Andrea Pubusa
Al mare la spesa la faccio io. Una sorta di compensazione per quanto non faccio nel resto dell’anno. E così ogni santa mattina, dopo aver visto e fotografato il sorgere del sole dietro i monti (a proposito compare sempre più tardi!), curo il giardinetto con fiori e piante, e poi, via! Seguendo scrupolosamente le istruzioni di mia moglie, come tanto tanto tempo fa tempo facevo con la maestra, faccio gli acquisti. I giornali, il Fatto e l’Unione, poi, unu cibraxiu, che a P. Pino è buonissmo, consistente e profumato, poi le solite cose, dal dentifricio alle fette biscottate. Casu e pardulas nisba, c’è il colesterolo in agguato| Ma, a parte la dieta, il punto critico è la frutta e verdura. Prima era ottima nel negozio e nella bancarella sulla strada. Il primo si riforniva giorno per giorno dai produttori o dal mercato generale. Roba di prima scelta, pesche di S. Sperate e cia discorrendo. Il secondo arrivava col trattore direttamente dai campi, frutta e ortaggi avevamo ancora l’odore intenso della campagna. Ora, i venditori hanno scoperto di essere monopolisti. Al mare frutta e verdura la vendono in pochi. Dunque, chi non viene da fuori e se la porta in auto deve acquistare lì. E’ obbligatorio, non c’è scelta. E questo sapete come si chiama in economia? Monopolio, signori miei… proprio così: s’appella monopolio. E così basta che i venditori siano d’accordo, anche tacitamente, e, oplà, l’offerta rimane omogenea nei prezzi anche se la qualità è scarsa. Il risultato? Presto detto: quest’anno, addio alla frutta di prima scelta e addio alle verdure direttamente dalla compagna. Il venditore non si alza all’alba, è faticoso, dorme fino a a poco prima dell’apertura. Nulla da dire, dobbiano esser comprensivi…sennonché i prezzi sono gli stessi, come se si trattasse di frutta di giornata. Prendere o lasciare, se vuoi di meglio devi farti, i mitici 20 km. al giorno della canzone di Nicola Arigliano, ma lì il viaggio era finalizzato a vedere la morosa, qui …a comprare pomodori. Decisamente meno romantico, più prosaico ed allora ti acconci a prendere ciò che passa il convento…,pardon! il mercato.
Morale della favola. Certo qui l’attrazione principale sono le ampie spiagge, che consentono di soddisfare tutti i gusti, quelli di chi ama stare sotto l’ombrellone gomito a gomito col vicino fino a chi vuole mantenersi a debita distanza. O ancora recarsi alle scogliere meravigliosamente scolpite dal mare e dal vento, da cui puoi tuffare o buttare l’amo. O ancora recarti nella pineta di pino d’Aleppo, dove puoi fare lunghe passeggiate o, se preferisci, puoi girare lungo gli stagni fra fenicotteri e tanta bella fauna e flora acquatica. O se vuoi puoi fare una bella sgambata nella spiaggia recarti alle montagne di sabbia “is arenas biancas“, che si vedono perfino da S. Antioco. Un paradiso! Ma poi? Poi c’è la dura realtà dell’accoglienza o meglio della carenza di accoglienza. Parcheggi, da pagare senza neanche un rubinetto per lavarti le mani o pulirti i piedi prima di salire in macchina, la doccia in spiaggia come a Nizza è solo fantascienza, multe e infine il taglieggiamento di chi ti vende le merci a peso d’oro spesso senza giusto rapporto con la qualità. Certo, non sfugge che un esercizio stagionale al mare ha costi aggiuntivi, che in poco tempo c’è l’aspettativa di mettere in cascina un po’ di fieno per l’inverno, ma è fuori di dubbio che, complessivamente, il contesto amministrativo e commerciale è respingente, crea disagio, non aiuta a star bene. Insomma, non basta la bancarella nella strada, occorre che il prodotto venga direttamente dal campo e che sia a prezzi normali. Anche questo fa parte del richiamo per il turista o il villeggiante, che poi spesso e niente più che il lavoratore o l’impiegato con reddito fisso e normale. Giocare a foti-turista alla lunga crea un brutta nomea, respinge anziché richiamare. Non paga.
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