Renzi, come B., attacca la rappresentanza

25 Giugno 2016
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Andrea Pubusa

Il nostro, non è il tempo della democrazia diretta, ma forse ormai neppure della rappresentanza. Anche la democrazia rappresentativa è sotto attacco. E’ in  palese crisi  come comprova l’elevato astensionismo elettorale,  conseguente alla perdita di fiducia nella classe politica e al malfunzionamento dei meccanismi di responsabilità. E – si badi – le forme partecipative (dibattito pubblico, sedute partecipative etc.), in questo ambiente a-democratico, sembrano le classiche foglie di fico per nascondere che le decisioni avvengono altrove.
Dal punto di vista concettuale, la rappresentanza politica è altra cosa rispetto alla rappresentanza giuridica. Il parlamentare che rappresenta, secondo l’art. 67 della Costituzione, la nazione non è il mandatario che «rappresenta» il mandante nell’acquisto di un qualsivoglia bene. Certo entrambi sono espressione di una finzione, in virtù della quale chi è presente «sta per» qualcun altro che è assente e per questi agisce e decide. Al di là dei tratti comuni i due tipi di rappresentanza sono radicalmente diverse: la rappresentanza politica consente di trasmettere da un soggetto all’altro, identità culturali, valori, idee, convincimenti morali. La trappresentanza giuridica, mantenendosi tutta nella sfera  privata, è più semplicemente una tecnica di commercio giuridico. Questo spiega anche il divieto di  mandato  imperativo. A differenza della rappresentanza giuridica dove il mandato è connaturato alla rappresentanza degli interessi ed è riferito al particulare di un certo affare o ad un determinato interesse economico-sociale, la  rappresentanza politica è caratterizzata dal riferimento alla generalità degli affari della polis. E’  immanente nella rappresentanza politica un elemento di rappresentazione simbolica, un’aspirazione a rendere presente il rappresentato, sia pure attraverso il filtro della fictio, nella globalià del suo essere pubblico. (Luciani). Seppure mediante una finzione giuridica, la rappresentanza politica possiede un eccezionale valore connesso alla capacità di esprimere intere visioni del mondo.  C’è dunque una trasmissione reciproca di valore fra rappresentato e rappresentante politico, poiché la trasmissione di idee e valori accresce il  pregio di entrambi.
E allora perché la crisi della rapresentanza politica? Intanto per la riduzione nelle società contemporanee degli spazi a disposizione della politica, a favore del mercato. L’arretramento della politica, ovviamente, colpisce il meccanismo  della  rappresentanza, perché demanda al mercato la definizione di assetti che prima avevano nel Parlamento il naturale centro della mediazione tra i soggetti sociali.
Lungi dall’ostacolare il processo di neutralizzazione, il Parlamento lo ha assecondato; d’altronde la preminenza del mercato lo priva di capacità d’intervento in favore di autorità indipendenti dal corpo elettorale; vengono inoltre valorizzate le burocrazie sovranazionali, con la creazione di autorità internazionali “tecniche”, autoreferenziali, espressione del potere economico-finanziario globale.
Queste forze (gramscianamente) egemoni in questo periodo storico hanno interesse a disinnescare il conflitto politico e al mantenimento dello status quo, in sintonia con la classe  politica  espressa  da  chi  ha  vinto.
I sistemi elettorali ne costituiscono il naturale sviluppo.
Paradossalmente, l’indebolimento viene generalmente presentato come il suo opposto, come un rafforzamento del primato della dimensione politica generato dal potere conferito agli elettori di scegliere volta a volta la coalizione di governo. E’ la c.d. governabilità, ottenuta con una riduzione e una svalutazione della legittimazione legale, a favore di una (falsa) valorizzazione della legittimazione popolare della rappresentanza politica ottenuta dalla possibilità dell’alternanza annessa al sistema bipolare e ricondotta all’aperta rivendicazione dell’onnipotenza della maggioranza.
Come è stato giustamente osservato, prima com Berlusconi ora con Renzi, è in costruzione in Italia  un regime personale e illiberale, senza precedenti né confronti nella storia, conseguente allo svuotamento della rappresentanza politica. Prevale l’idea del capo che si realizza attraverso la personalizzazione  della rappresentanza e il contestuale indebolimento del parlamento. Il sistema politico viene così ad assumere una connotazione apertamente populista. L’espressione organica della volontà popolare è il capo, che, per l’elezione diretta, assorbe la mediazione parlamentare sulla pluralità degli interessi in gioco. Questa legittimazione diretta del capo determina l’insofferenza per le regole e per il pluralismo istituzionale. Il capo si pensa come sciolto dalle regole e dall’azione dela magistratura. Il Parlamento, l’indipendenza della magistratura e l’autonomia della scuola sono sotto attacco. Le leggi elettorali dal Parlamento ai Consigli regionali e comunali svuotano la rappresentanza: i parlamentari, formalmente eletti, sono nominati dai vertici dei partiti e rappresentano oggi, più che gli elettori, coloro che li hanno nominati e dai quali dipendono. Delle province sono stati soppressi i consigli, anche il Senato lo si vorrebbe non elettivo. L’azione di Renzi è volta a dare forma legislativa a questo processo di svuotamento della rappresentanza.
Ecco perché bisogna battere la schiforma Renzi-Boschi-Verdinie ridare centralità al Parlamento e alle assemblee elettive.