Luigi Ferrajoli
Dal saggio “Il processo di decostituzionalizzazione del sistema politico italiano” traiamo questo interessante passaggio sui limiti posti dallo stesso art. 138 alle riscritture della Costituzione. Lo scritto è stato formulato in riferimento alla revisione Berlusconi-Bossi, poi battuta al referendum del giugno 2006, ma, ahinoi!, è del tutto calzante per la deforma Renzi-Boschi-Verdini, da battere al referendum dell’ottobre prossimo.
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La nostra Costituzione non censente la sua integrale riscrittura, ma solo singoli emendamenti. Il potere di revisione da essa previsto non è infatti un potere costituente, ma un potere costituito, che non può trasformarsi in costituente senza violare l’art. 1 sulla sovranità popolare. L’art. 138 che ne disciplina l’esercizio non consente perciò che con legge di revisione possa scriversi una costituzione interamente nuova e diversa. Consente solo revisioni specifiche di questa o quella norma costituzionale consistenti in emendamenti di contenuto omogeneo: se non altro perché il referendum cui la revisione può essere sottoposta non deve riguardare, come la Corte costituzionale ha più volte ribadito, istituti eterogenei in ordine ai quali l’elettore può avere opinioni in parte favorevoli e in parte sfavorevoli. In caso contrario il referendum confermativo si trasformerebbe in un plebiscito, in accordo, del resto, con la sostanza plebiscitaria dell’assetto costituzionale voluto dalla destra. Senza contare l’inammissibilità di una Costituzione di maggioranza votata da un parlamento come l’attuale composto interamente di parlamentari nominati.
Del resto le costituzioni serie non si modificano ad ogni cambio di stagione. Pensiamo a come sarebbe accolta negli Stati Uniti un progetto di riforma complessiva della Costituzione del 1786. Naturalmente questo non vuol dire che la Costituzione del ‘48 non sia, in tempi migliori, modificabile. Il costituzionalismo può ben essere sviluppato, come dimostrano le costituzioni di terza generazione dell’America Latina.
Pensiamo al Brasile, dove sono stati introdotti: 1) l’azione diretta e non incidentale di incostituzionalità promossa da un procuratore generale presso il Tribunale costituzionale, oltre che dal Presidente e dai governatori degli Stati e perfino dai partiti e dai sindacati; 2) il controllo di costituzionalità per omissione; 3) i vincoli di bilancio che impongono la destinazione di quote minime del bilancio alla garanzia dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza. Pensiamo agli Stati Uniti, dove è previsto, contro le varie forme di conflitti di interesse, un rigido sistema di incompatibilità e di separazioni, a cominciare dalla separazione, ancor più importante e pregiudiziale di quella tra i pubblici poteri, tra funzioni pubbliche e grandi interessi privati, tra poteri politici e poteri economici e, in particolare, tra poteri politici e poteri mediatici. Pensiamo al Messico, dove il giudizio sulle varie forme di incompatibilità e di ineleggibilità è stato affidato, anziché ad organi interni al Parlamento – come in Italia, dove le incompatibilità pur previste dalla legge (art. 10 della legge elettorale n. 361 del 30.3.1957) tra mandato parlamentare e titolarità di “imprese vincolate con lo Stato e di concessioni amministrative di notevole entità economica”, quali quelle televisive sono rimaste lettera morta perché affidate alla Commissione parlamentare di verifica dei poteri – a istituzioni di garanzia esterne al parlamento - il Tribunal Electoral del Poder Judicial e l’Instituto Federal Electoral, istituiti nel 1996 – chiamate a decidere imparzialmente e credibilmente su tutte le controversie in materia di elezioni, a cominciare dalle cause di ineleggibilità.
Ma pensiamo, soprattutto, alla prospettiva sempre più urgente di un costituzionalismo globale, che introduca idonee garanzie a quell’embrione di Costituzione del mondo che già oggi è costituito dalla Carta dell’Onu, dalla Dichiarazione universale dei diritti del ’48, dai Patti del 1966 e dalle tante Carte sovranazionali dei diritti di carattere regionale: un costituzionalismo globale in grado di mettere al bando le guerre e di colmare quel vuoto di diritto pubblico, responsabile oggi, nell’attuale crisi delle sovranità statali, di una globalizzazione selvaggia e senza regole che sta provocando la crescita delle disuguaglianze, la morte per fame o per malattie non curate di milioni di esseri umani ogni anno, le tante catastrofi ambientali e il pericolo per la sopravvivenza stessa dell’umanità sul nostro pianeta.
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