Il M5S e la questione romana

8 Settembre 2016
6 Commenti


Andrea Pubusa

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Qualche lettore impertinente ha rilevato amichevolmente una reticenza di Democraziaoggi  e mia sulla vicenda del Comune di Roma. Si tratta di lettori che mantengono un atteggiamento pregiudizialmente - e soggiungo - acriticamente critico (mi si passi il bisticcio) verso il M5S. Per parte mia i fatti di Roma non modificano in nulla la mia opinione sui pentastellati. Giudico positivamente la loro azione parlamentare e sociale in difesa della Costituzione, della legalità e della pubblica morale. Sono più radicali del vecchio Partito comunista nel rinunciare al finanziamento pubblico (il PCI lo prendeva, il M5S no) e praticano anch’essi l’autoriduzione delle indennità parlamentari e di carica. Nel panorama politico italiano ormai putrescente, questo mi basta e avanza per guardare con simpatia ai pentastellati.
Questa opinione, fondata su fatti indiscutibili, non è inficiata dalle vicende romane e da altre consimili. Ma veniamo alle dolenti note. Il M5S, per sua natura, ha un problema di gruppi dirigenti. A mio avviso, l’individuazione di questi non può avvenire via web. Chi ha fatto politica sa che la formazione di un amministratore e la selezione di figure dirigenti segue criteri differenti e deve avvenire a seguito della valutazione della capacità dell’interessato mostrata per lungo tempo sul campo, nell’azione concreta. I curricula, da questo punto di vista, sono poco significativi e non sono dirimenti. Credo che questo problema sarà la spina nel fianco del M5S fino a quando non si formeranno soggetti di riferimento affidabili e sperimentati. Sotto questo profilo già a livello nazionale i Di Maio, i Di Battista ed altri mi sembra stiano dando buona prova. Sono, comunque, preferibili, anche per quanto dicono e fanno, a tanti altri che si aggirano nel PD e dintorni, spesso dediti prevalentemente a tatticismi deteriori o invischiati nel malaffare.
A Roma il M5S ha commesso una leggerezza, un errore di fondo, non candidare a sindaco un dirigente di primo livello, Di Battista. Per la rilevanza che Roma ha e per la funzione di apripista per il governo nazionale, Grillo doveva chiedere a Di Battista di candidarsi, lasciando da parte altre sue, pur legittime, ambizioni. Non sarebbe stato facile neanche per lui governare Roma, per l’eredità disastrosa lasciata dal PD e dal centrodestra, ma certo lui sembra avere schiena più adeguata a quell’immane peso.
La Raggi mi sembra fragile. Inoltre ha un’origine culturale ambigua, pur senza voler sopravalutare la sua giovanile frequentazione, come praticante legale, dello studio Preiti, e poi ha dato fin da subito la sensazione di cercare collaborazioni in persone ed ambienti non propriamente alternativi al sistema dei partiti. Ora sembra che il direttorio e lo stesso Grillo vogliano porre rimedio, ma il rischio di implosione è serio e un grave danno è già stato fatto. Commissariare la Raggi come taluni dicono o, meglio, seguirla passo passo nell’assolvimento del suo compito immane non è la stessa cosa di avere sindaco forte per capacità propria. Non è operazione facile puntellare un sindaco deboluccio. E questa mi pare la situazione.
Nel merito, la vicenda viene presentata malamente e faziosamente dai media di regime. In realtà non ci sono fatti di rilevanza penale assegnabili al nuovo esecutivo capitolino o a suoi membri. La Muraro è indagata per fatti pregressi. Non ha detto subito d’essere indagata, pur sapendolo. Nella logica del  M5S che non ammette menzogne o opacità deve dimettersi o va “dimessa”, senza che su questo passo indietro rilevi la sua vicenda giudiziaria, ancora generica e senza sicuro sviluppo. Le dimissioni della capo di gabinetto, il magistrato Carla Romana Raineri, deriva da un rilievo di legittimità di Cantone. La magistrata non ha accettato altro incarico, non per la riduzione di compenso (così ha detto), ma per il mutamento di ruolo. Tuttavia, il fatto mostra un apprezzabile desiderio di legalità della Raggi in un Campidoglio devastato dala malaffare. Poi le dimissioni del super-assessore al Bilancio, Marcello Minenna, dirigente della Consob voluto in giunta da Luigi Di Maio, conferma che non paga il coinvolgimento di persone non sulla base di un’adesione forte e militante al progetto politico, ma per ragioni professionali o di compenso.
Torniamo al punto di partenza. Il M5S deve risolvere la questione della formazione dei gruppi deirigenti. La scelta via web è aleatoria. Per il resto predica e pratica principi accettabili, espelle chi non li rispetta, difende la Copstituzione e la legalità e non dimentichiamolo scongiura che in Italia le spinte antiestablishment vadano a ingrossare l’estrema destra. Per me se non ci fosse bisognerebbe inventarlo.

