Nel prossimo autunno gli Italiani saranno chiamati a votare per un referendum popolare la cancellazione o meno di una legge che riforma profondamente la Costituzione della Repubblica. Il dispositivo prevede il cambiamento di 57 norme in una Costituzione che ha in tutto 139 articoli.
Il Presidente del Consiglio Renzi vuole trasformare questa riforma in un plebiscito su di sé. La consultazione generale del popolo, se si approvasse la riforma, comporterebbe la nomina di un Senato senza la partecipazione al voto dei cittadini (quindi in totale violazione della sovranità popolare prevista nell’art.1 della Costituzione). I Senatori verrebbero eletti dagli stessi Consiglieri Regionali tra di loro, nominando anche 21 Sindaci.
Secondo la riforma dovrebbe semplificarsi la formazione delle leggi con la votazione della Camera dei Deputati e, per talune di esse, anche del Senato dei nominati. Mai il procedimento di formazione prevede ben 9 metodi diversi di approvazione. Il sistema sarà così notevolmente complicato e farraginoso e lento.
L’elezione del Presidente della Repubblica non sarà più compiuta con il voto di tutti i componenti delle assemblee parlamentari, ma solo di coloro che parteciperanno al voto. L’elezione del Capo dello Stato sarà quindi possibile con il solo giudizio di una minoranza parlamentare. Spariscono tra i votanti i 58 rappresentanti delle Regioni comprese quelle a Statuto speciale (come la Sardegna).
Molte, troppe competenze vengono tolte alle Regioni per riattribuirle, dopo 15 anni di esercizio, allo Stato centrale. Le Camere potranno approvare leggi anche nelle materie di competenza esclusiva regionale ed incidere in maniera totale “quando lo richieda la tutela giuridica od economica ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Cioè anche i problemi per la cui soluzione possono oggi operare le Regioni saranno suscettibili di essere concentrati solamente nei Ministeri e nelle Amministrazioni dello Stato centrale.
Contro questa antidemocratica ed antiregionalistica deformazione della Carta fondamentale, nata dall’Antifascismo e dalla Resistenza, hanno detto NO 11 ex Presidenti della Corte Costituzionale e 46 Professori di diritto costituzionale. La riforma, di fatto, toglierà alle Regioni quasi ogni spazio di competenza per materia e di autonomia politica. Lo Stato Italiano da “stato regionale” diventerà un regime con un presidente del Consiglio dei Ministri onnipotente. Si vuole cioè concentrare anche costituzionalmente tutti i poteri su un solo capo mentre la democrazia moderna esige una rigorosa divisione dei poteri tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario.
Votare NO diventa un dovere per chi sostiene la democrazia e la pluralità regionalistica dello Stato Italiano.
Scheda su Cesare Pintus a cura dell’ANPI
Cesare Pintus
Nato a Cagliari il 4 agosto 1901, deceduto a Prà Catinat (Torino) il 1° settembre 1948, avvocato.
Aveva aderito giovanissimo al Partito repubblicano e, dopo la guerra 1915-18, fu vicino agli esponenti del Partito Sardo d’Azione nella loro battaglia per l’autonomia della Sardegna. Amico di Emilio Lussu e di Francesco Fancello, fu tra i primi a far parte dell’organizzazione di “Giustizia e Libertà”. Arrestato nel 1930, fu condannato, con Fancello, a 10 anni di reclusione dal Tribunale speciale. Trascorse in carcere sei anni, contraendovi una grave forma di tubercolosi, che l’avrebbe portato a morte prematura. Dopo la caduta del fascismo, Pintus fu segretario del CLN di Cagliari e, con la Liberazione, divenne sindaco della sua città. Alla scissione del Partito Sardo d’Azione, nell’estate del 1948, seguì Lussu nel Partito sardo di azione socialista, ma morì pochi mesi dopo nel “Sanatorio Agnelli”, dove era stato ricoverato. Porta il nome di Cesare Pintus un’associazione politico culturale, attiva dal giugno del 1988.
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