Il mito identitario delle nuove destre europee

5 Giugno 2016
Nessun commento


Gianfranco Sabattini

 

Un nuovo “spettro si aggira per l’Europa”: è il mito identitario che si sta diffondendo in tutto il Vecchio Continente e che ha in Germania e in Francia (ma non solo) le manifestazioni più eclatanti sul piano politico, e in parte anche su quello ideologico. Sul piano politico, il mito si è affermato da tempo in Francia, con il Front National di Jean-Marie Le Pen, oggi sostituito alla presidenza del partito dalla figlia Marine; in Germania, invece, il mito identitario, inizialmente appannaggio di piccoli gruppi movimentisti, è stato poi ereditato da “Alternative für Deutschland”, il partito politico fondato nel 2011, che nelle elezioni europee del 2014 ha conseguito il 7,04 dei suffragi e conquistato 7 seggi all’Europarlamento. Sul piano ideologico, invece, l’epicentro dell’elaborazione teorica è la Germania, ma gli apporti provengono anche da altri Paesi: Francia e Russia, in particolare.
Il n. 3/2016 di “Micromega” ospita un articolo, “Il pensiero vecchio delle nuove destre: Heidegger ed Evola contro la società aperta”, di Micha Brumlik, pedagogista e giornalista svizzero; secondo questo autore, le formazioni populiste di destra nate e diffusesi in Europa non sono una reazione emotiva alle conseguenze della Grande Recessione scoppiata nel 2007/2008, ma il portato, sul piano organizzativo e politico, di un programma teorico iniziato ben prima del 2007, come reazione all’esito dell’impatto del capitalismo globalizzato sul ruolo e la funzione dei vecchi Stati nazionali.
Brumlik narra della pubblicazione, nel 2015, del libro “L’ultima ora della verità. Perché destra e sinistra non sono più alternative e perché la società deve essere descritta molto diversamente”, di Armin Nassehi, docente di sociologia all’Università Ludwig Maximilian di Monaco; il libro del sociologo tedesco è volto, non solo a dimostrare come il pensiero universalista di sinistra abbia smarrito l’intenzione di cambiare il mondo, ma anche e soprattutto come esso abbia cessato di fornire una descrizione critica del pensiero della nuova destra; questo pensiero, secondo Nassehi, si caratterizzerebbe “per il fatto di considerare l’esistenza umana solo ineluttabilmente come esistenza di gruppo, con tutte le conseguenze teorico-normative e anche politiche che questa idea ha. Gli uomini sono innanzitutto membri di comunità più grandi e la soluzione dei problemi sociali sta in ultima analisi nell’omogeneità o, più precisamente, nella coesione interna del gruppo. L’idea di sovranità popolare (un’idea di sinistra) ha rappresentato la precondizione dell’idea di solidarietà (un’idea di destra). Entrambe hanno la stessa origine”.
L’omogeneità culturale, tuttavia, secondo Brumlik, non è il solo elemento che caratterizza il pensiero della nuova destra; ad esso vanno aggiunti l’elemento della “politicizzazione dello spazio”, sul quale i singoli popoli insistono, e quello della “sacralizzazione” dell’autorità: tutti questi elementi, definiti identitari, sono presenti nell’elaborazione ideologica della “nouvelle droite” del filosofo francese Alain de Benoist. Questi, a partire dagli anni Sessanta, ha elaborato un pensiero fortemente critico contro la globalizzazione, in favore di un liberalismo in pro delle piccole patrie e delle identità culturali. De Benoist, inoltre, considera la democrazia rappresentativa come un limite per poter promuovere un più esteso coinvolgimento dei popoli nella vita politica dei loro Paesi. Anche se critico nei confronti dell’Unione Europea, De Benoist crede in un’Europa unita e federale, nella quale il concetto di nazione sia sostituito da quello di “identità regionali”, unite da un comune senso di appartenenza continentale. Il suo pensiero, a tutela di queste identità culturali assume alcuni dei concetti che sono propri del marxismo, dell’ecologismo, del multiculturalismo, del socialismo e del federalismo.
La sintesi del pensiero di De Benoist, che ripropone in sostanza l’idea dell’”Europa delle patrie” di Charles de Gaulle, è assunta “in toto” dai nuovi partiti della destra europea; in particolare, sono accolte le sue idee etnopluraliste, secondo le quali ogni etnia deve avere il diritto di esistere nello spazio che le spetta, dove poter autorealizzarsi, avvalendosi della propria cultura; è sulla base di questa pretesa che la nuova destra europea può sostenere che l’omogeneità culturale di ogni etnia è scevra da qualsiasi problema razziale, nel senso che essa (l’omogeneità colturale) contiene “lo 0 per cento di razzismo”.