6 commenti

  • 1 Tonino Dessì
    8 Settembre 2016 - 07:50

    Concordo abbastanza sul “punto” che hai scritto oggi, Andrea.
    Ribadisco per parte mia che in questo esordio infelicissimo quel che mi ha disturbato di più è l’essersi ficcati quasi con compiacimento in un contesto di intrighi, interni ed esterni. Se dovessi pensare a come mi sarebbe personalmente piaciuto agire, credo che, sia pure col dovuto rigore e sempre tenendo presenti le esigenze e le emergenze da risolvere e da affrontare, mi sarei preso il “divertimento” (non sembri un termine bizzarro o superficiale) di scassare completamente proprio questo tipo di andazzo, molto capitolino.
    Il non esser stati capaci di farlo da subito denota qualche deficit di spessore della Raggi, ma anche un paradosso pentastellato: l’autoreferenzialità, che poi ti mette in balia della situazione ambientale senza riuscire a dominarla.
    Forse si avvertono anche gli effetti della scomparsa di una figura come Casaleggio senior, che qualche eterodossia era capace di pensarla.
    C’è infine un fatto fondamentale, del quale M5S deve rendersi conto rapidamente. Hanno ricevuto consensi elettorali e di opinione che vanno oltre il loro originario bacino politico-culturale. Una parte non marginale di questi consensi è fatta di persone che un’idea son capaci di farsela anche scremando la disinformazione dei media istituzionali.
    Possiamo essere interlocutori e alleati, ma potremmo anche trovarci a ritirare attenzione e disponibilità al sostegno. Dopodiché non so quanto potrebbero vincere altre sfide.
    Comunque, anche se siamo incazzati, non emettiamo verdetti capitali. Certo, meglio se Sindaca e M5S raddrizzano in fretta la barca. Il tempo c’è ancora. Se no si affondano da soli e a certi altri sarebbe pure dargli troppa soddisfazione.
    P.s. A me il video della Raggi sul post di Grillo non è piaciuto: tono troppo sussiegoso. Il postscritto sull’allontanamento dell’inquietante Marra dal Gabinetto della Sindaca mi è poi parso un’aggiunta a denti stretti. Resta tuttavia un ripensamento positivo, ancorché frutto di un’imposizione e non di una scelta che andava fatta da subito.

  • 2 Marco Fais
    8 Settembre 2016 - 08:01

    “La Costituzione non è il Vangelo, il Corano o il Talmud. Per qualcuno però lo è, rappresenta le tavole della Legge di Mosè e ne fa un uso religioso, fideistico. La agita in manifestazione come il libretto rosso di Mao. La Costituzione è un testo scritto da uomini in carne ed ossa, non da semidei, nel secondo dopoguerra. E’ entrata in vigore il 1° gennaio 1948, 63 anni fa. Il mondo è cambiato da allora. Molti suoi articoli sono condivisibili, altri meno o per nulla, altri ancora appartengono a un mondo ideale o sono stati rinnegati o non hanno avuto nessun lieto fine nella realtà perchè mai applicati. E’ un testo di 139 articoli, scritto dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale e la fine del fascismo, che esclude i cittadini dalla possibilità di proporre delle leggi, è una Costituzione in parte “diversamente democratica”.
    Gli italiani, in pratica, non possono fare quasi nulla per cambiare le leggi a cui sono sottoposti, che regolano le loro vite. Questo diritto è riservato, “costituzionalmente”, ai partiti. Gli esempi del referendum e della legge popolare sono illuminanti.
    Non è possibile indire un referendum per introdurre una nuova legge. Le leggi si possono solo abrogare, non i tutti i casi (ad esempio per l’indulto), e solo se viene raggiunto il quorum. In sostanza quasi mai. Il referendum è una pistola scarica:
    “Art. 75. È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.”
    La Costituzione prevede la possibilità per i cittadini di raccogliere le firme per una proposta di legge popolare. Non obbliga in alcun modo il Parlamento a discuterla, quindi è un diritto sulla carta, una solenne presa costituzionale per il culo. La proposta “Parlamento Pulito” che derattizzerebbe Camera e Senato, 350.000 firme, non è stata ancora presa in esame dal Senato dopo più di tre anni.
    “Art. 71. L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”
    La Costituzione va rimessa in discussione in molti dei suoi articoli. Oggi iniziamo dal 71 e dal 75. Il 71 deve prevedere l’obbligatorietà della discussione pubblica in Parlamento di ogni proposta di legge di iniziativa popolare entro sei mesi dal deposito delle firme. Il 75 deve introdurre il referendum propositivo e senza quorum. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.”
    Così si esprimeva Beppe Grillo, in un post pubblicato sul suo blog il 5 marzo 2011, confermando che le sue posizioni sulla riforma (che io, per inciso, avverso con tutte le mie forze) sono ispirate da un mero calcolo opportunistico e non dalla convinta adesione di M5S ai principi della Carta. Professor Pubusa, secondo me sbaglia a individuare nei pentastellati l’alternativa democratica al governo Renzi. Non sono un’alternativa (alla prova del governo stanno fallendo miseramente); ma soprattutto non sono democratici: secondo lei, un partito retto tramite un blog è compatibile con il “metodo democratico” a cui fa riferimento la Costituzione? E lo squadrista Di Battista (figlio di un fascista che non ha mai rinnegato la sua fede) è il leader in grado di restituire dignità alla democrazia parlamentare? Andiamo… Le sfugge inoltre che Renzi deve gran parte delle sue fortune proprio all’atteggiamento di ottusa e pregiudiziale (questa sì) chiusura opposta dai M5S a Bersani nel 2012: se i pentastellati avessero tenuto un atteggiamento diverso, oggi avremmo Bersani presidente del consiglio (e Bersani non è Renzi…); Prodi Presidente della Repubblica e Renzi sarebbe ancora sindaco di Firenze. Le pare poco?
    Saluti, Marco Fais

