“Questione morale” o criminalità?

15 Gennaio 2009
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Franco Bandiera

Gli avvenimenti succedutisi in questi ultimi tempi hanno reso più forte il bisogno, già in precedenza avvertito, di esplicitare in un supporto durevole alcune riflessioni, forse nel tentativo di fugare la sottile inquietudine ed il disappunto suscitati dai fatti che segnano la vita pubblica del nostro Paese.
1. Periodicamente, specie in occasione di indagini giudiziarie che coinvolgono la nostra classe politica, ritorna in auge la cosiddetta “Questione morale”. Le ultime vicende giudiziarie che hanno coinvolto numerosi amministratori locali dell’Umbria, del Comune di Pescara e di quello di Napoli appartenenti al Centro sinistra, nonché due parlamentari dei contrapposti schieramenti politici, confermano tale tendenza.
Sollevo, innanzitutto, un dubbio circa l’opportunità di utilizzare tale formula – “Questione morale” – per un fenomeno che, ove riferito ai normali cittadini, verrebbe semplicemente e correttamente definito in termini di incidenza della criminalità in un certo settore della vita sociale. Si discute, infatti, di gravissimi reati, in particolare contro la pubblica amministrazione, commessi, ove accertati in sede giudiziaria, da numerosi politici, imprenditori ed altri soggetti.
Perché ove siano coinvolti comuni cittadini parliamo di reati e criminalità ed invece, ove siano coinvolti politici ed amministratori pubblici parliamo di “Questione morale”? Il ricorso a formule linguistiche differenti potrebbe legittimare l’idea che la cosiddetta Questione morale non abbia a che vedere con la criminalità, ma con la moralità dei soggetti coinvolti e con il giudizio degli elettori.
Più correttamente, invece, la formula “Questione morale” dovrebbe essere riservata a quei comportamenti che, pur non integrando un illecito, appaiono, per varie ragioni, più o meno inopportuni in ragione del ruolo coperto dal soggetto al quale il comportamento si riferisce. Ovviamente, non si vuole sottovalutare la delicatezza ed importanza di tale questione. Tali comportamenti, infatti, spesso possono assumere anche una notevole gravità e palesarsi come particolarmente riprovevoli sul piano sociale e politico, tanto da rendere opportune le immediate dimissioni e, in difetto, l’auspicato, ma in Italia mai praticato, ostracismo dell’eventuale politico coinvolto.
Si pensi, per esempio, ad un amministratore pubblico il quale, esercitando per ragioni di servizio poteri nei confronti delle imprese che prestano la loro opera per la pubblica amministrazione nella quale egli opera, si rivolga alle medesime imprese per le sue esigenze personali. A prescindere dal fatto che egli approfitti effettivamente del suo ruolo, tale comportamento sarebbe certamente inopportuno, potendo destare nel cittadino il sospetto che l’amministratore coinvolto abbia approfittato della posizione ricoperta per ottenere vantaggi personali diretti od indiretti.
2. Nella stragrande maggioranza dei casi, tuttavia, ed in particolare in quelli che interessano le cronache giudiziarie degli ultimi tempi, si tratta di fattispecie di reato e dunque di fenomeni assai più gravi delle questioni di opportunità sopra ricordate, senza peraltro che ciò significhi disconoscere l’importanza di queste ultime. Riferirsi a tali vicende in termini di questione morale appare, pertanto, un eufemismo ingiustificato ed inopportuno, una foglia di fico che nasconde la reale essenza e gravità del fenomeno. È senz’altro più corretto discutere dell’argomento in termini di diffusione, piuttosto capillare, nell’ambito della nostra classe politica della corruzione e dei vari reati contestati e spesso confermati in giudizio.
Chiamiamo pertanto le cose con il loro nome, ne guadagneremo tutti in chiarezza.
3. L’intera classe politica - sia la maggioranza, evidentemente non esente dal fenomeno, che l’opposizione, attualmente toccata dalle ultime indagini giudiziarie - piuttosto che lamentare inesistenti invasioni di campo da parte della magistratura, che si limita a perseguire i reati, si faccia carico del problema assumendo iniziative per circoscrivere e limitare il problema ed espellere dalla vita pubblica le mele guaste, dando così un forte segnale di rigore e rinnovamento.
A tal fine, la classe politica potrebbe e dovrebbe adottare, fra gli altri ed a titolo meramente indicativo, provvedimenti tesi a: potenziare i poteri di indagine dell’autorità giudiziaria; approvare codici deontologici di comportamento in applicazione dei quali, a prescindere dalle decisioni dell’autorità giudiziaria o dall’eventuale prescrizione dei reati, vengano espulsi gli iscritti che violano le regole deontologiche; intensificare i controlli interni degli organi direttivi dei partiti sugli iscritti che ricoprono cariche pubbliche, prevedendo che agli organi di controllo partecipino anche soggetti esterni al mondo politico ed al di sopra di ogni sospetto; rinnovare gli statuti e le regole di funzionamento dei partiti affinché sia garantita, diversamente da quanto accade attualmente, l’effettività della partecipazione democratica; adottare regole che garantiscano una più accentuata trasparenza ed efficienza degli appalti pubblici e, più in generale, delle procedure di evidenza pubblica; ecc.
Su tali temi, tuttavia, non si avverte neppure un timido cenno. Temo, pertanto, che dovremo attendere ancora parecchio tempo perché emerga una nuova coscienza nella vita pubblica che recepisca le istanze di rigore e correttezza degli elettori.

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