che essa possa assicurare al Paese “istituzioni politiche (un po’) più reattive ed efficienti, governi (un po’) più stabili e meglio in grado di realizzare il loro programma”. Troppo poco!
Crainz ricorda come la Costituzione repubblicana sia stato l’esito di un doppio miracolo: il primo dovuto al fatto, come ha scritto Piero Calamandrei, che mai nella storia era avvenuto che una Repubblica fosse “proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re”, senza disordini o guerra civile; il secondo riguardante il varo della Costituzione in presenza delle incertezze originate da vicende nazionali ed internazionali, così strettamente intrecciate tra loro da lasciare fondatamente presumere una vita stentata ai lavori dell’Assemblea Costituente. Malgrado le incertezze e le paure – afferma Crianz – è maturata la scrittura della Carta, “pilastro fondativo e stella polare della Repubblica”, i cui principi fondamentali hanno costituito la spinta decisiva verso la democratizzazione del Paese.
Fusaro, dopo aver riassunto i termini della riforma Renzi/Boschi, approvata dal Parlamento (illegittimo, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 2014) e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 15 aprile 2016, precisa che la riforma tocca solo la seconda parte della Costituzione (quella relativa alle funzioni e poteri dei principali organi e soggetti costituzionali), lasciando inalterata la parte prima, inclusiva dei principi fondamentali e dei diritti e doveri dei cittadini.
Fusaro, prima di avanzare la sua valutazione della proposta Renzi/Boschi mette “le carte in tavola”, esplicitando i criteri ai quali si atterrà e precisa anche che la sua valutazione, collocandosi nel campo del diritto, ovvero nel campo delle scienze sociali, non potrà non risultare soggetta a “un variabile, ma inevitabile, tasso di incertezza”; ciò perché, il diritto, come tutte le scienze sociali, è “un campo nel quale l’innovazione ad esito garantito e certo non esiste, non può esistere”. Si può parlare solo di “ragionevole probabilità”. Ciò, a parere di Fusaro, dovrebbe consigliare prudenza, sia nei fautori della riforma, che nei suoi oppositori. Questa precisazione metodologica è senz’altro condivisibile; ciò che solleva più di una riserva sono i criteri di valutazione adottati: Legittimità del procedimento di revisione, Fini perseguiti della riforma, Coerenza dell’oggetto e del contenuto della riforma, Compatibilità sistematica con l’identità e la natura della Costituzione vigente, Soluzioni specifiche individuate, Storia costituzionale e precedenti proposte, Raffronto col panorama offerto dalle principali costituzioni europee e Contesto generale.
Sulla base di tali criteri, Fusaro giunge in sostanza ad assolvere la proposta, dopo averne valutato la correttezza e l’opportunità solo da un punto di vista formalistico, trascurando invece il fatto che, dal punto di vista politico, essa galleggia su un vuoto sostanziale; egli può così concludere la sua valutazione, affermando che, se sarà approvata, la riforma “non produrrà effetti taumaturgici, né alcuna palingenesi”; produrrà, con un buon grado di probabilità, solo istituzioni politiche più efficienti e governi più duraturi. Per Fusaro, il perseguimento di questi obiettivi “non sembra poco, anche se è lungi dall’esser tutto”. La riforma Renzi/Boschi non sarà tutto, però manca di dare una risposta alla causa del malessere della società italiana, determinato principalmente da una radicata mancanza di giustizia ed equità distributiva, nonché da una prospettiva economica che si caratterizza per una crescente carenza di opportunità lavorative.
La riforma non può essere valutata - come fa Fusaro - solo dal punto di vista formale, deve esserlo anche dal punto di vista della sua idoneità a dare risposte ai problemi che, da tempo, sono all’origine del degrado politico nazionale. Ciò avrebbe dovuto implicare che nella sua stesura non ci si fosse occupati solo di rendere le istituzioni più efficienti e i governi più duraturi, ma anche della necessità che essa risultasse più rispondente ad alcuni dei principi fondamentali rimasti inalterati, sostituendo, ad esempio, al diritto al lavoro, sul quale è stata fondata la Repubblica, il diritto al reddito; fatto questo che avrebbe implicato che la riforma Renzi/Boschi fosse accompagnata da un progetto sociale che, in quanto riflettente esigenze ben diverse da quelle prevalse, avrebbe richiesto il coinvolgimento della società civile nelle forme appropriate, come si conviene ad una società democraticamente “bene ordinata”. Ciò è quanto si richiede allorché si affronta il problema dell’adattamento della Carta fondamentale di un sistema sociale, per adattarla ai cambiamenti radicali che sono intervenuti nel contesto generale originario. Purtroppo, questa esigenza è stata disattesa, ed è motivo di preoccupazione il fatto che, nel valutare la riforma Renzi/Boschi, si privilegi l’aspetto formale, piuttosto che quello sostanziale, ben più pregnante e opportuno sul piano politico.

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