Pinuccio Sciola

16 Maggio 2016
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Andrea Pubusa
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Pinuccio l’ho conosciuto…prima d’incontrarlo. Proprio così. Ero studente liceale a Carbonia, dove risiedevo, e avevo un amico,  Pino Pitzolu, anche lui scomparso, che la passione per la pittura aveva spinto a frequentare il liceo artistico a Cagliari. Fu lui a parlarmi di questo strano studente, che era già un artista e che era impossibile non notare per la sua semplicità “contadina”. Ho conosciuto così dai racconti del mio amico questo pesonaggio unico, di altissimo talento, ma senza alcun atteggio o posa da artista. Anzi la sua originalità era legata proprio a questo suo essere un uomo più che immerso, immedesimato nella realtà circostante, un elemento di questa realtà.
Poi, venuto all’Università a Cagliari, non ho tardato a conoscerlo. Pinuccio è stato un uomo libero e un libertario, non c’era battaglia o manifestazione, in quegli anni di tante battaglie e tante manifestazioni,  a cui lui, non fosse presente. E così, insieme ad altri artisti, donò alcune sue opere al Il Manifesto di Luigi Pintor, come sottoscrizione a quel quotidiano che sfidava le grandi testate e i grandi poteri. Ed io ebbi in quel modo quel suo bel dipinto dove un mazzo di pugni spezzano le catene dell’oppressione.
In quella temperie di impegno e di lotta, insieme all’indimenticabile Giancarlo Ferretti (quell’eccentrico  prof. che, per sconfiggere l’idatidosi (o echinococco) fece scrivere dei canti sardi, da diffondere fra i pastori, sulla trasmissione del virus dal fegato della pecora ai cani e all’uomo) un giorno fummo invitati a cena da Pinuccio, a casa sua a S. Sperate. E lì, in quel clima allegro di libertà e speranze, Pinuccio a fine cena… per digerire ci servì, in una grande xivedda, una pastasciutta alio e olio con delle canne in luogo delle forchette. Trovata originale, anche se lui diceva che i sardi chiudevano così le loro cene. Se ancora oggi, a distanza di oltre 40 anni, ne ho un vivo e piacevole ricordo, è perché fu una serata indimenticabile come tutti gli incontri con questo uomo comune, ma speciale.
Poi lo incontrai casualmente a Spoleto al Festival dei due mondi. Ero in vacanza, con Gianna e i bambini, e nella Piazza ecco Pinuccio. Ebbi l’accortezza di salutarlo in sardo e di continuare la conversazione esclusivamente in lingua. Lui gradì molto e m’invitò subito, coinvolgente com’era, per il  pomeriggio a Villa Redenta, dove lui esponeva alcune sue opere nel bellissimo giardino. L’occasione era irripetibile: doveva venire in visita il vescovo di Spoleto, ch’era nientemeno che Mons. Alberti, e la villa aveva un giardiniere non comune, Peppino Pes, che a Spoleto scontava i suoi due ergastoli e tanto altro. Proprio grazie a Mons. Alberti, Pes fu il primo detenuto d’Italia a beneficiare della semilibertà, di giorno fuori a mettere ordine nel parco di Villa Redenta, di notte dentro a dormire dietro le sbarre. Insomma, quel pomeriggio ci fu una rimpatriata di sardi. E io lì,  grazie a Pinuccio, ho avuto la fortuna di conoscere due sardi apparentemente incompatibili, un santo e un bandito, lì uniti da Pinuccio nella loro comune santità (del monsignore per le opere, del fuorilegge per il pentimento). Uniti da Pinuccio, che da tutti sapeva tirar fuori il meglio e tutti riusciva ad avvicinare e a mettere in movimento  con la sua anima candida e libera, sempre piena di entusisasmo e di buoni propositi.
Pinuccio, con la sua persona e la sua arte, ha rappresentato, meglio di ogni altro, l’anima della Sardegna, la sua lotta mite e ferma per la libertà, fondata non sulle parole gridate, ma sull’intelligenza, l’inziativa culturale geniale, il messaggio da tutti comprensibile delle sue opere. Le sue pietre parlano della libertà dei sardi e tutti i popoli, della libertà dei lavoratori. Averlo conosciuto e avuto compagno di viaggio è stato un impagabile privilegio. Il modo migliore per onorarlo è continuarne la battaglia culturale e libertaria.

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