Andrea Pubusa
Intorno a questa splendida chiesa sorgeva Palmas, raso al suolo dalle ruspe mezzo secolo fa
L’altro giorno sono andato a Palmas vecchio a sentire i Tenores di Bitti, anteprima della rassegna jazz di S. Anna Arresi, ora in svolgimento. Splendida la cornice, la chiesa romanica di S. Maria di Palmas, la parrocchiale di Palmas Suergiu fino a mezzo secolo fa. Poi tutte le case intorno, tutto il paese è stato raso al suolo. Non per un terremoto come ad Amatrice e dintorni, ma per decisione politica. La chiesa risale al 1066 e testimonia dell’importanza del paese, che è stato anche comune autonomo prima di diventare frazione di S. Giovanni Suergiu nella seconda metà del secolo scorso. Se si tiene conto della vicina S. Marta di Villarios e della chiesa romanica nel centro abitato di S. Giovanni Suergiu, fino a poco tempo fa ridotta ad un ricovero di animali, ci si rende conto dell’importanza della zona, attestata dalla magnifica chiesa di Tratalias, per lungo tempo sede vescovile, fino al trasferimento ad Iglesias, al riparo dalle incursioni saracene.
Dall’ampio e accogliente golfo di Palmas sono entrate in Sardegna tutte le civiltà, dai fenici, ai romani, giù giù fino agli spagnoli, che, sbarcando in quella costa, iniziarono la loro penetrazione nell’Isola prima della battaglia di Sanluri.
Luoghi ricchi di storia, presidio verso il mare con la cintura di nuraghi che da S. Antioco si irradia verso S. Anna Arresi, Palmas e, via via, fino a Monte Sirai e oltre. Poi si penetra all’interno fino ad Iglesias da una parte e, dall’altra, fino a Pan’e Loriga (Santadi), fortezza, prima nuragica e poi punica, per il controllo della strada dell’alto Sulcis (chissà perché chiamato basso?!). Dovunque si scavi da quelle parti si trovano reperti archeologici fino alla notte dei tempi.
Nella presentazione dei tenores il giovane presidente dell’Ass. culturale “Palmas vecchio” ha enfaticamente, ma giustamente ricordato che il canto dei Tenores ci riporta alle origini della sardità come la chiesa di S. Maria e la sua piazza evocano le radici di quelle popolazioni sulcitane. Il discorso però è rimasto monco, spezzato, la memoria è andata ai tempi lontani, ma non al passato prossimo. Chi non sa pensa che S. Maria di Palmas sia una delle tante chiesine campestri sparse a coprire i vecchi luoghi di culto pagani. Non ha, quel giovane, parlato della distruzoine ad opera delle ruspe di paesi interi, nè ha detto che a Villarios non hanno risparmiato neppure la chiesa che sorgeva nello spiazzo vicino all’attuale bivio per P. Pino. Non ha detto che quello scempio, che ha cancellato tre paesi, ha distrutto irreparabilmente il deposito di cultura materiale e non solo che gli edifici di un paese rappresentano. Ci avrebbe dovuto dire che a quella cancellazione hanno cncorso, col governo regionale e nazionale, anche gli abitanti di questi paesi, che hanno accettato di abbandonare le loro case e di vedere raso al suolo il loro paese per andare a vivere in agglomerati simili ai quartieri di case popolari delle periferie urbane e non. Si dirà. Ma la diga di M. Pranu ha reso inagibili le case con le infiltrazioni d’acqua. Ma non c’erano altri rimedi? La distruzione doveva essere totale con spagimento di sale finale per impedire qualsiasi ricostruzione. Sono stati trattati questi paesi come i lanzichenecchi e i romani trattavano le città nemiche espugnate. Eppure le vicende successive mostrano che quella misura, la distruzione, era irragionevole ed eccessiva. A Tratalias, ad esempio, l’antica cattedrale non ha infiltrazioni, è integra. Ed anche le case intorno non se la passano male, se, addirittura, sono stati spesi milioni per restaurale. Ora si vuole rilanciare il vecchio borgo, silenzioso e morto. Una improbabile resurrezione. Ma perché è stato abbandonato totalmente quando era fiorente e pieno di vita? Perché non salvare allora ciò che è stato restaurato oggi? Perché non si son fatti interventi parziali e mirati?
Vi chiederete: ma dove vuoi andare a parare? In nessun luogo, voglio solo dire che il Sulcis, porta d’accesso nella nostra Isola per tutte le correnti culturali e politiche fino al socialismo di Cavallera, ha subito varie violenze per “ragioni superiori”, la distruzione dell’agricoltura e dell’allevamento a favore delle miniere, in particolare di Carbonia in funzione dell’autarchia fascista e dell’avventura bellica. La demolizione, mezzo secolo fa, di tre paesi da parte della DC con la connivenza dei proprietari del luogo era una sorta di contropeso governativo alla prevalenza socialcomunista a Carbonia e Iglesias. Se non si prende coscienza di queste dinamiche la ricerca delle radici lontane è solo un modo per nascondere ciò che è realmente accaduto nel recente passato e cosa accade nel presente. Ma su questi vuoti di memoria e di analisi non si costruisce nulla, neppure un serio discorso culturale.
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