Crisi della rappresentanza, poteri forti… e piccoli!

28 Giugno 2016
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Aldo Lobina

La crisi della rappresentanza  è crisi del concetto stesso di democrazia, così come si era delineato precedentemente alle attuali distorsioni  ipermaggioritarie. Quando parliamo di attività politica non possiamo dimenticare che tra una decisione,  frutto magari di una corretta elaborazione (rientrante cioé nel progetto programmatico per il quale si era stati eletti) e  la sua attuazione non ci sono solo le burocrazie internazionali con la loro autoreferenzialità, ci sono anche  le burocrazie delle regioni e dei comuni, con le quali tocca di fare i conti non solo a noi cittadini, ma anche ai politici che di volta in volta vengono selezionati con leggi più o meno porcelline.
Voglio spostare per un momento l’attenzione dal  mercato e dal grande capitale che giuoca un ruolo di primo ordine nella globalizzazione, costringendo la politica degli stati nazionali alle forche caudine delle sue decisioni, dal mercato – dicevo -  a quella cinghia di trasmissione del potere cui in Italia i politici hanno demandato responsabilità tecniche enormi. Meccanismo che nella migliore delle ipotesi asseconda le scelte politiche, ma più spesso le condiziona, arrivando a distorcerle. Lungaggini, sviste, inadempienze spesso contrastano l’azione dei  governi locali, non sempre attrezzati all’amministrazione del bene comune.
Basta osservare quello che accade nei nostri piccoli centri dove se il burocrate è disattento o ci fa - e i politici di turno non sono all’altezza – arrivano a  chiudere  servizi di rilevante importanza o si attivano contenziosi inutili, con lo sperpero di risorse e di tempo preziosi.  Ma avrà un bel da fare il nuovo sindaco di Roma con la sua macchina comunale, esito di una selezione non proprio contigua alla sua parte.
Ci sono allora differenti problemi, in ordine di grandezza: i poteri forti del capitale e delle banche che dettano le politiche internazionali; la non rappresentatività di un parlamento eletto con legge porcellina o eligendo con la sua variante italica (referendum permettendo), la mostruosità di un apparato burocratico – e per esso intendo anche quello non strettamente legato alla pubblica amministrazione - che può fare il bello e il cattivo tempo. Quando non viene addirittura trasformato in burocratico un servizio geneticamente differente. Si pensi a cosa è diventato per esempio il nostro sistema sanitario nazionale: medici di famiglia e medici ospedalieri trasformati in impiegati, direttori di strutture complesse distolti dalle loro attività principali di diagnosi e cura, affossamento delle strutture pubbliche, affidate a direzioni  burocratiche (mi sarebbe piaciuto dire sanitarie, ma non posso) a favore di quelle private, gestite dai  vari cacicchi locali.
Finché non prenderemo coscienza della necessità di scegliere persone preparate per amministrare anche le piccole realtà locali non saremo in balia solo dei poteri forti, ma anche di quelli deboli. Il che è tutto dire.

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