Paolo Ciofi
- Dal sito “Dalla parte dei lavoratori” del 21 del Giugno 2016.
Condenso nei seguenti dieci punti ciò che a mio parere ci ha detto il voto del 19 giugno.
1. Ormai, quando a votare va metà dell’elettorato, i governi locali e centrali diventano espressione stabile di una minoranza: a Roma, capitale d’Italia e una delle principali metropoli europee, del 67 per cento del 50 per cento degli elettori. È la manifestazione inequivocabile della crisi della democrazia rappresentativa e dei partiti, della degenerazione della politica in sistema di potere a tutela dei più forti. La democrazia non è più governo del popolo, si trasforma in oligarchia. Una tendenza che si rafforzerebbe se vincesse il sì nel referendum costituzionale, e non fosse respinta la legge ipermaggioritaria voluta da Renzi.
2. Questa condizione è l’effetto del dominio assoluto del capitale finanziario nella sfera economica, culturale-comunicativa e politica. Di conseguenza, della cancellazione dal sistema politico della rappresentanza del lavoro. I lavoratori hanno perso così ogni capacità di incidere sul corso delle cose: non solo la classe operaia tradizionalmente intesa, bensì le lavoratrici e i lavoratori postfordisti, cognitivi e non, subordinati e autonomi, giovani e anziani, i quali da anni pagano il prezzo più alto della crisi economica e sociale.
3. Qui sta la radice profonda, e misconosciuta, della crisi democratica in cui viviamo. Con i conseguenti fenomeni di distorsione e svuotamento delle istituzioni, di appropriazione privata dei beni pubblici, di diffusione della corruzione e della criminalità economica, di sfarinamento delle forze politiche dominanti. La straordinaria vittoria della Raggi a Roma come il successo della Appendino a Torino sono il risultato del diffuso malessere, della protesta e della volontà di cambiamento che i partiti tradizionali non hanno saputo raccogliere, e anzi hanno alimentato in forme diverse.
4. La generale affermazione del Movimento 5 Stelle è speculare alla pesante sconfitta di Renzi e del partito di Renzi, percepiti giustamente come fattori aggravanti della crisi. Vale a dire dell’impoverimento e delle disuguaglianze crescenti, della distruzione del territorio, dell’arroganza del comando, oltre che delle ingiustizie e della corruzione. I 5 Stelle sono apparsi come una ciambella di salvataggio a cui aggrapparsi per non colare a picco. Né, d’altra parte, il voto si può qualificare per questo come una ripicca contro Renzi. Al fondo ci sono motivazioni sociali profonde, cui la sinistra esterna al partito di Renzi da tempo non è stata in grado di dare risposta. Come dimostra il voto a valanga per la Raggi nelle periferie romane, favorito dalle divisioni della destra.
5. Nella cancellazione di un’autonoma e libera rappresentanza politica del lavoro, centrodestra e centrosinistra in questi anni si sono nella sostanza equivalsi, con la sinistra alternativa in una posizione di fatto subalterna, o comunque non in grado di incidere. Il risultato è stato che nelle ultime elezioni politiche il principale partito votato dagli operai è risultato essere quello di Grillo e Casaleggio. Mentre sul versante opposto l’equivalenza neoborghese tra centrodestra e centrosinistra, con i lavoratori fuori dai giochi, è stata pienamente confermata a Milano, dove i due candidati a sindaco, Sala e Parisi, erano espressione dei medesimi interessi dominanti, seppure su posizioni elettoralmente diverse.
6. Se la vittoria di De Magistris a Napoli dimostra, al contrario, che una appena decente coalizione di sinistra non lascia molto spazio ai 5 Stelle, occorre tuttavia riconoscere che questi a livello nazionale stanno diventando un partito con un notevole radicamento sociale, si sforzano di costruire un gruppo dirigente e si avvalgono di competenze riconosciute, come quella dell’urbanista Paolo Berdini. La loro prospettiva dipenderà molto dalla capacità di governo che dimostreranno alla testa di grandi città a cominciare da Roma, in una fase di costruzione di un soggetto politico non ancora consolidato, e perciò aperta a diversi possibili sbocchi.
7. Sin da ora però appare evidente che la principale debolezza dei 5 Stelle riguarda la loro cultura storico-politica, in particolare nella distanza dalle culture che hanno dato vita alla Costituzione e alle fondamentali conquiste democratiche e sociali degli italiani. Ciò che li espone all’influenza del neoliberismo e alla pressione degli interessi dominanti. Piuttosto che al fondamento del lavoro, essi sembrano orientati a dare priorità alla piccole e medie imprese e alle attività professionali, trascurando che nel nostro impianto costituzionale il fondamento del lavoro è il pilastro dell’uguaglianza e della libertà. E che pertanto è necessario rimuovere gli ostacoli economici e sociali che di fatto limitano lo sviluppo della personalità e la partecipazione dei lavoratori «all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
8. Per uscire dalla crisi, nei centri urbani come in Italia e in Europa, è indispensabile mettere sotto controllo il capitale finanziario e la rendita immobiliare. E aprire le porte a una civiltà più avanzata in cui l’economia sia al servizio degli esseri umani, e non gli esseri umani al servizio del capitale. Ecco perché la lotta per l’applicazione della Costituzione, dei suoi principi fondamentali, e dei diritti sociali in essa riconosciuti, diventa la vera via del cambiamento, l’obiettivo imprescindibile da cui non si può derogare in questa fase storica. Proprio perché nella Costituzione del 1948 il lavoro da merce diventa diritto, e vengono posti dei limiti alla proprietà privata sui mezzi di produzione e di comunicazione, in modo da assicurarne la funzione sociale e di far sì che l’iniziativa economica non offenda la sicurezza e la dignità della persona.
9. Assumere fino in fondo e senza incertezze questa prospettiva che apre le porte a un socialismo di tipo nuovo, e costruire su di essa un programma fondamentale insieme a concrete azioni di lotta e proposte di governo, dovrebbe essere compito della sinistra, che in queste elezioni non ha ottenuto un risultato rilevante. Al riguardo c’è bisogno di estrema chiarezza. Perseguire un simile obiettivo è impossibile, se non si rompe definitivamente con visioni e pratiche diffuse che hanno finito per identificare una parte consistente della sinistra con il sistema di potere del Pd, come è risultato del tutto evidente a Roma e nel Lazio.
10. In primo luogo, è indispensabile rovesciare la concezione corrente della politica intesa come esercizio esclusivo del potere, per restituirla alla funzione progressiva e rivoluzionaria di strumento per trasformare la società. Spostando quindi il centro dell’azione dalle istituzioni verso il sociale. In secondo luogo, è necessario ricostruire una cultura critica della realtà in grado di leggere la nuova configurazione delle classi sociali e le forme inedite del conflitto: tra e all’interno delle classi. Abbandonando un vacuo modernismo subalterno e d’altra parte ogni illusione nostalgica di impossibili ritorni al passato. Solo a queste condizioni è possibile affondare le radici nella società, lottare per l’unificazione dei lavoratori comunque configurati e costruire un blocco sociale alternativo al capitale. È difficile? Sì, ma la peggiore sconfitta è rinunciare a provarci.
Paolo Ciofi
www.paolociofi.it
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