A completamento dell’ideologia identitaria, per giustificare la chiusura nazionale e la sottomissione all’autorità, i nuovi partiti della destra europea si rifanno alle idee del politologo e filosofo russo Alexander Dugin ed a quelle di Martin Heidegger e di Julius Evola. Di Dugin, docente di filosofia all’Università Lomonisov di Mosca, organizzatore e primo leader del Partito Nazional-Bolscevico e, in seguito, di altri partiti di estrema destra, i partiti della destra europea accettano la teorizzazione della fondazione di un “impero eurasiatico”, da realizzarsi nello spazio politico compreso tra la Siberia ed i Pirenei.
Come teorico di uno spazio culturale eurasiatico, Dugin formula una “quarta teoria politica” che, dopo il liberalismo, il fascismo e il comunismo, sarebbe la più adatta a garantire, secondo le parole di Brumlik, la sopravvivenza dell’umanità al tempo della globalizzazione. La teoria politica elaborata da Dugin giustifica l’impegno di tutti popoli eurasiatici, legati a un preciso spazio senza alcuna reciproca pretesa di superiorità, ad accelerare il declino dell’Occidente, in maniera talmente veloce da sopravvivergli. Nella prospettiva della visione del mondo preconizzata dall’ideologia eurasiatica del filosofo russo, ogni popolo, caratterizzato da una storia comune, dovrebbe perciò dotarsi di un’organizzazione politica che non sia la democrazia, ma un autogoverno sociale, articolato regionalmente.
La teoria politica eurasiatica riguardo alla natura dell’attività politica è una derivazione diretta del pensiero della “Rivoluzione conservatrice” tedesca; pensiero nato dal rifiuto del regime politico liberal-democratico, creatosi in Germania in seguito alla sconfitta nella Grande Guerra; in esso era espressa una dura critica al parlamentarismo e alla democrazia, definiti “la tirannia del denaro”, ma anche la proposta di ricuperare i valori tradizionali dei singoli popoli, da realizzarsi con l’assunto della natura sacra dell’attività politica, implicante, secondo il critico del nazionalismo e dell’imperialismo Julius Evola, per i singoli componenti dei popoli, una stoica subordinazione ad essa.
Sulla scorta di tutti i frammenti illustrati dell’ideologia identitaria della nuova destra europea, diventa chiaro, secondo Brumlik, perché, dopo la fine del capitalismo di Stato, comunista e burocratico, dell’Unione Sovietica, la destra radicale europea si sia sentita legata alla Russia di Putin e perché quest’ultimo sostenga finanziariamente i partiti di destra: da quello di Marine Le Pen in Francia a quello di Viktor Orbàn in Ungheria e forse, si può aggiungere, a quelli di Bernd Lucke, fondatore di “Alternative für Deutschland“ in Germania, di Lech Aleksander Kaczyński in Polonia e, da ultimo, a quello di Norbert Hofer in Austria.
Non casualmente, perciò, tutti i partiti dell’attuale destra europea, sulla base della loro ideologia identitaria, si oppongono all’integrazione dei diversi all’interno dei Paesi nei quali sono presenti, per quanto non dimostrino di avere un qualche interesse per le complicate idee filosofiche dalle quali la loro ideologia deriva; si oppongono, in altri termini, ad accogliere coloro che, secondo i portatori dei valori della destra radicale, si muovono da uno spazio culturale ad un altro, valicano confini naturali, barriere geografiche, così come anche confini politici e linee etniche di demarcazione, creando caos e crisi politiche nei Paesi di accoglienza. Ciò non implica, tuttavia, osserva Brumlik, che la critica dell’ideologia eurasiatica debba essere risparmiata da parte di coloro che ancora credono nella validità di ciò che resta in Europa e, in generale, in Occidente della dimensione universale del pensiero liberale e democratico.
Quindi, conclude Brumlik, proprio perché il pensiero identitario della destra europea contiene tratti in comune con il pensiero della sinistra sul capitalismo, la globalizzazione e l’egemonia degli USA, è indispensabile ripensare con spirito illuminista, non solo il “progetto di sinistra”, come sostiene il pedagogista svizzero, ma più in generale il “progetto democratico della società aperta”; rivolto quest’ultimo, non solo all’Europa, ma all’intera umanità. Solo così si potrà dare ai valori propri della democrazia, quali il pluralismo politico, il multiculturalismo, la tolleranza e la solidarietà, un respiro sopranazionale, perché l’internazionalismo, caro alla sinistra, sia messo finalmente alla prova, oltre che in teoria, anche in pratica.

0 commenti

  • Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.

Lascia un commento