  • 3 Carlo Dore jr.
    8 Settembre 2016 - 08:22

    Caro Professore, Caro Tonino
    secondo me, siete troppo generosi con il M5S, e troppo ottimisti sulla loro attitudine a rappresentare le posizioni di quell’area “democratica” oggi senza riferimenti. A mio avviso, M5S è un partito di destra: una destra aggressiva e regressiva, incapace di andare oltre l’opposizione urlata, che, alla prova del governo, sta confermando tutti i limiti e le opacità di una classe dirigente immatura e impreparata (strillare sotto i balconi è facile, costruire è difficile). Ricordiamoci poi che Renzi deve a Grillo buona parte delle sue fortune: vuoi perché i due sono uniti da una matrice comune (la rottamazione era una forma di grillismo ante litteram), vuoi perché Renzi oggi governa anche grazie alla linea seguita da M5S nel 2012. Credo (anche se sul punto abbiamo idee diverse) che con Bersani a Palazzo Chigi e Prodi al Quirinale l’Italia vivrebbe una realtà diversa (molto più potabile) rispetto a quella attuale. Infine, la Costituzione: non penso che Grillo abbia abbracciato le ragioni del NO perché condivide le nostre posizioni sulla difesa della Carta. Ragiona in termini di mero opportunismo politico (ricordiamoci cosa scriveva sulla Costituzione nel 2011: riporto di seguito il link al post del suo blog in cui descriveva la Carta come “diversamente democratica”: http://www.beppegrillo.it/2011/03/la_costituzione_non_e_intoccabile.html ): d’altro canto, un Movimento che accetta acriticamente le posizioni espresse da un reggente che si cela dietro un blog è lontano anni luce da quel “metodo democratico” a cui, per scelta del Costituente, i partiti devono essere ispirati. In conclusione, l’alternativa a Renzi va costruita ex novo: non può trovare riscontro nell’esistente.

  • 4 T. D.
    8 Settembre 2016 - 13:16

    Carlo, ne ho scritto altre volte. Ritengo un errore considerare di destra M5S. È un fenomeno che semmai va considerato nell’ambito dei vari populismi contemporanei. Direi che tra questi populismi M5S, al di là dei proclami talvolta apocalittici e dei toni aggressivi, è persino un populismo moderato. Il pasticcio romano è da considerare proprio una manifestazione di insufficiente radicalità pratica. Terrei poi presente la lucida osservazione di Andrea: il M5S ha arginato in Italia un possibile en plein di tipo lepeniano, sul quale invece da tempo è confluito anche gran parte dell’elettorato della gauche francese. Le motivazioni dell’opposizione parlamentare e della scelta referendaria per il NO alla revisione costituzionale, poi, li collocano, differentemente da quanto si può sostenere per FI e Lega, in un campo indiscutibilmente democratico.

