Gianna Lai
Su iniziativa dell’ANPI, Ass. A. Gramsci e Libertà e Giustizia, oggi alle ore 16,30 al Ghetto di via S. Croce intevista a Lidia Menapace partigiana su 1946 le donne al voto.
A Cagliari si intensificano le iniziative dell’ANPI e delle associazioni antifasciste in vista della Festa della Repubblica e del NO al referendum costituzionale. Un percorso inziato con il coinvolgimento delle scuole anche attraverso i viaggi della memoria degli studenti. Ecco un resoconto di Gianna Lai.
2 Fossoli, Marzabotto, Casa dei fratelli Cervi. In viaggio con gli studenti del Liceo Alberti, a conclusione del percorso su Storia e memoria, svolto dal prof. G. Marilotti in collaborazione con l’ANPI e lo SPI-CGIL di Cagliari.
Carpi, il Museo-monumento del deportato.
All’esterno tante Stele, che portano stampati i nomi delle centinaia e centinaia di campi di concentramento sparsi in tutta Europa: infisse a terra, a riprodurre le fosse comuni, le stele sono circondate da rose rosse, ’segno d’amore per un futuro di vita’.
Negli anni del dopoguerra si censura, si tenta di cancellare, di allontanare i ricordi. Ho incontrato, dice la nostra giovane guida, persone che son state in campo di concentramento, un signore che, a causa del trauma, non è riuscito più a parlare e tanti che, all’inizio, non hanno avuto il coraggio di raccontare. Nel 1955 furono celebrati in tutta Italia i 10 anni della pace, ma di partigiani e di deportati solo pochi ancora parlavano. Qui, nelle campagne intorno a Carpi, si contava un grande numero di partigiani durante la guerra, e noi facemmo una mostra sui campi di concentramento quell’anno, le immagini dei russi e degli americani che entravano a liberare i prigionieri. Una documentazione dolorosa sulla nostra la storia recente, che tanta gente venne a vedere, 30 le delegazioni formate dai prigionieri dei campi, e che attraversò poi tutta l’Italia. Fino al 1961, quando la Mostra torna a Carpi e gli architetti Belgioioso e Roger, già deportati nei campi, partecipano al Concorso ‘Progetto emotivo’, costruendo questo museo dentro il Palazzo rinascimentale, il museo del deportato. Prima di tutto coprire tutte le pareti e le finestre. Le stanze risultano intonacate col cemento, grigio il colore della cenere che si depositava nel campo di sterminio, pietra serena a terra, velata la luce esterna, luce bassa, dal basso verso l’alto. Freddo grandissimo in inverno, tanto caldo in estate, per ripetere la condizione dei deportati, le scritte in rosso, come le ferite degli uomini, e poi il nero del lutto. Sono questi i colori che riproducono sui muri del museo le lettere clandestine degli internati, la volontà di lotta dei prigionieri, la loro intenzione di non arrendersi alla morte. Un cerchiolino di metallo per ciascun nome, il monumento è tomba per chi non ha avuto sepoltura, e poi il motto della Fondazione Fossoli, ‘la differenza ci renderà liberi’.
Nell’ingresso, 1941 ‘E voi imparate che occorre vedere/e non guardare in aria; occorre agire/e non parlare. Questo mostro stava,/una volta, per governare il mondo!/I popoli lo spensero, ma ora non/ cantiamo vittoria troppo presto/ il grembo da cui nacque è ancora fecondo’.
La prima stanza, ’su la testa cari genitori e fratelli’, e le immagini della popolazione dei campi, così come i nazisti la vedevano, e i cumuli dei morti a Dachau. La suggestiva opera di Alberto Longoni, graffito su carta, lavorato poi dai muratori nella parete con la tecnica dello spolvero, sotto il controllo di Renato Guttuso, come per tutte le opere degli altri artisti dedicate ai deportati.
Nella seconda stanza, le scritte sui muri e ancora le teche con la documentazione dei campi. Mauthausen e la scala della morte, 186 gradini, da salire con un peso enorme sulla schiena. Margarina, foglie di cavolo nero e 30 grammi di pane al giorno. Omaggio di Picasso ai deportati nei campi nazisti.
La frase di Odoardo, nella stanza successiva, che salvò 105 ebrei, ’se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, cosa hanno fatto patire agli ebrei, non rimpiangeresti se non di averne salvati in numero maggiore’. E la teca della camera a gas, l’uso dei cristalli per rendere più veloce il procedimento, sotto il controllo, a distanza, dei tedeschi. Il forno crematorio, e le fosse comuni. E il grande affresco di Renato Guttuso, e poi il graffitto… di Corrado Cagli.
Infine Terezin, l’internamento dei bambini…., campo modello di propaganda, aperto anche alla Croce Rossa, che ne verificò il funzionamento.
Nell’ultima stanza, 14314 nomi e cognomi scolpiti nelle pareti, nei pilastri e nel soffitto, a rappresentare tutti.
Il precedente articolo è stato pubblicato in questo blog: link https://www.democraziaoggi.it/?p=4350
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