  • 5 Mario Sciolla
    9 Settembre 2016 - 02:30

    Non so quanti altri lettori abbiano rilevato la reticenza di Andrea e del suo blog sulle vicende romane del M5S. Io l’ho fatto, scrivendogli un’amichevole E-mail in merito. Reputavo (e reputo) doveroso che chi ha spesso manifestato simpatie per il M5S dovesse uscire allo scoperto e dire la propria opinione. Ora possiamo leggerla ed è giusto che sia così.
    Quel mio rilievo mi classificava fra i “lettori che mantengono un atteggiamento pregiudizialmente e acriticamente critico verso il M5S”?
    Caro Andrea, la tua affermazione – questa sì – è frutto di pregiudizio. Non condividere atteggiamenti, decisioni, atti del M5S non significa essere pregiudizialmente contrari. Peraltro, non so fino a che punto tu conosca il mio giudizio nei confronti dei pentastellati. Ad esempio – pur nella netta distanza che mantengo nei confronti del M5S – sono convinto che si dica parecchio di vero quando si afferma che un blocco molto consistente (seppur non omogeneo) di interessi punti sistematicamente al suo svilimento.
    Non entro nel merito del tuo articolo: mi porterebbe a scrivere troppo (e non pretendo di porre mano a un trattato). In sintesi, la mia opinione sul M5S è che si tratta di un fenomeno necessariamente figlio del periodo che attraversiamo: rivolta contro la corruzione dilagante, disorientamento, crollo di molte delle credibilità prima ritenute salde. Ciò richiama adesioni sia da sinistra che da destra. In questo divergo dall’affermazione di Carlo Dore jr., che classifica il M5S tout-court come “un partito di destra”. Il M5S non ha ancora individuato un orientamento certo. Nel suo seno ci sono spinte sia destrorse che sinistrorse. Il tempo dirà se arriverà a una scelta definita. O se, magari, diminuirà / estinguerà la sua consistenza. Io, per mio conto, in questa desolante situazione generale, continuo a sentirmi desolatamente figlio di nessuno.

  • 6 admin
    9 Settembre 2016 - 10:35

    Andrea Pubusa

    A me poco interessa qualificare la posizione del M5S (destra o sinistra), valuto solo le loro prese di posizione e le loro battaglie. Dico e ripeto che condivido la loro lotta rigorosa sulla questione morale, la difesa della Costituzione contro lo scasso Renzi-Boschi, la loro lotta senza compromessi verso il sistema ormai marcio dei partiti (PD compreso o in primis).
    Quanto alle critiche alla Costituzione di Grillo, mi paiono appunti su cui si può discutere e anche consentire, essendo volti ad allargare la partecipazione diretta dei cittadini. Non si tratta di un disegno di scasso, ma di una revisione, discutibile, ma possibile.
    A me tutto questo basta a dare un giudizio positivo del M5S. Ciò non toglie che non veda le criticità. In particolare la centralità del web mi sembra potente se ha dato al Movimento in pochi anni ciò che il PCI aveva conquistato dopo la Resistenza, anni di lotte sociali e con un apparato organizzativo capillare. Dico che non mi ritrovo nel web. Sono e rimango un uomo di sinistra del Novecento. Tuttavia, non nego che anche il web possa essere utile. Ritengo tuttavia che i gruppi dirigenti si formino sul campo. Tuttavia osservo che i dirigenti del M5S non sono peggio di quelli del PD, anzi solitamente sono migliori, essendo i pdini di solito dediti solo alla trama e spesso al malaffare.
    Non aderisco al M5S, sono anch’io un cane sciolto, ma ciò non mi impedisce di vedere che senza il M5S la nostra battaglia per il NO sarebbe persa in partenza, la prospettiva di alternativa al sistema marcio sarebbe senza speranza. Il M5S rappresenta un contrappeso a tutto questo e sopratutto costituisce un catalizzatore accettabile delle spinte antisistema che in tutta Europa buttano decisamente all’estrema destra.
    Quanto poi alle vicende Bersani-Prodi, Carlo Dore e Fais dimenticano che la preclusione a Bersani è venuta da Napolitano, che ben poteva (anzi doveva) conferirgli l’incarico, e che Prodi è stato impallinato dai suoi (i mitici 101). I 5 stelle avevano candidato Rodotà e anche D’Alema ha ammesso al Cinema Farnese nei giorni scorsi che sarebbe stata una mossa intelligente far convergere i voti PD su Rodotà. Ma quanti dei deputati PD avrebbero seguito una simile indicazione? E’ ormai evidente che Napolitano, in collegamentoi con settori ampi del PD e con lo stesso Berlusconi, era il regista occulto della propria rielezione e del siluramento di Bersani, reo di una chiusura verso la destra e di un’apertura verso i pentastellati (i quali pur senza entrare al governo, avevano dichiarato di poter concordare e votare i singoli provvedimenti). Alla luce di quanto abbiamo visto dopo e dell’inaudito trasformismo del PD, pur con tutti i dubbi del caso, mi pare che l’avere il M5S mantenuto una distanza dal PD sia stata una mossa intelligente, che gli ha salvato la credibilità e, dunque, la possibilità di vincere le prossime elezioni politiche.

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