Gianfranco Sabattini
Carlo Cottarelli, attualmente Direttore esecutivo presso il Fondo Monetario Internazionale, il “Mister Forbici” che, tra il 2013 e il 2014, ha esercitato le funzioni di commissario straordinario della revisione della spesa pubblica italiana, al termine delle sue fatiche di “tagliatore” ha pubblicato un libro dal titolo significativo, “Il Macigno”, nel quale spiega perché il debito pubblico (il macigno, appunto) schiaccia la ripresa dell’economia e “come si fa a liberarsene”, senza, peraltro, cadere nell’eccesso opposto.
Alla fine del 2014, il debito pubblico italiano ammontava a 2.136 miliardi di euro che, in termini pro-capite, era all’incirca uguale a 35.100 euro, risultando complessivamente pari a circa il 133% del PIL. Misura, questa, normalmente utilizzata a livello internazionale, perché il PIL rappresenta l’ammontare di risorse da cui lo Stato può attingere attraverso la tassazione, per pagare gli interessi correntemente maturati sul debito e le rate in scadenza; quindi, è più facile fare fronte agli obblighi determinati da un dato ammontare di debito pubblico, quanto più grande è il prodotto interno lordo nazionale.
Per rendersi conto del livello del debito pubblico, Cottarelli spiega che si possono seguire due vie: confrontare il rapporto attuale debito/PIL con quello del passato, e confrontare tale rapporto con quello degli altri Paesi. Rispetto agli altri Paesi, il rapporto tra debito e PIL non è esaltante per l’Italia; il rapporto, osserva Cottarelli, fra i trentacinque Paesi che il Fondo Monetario Internazionale definisce economicamente avanzati, è stato mediamente nel 2014 pari al 75%. Con un debito, superiore al 132%, l’Italia occupava il terzo posto, dopo il Giappone (246%) e la Grecia (177%). In conclusione, il debito dell’Italia è attualmente molto alto, sia rispetto alla sua storia, sia rispetto agli altri Paesi “avanzati”.
Dal punto di vista della sua composizione, il debito pubblico dell’Italia è – afferma Cottarelli – quasi tutto “delle amministrazioni centrali (dello Stato, principalmente): comuni, province e regioni hanno poco debito, non tanto perché sono necessariamente ‘virtuosi’, ma perché i vincoli imposti dal centro impediscono loro di indebitarsi. Il debito è essenzialmente ‘nazionale’”, costituito prevalentemente da titoli di Stato a breve termine (Buoni del Tesoro e Buoni ordinari del Tesoro) e da obbligazioni a medio e lungo termine (Buoni del Tesoro poliennali, Certificati di credito del Tesoro ed altri), collocati sui mercati finanziari attraverso aste pubbliche. A fine 2014, circa un terzo del debito pubblico dell’Italia era detenuto da stranieri, quindi la maggior parte del debito faceva capo alla società italiana, ed era denominato totalmente in euro.
Il debito alto, oltre a costituire un connotato negativo del sistema economico nazionale, non è giustificabile per tre ordini di ragioni: innanzitutto, perché espone l’Italia al rischio di una crisi del mercato dei titoli di Stato, per effetto di shock che possono colpire l’economia mondiale, o per il cambiamento dell’orientamento degli investitori finanziari; in secondo luogo, perché agisce come “macigno” sulla crescita tendenziale dell’economia, sottraendo risorse al settore privato, o rendendole disponibili a tassi d’interesse più elevati, e impedendo il ricorso alla leva fiscale, per fare fronte ad eventuali situazioni congiunturalmente negative dell’economia nazionale; infine, perché è portatore di implicazioni morali negative, in quanto – osserva Cottarelli – la natura pubblica del debito induce a pensare che non sia di nessuno, mentre grava su tutta la società.
Per quanto possa essere alto, dal debito pubblico si può uscire, essendo diverse le soluzioni; solo alcune, però, secondo Cottarelli, “sono buone”. Ci sono quelle poco ortodosse, che consisterebbero nell’uscita dall’euro e nella reintroduzione dell’antica valuta nazionale, nel ripudio del debito, nella sua mutualizzazione a livello europeo, con il coinvolgendo degli altri Paesi dell’Eurozona al fine di renderlo più sostenibile, nella vendita dei “gioielli della Corona”, privatizzando le attività patrimoniali dello Stato o, comunque, valorizzandole in termini più convenienti. Altre soluzioni, quali il ricorso a politiche di austerità e il sostegno della crescita attraverso le cosiddette riforme strutturali sono considerate da Cottarelli più ortodosse.
La prima, consisterebbe nel ricorso all’austerità, senza cadere però “in eccessi ma neanche pretendendo che il problema possa essere risolto senza rinunciare a qualcosa e senza una pianificazione dell’aggiustamento”, che ne rendano possibile la soluzione e, si può aggiungere, che ne legittimino la soluzione adottata presso la generalità dei cittadini; la seconda, cioè quella fondata sul sostegno della crescita, è considerata da Cottarelli (beata sincerità!) un’alternativa di difficile attuazione, in quanto egli ritiene “improbabile che possa essere percorsa fino in fondo”.
Perché “Mister Forbici” considera di difficile attuazione quest’ultima alternativa, che invece sarebbe quella più appropriata? Lui stesso offre la risposta; chiedendosi quanto tempo occorrerebbe perché col bilancio pubblico in pareggio possa essere resa possibile una consistente riduzione del rapporto debito/PIL, Cottarelli risponde che il tempo necessario dipenderebbe, ovviamente, dalla velocità della crescita del sistema economico. Ipotizzando la possibilità che, in un contesto di appropriate riforme, l’economia italiana possa crescere ad un tasso nominale del 3% (prevedendo un punto e mezzo di inflazione e un punto e mezzo di crescita reale), il debito potrebbe essere ridotto al 66% del PIl nel 2039.
Cottarelli stesso riconosce che la “discesa” del debito sarebbe lenta, che potrebbe essere però accelerata con la vendita dei “gioielli della Corona”, ma soprattutto col ricorso ad una “forma particolare di aggiustamento fiscale”, cioè “ad una massiccia tassa una tantum sulla ricchezza” (patrimoniale) che, dopo essere stata proposta alcuni anni fa, è passata subito “di moda”. E’ questo il punto dolente: è passata di moda perché la patrimoniale l’avrebbero dovuto pagare le oligarchie detentrici della maggior parte della ricchezza reale e finanziarie del Paese.
Ammettendo la plausibilità della patrimoniale sulla ricchezza detenuta dagli oligarchi, come sarebbe garantito il necessario contesto di appropriate riforme per il sostegno della crescita? A questo interrogativo, Cottarelli manca di dare una credibile risposta; le soluzioni del problema del debito pubblico che egli ritiene ortodosse sono analizzate senza la minima considerazione delle disuguaglianze sociali che caratterizzano l’Italia sul piano sociale ed economico; disuguaglianze ereditate dal passato, ma peggiorate ed approfondite a seguito della crisi scoppiata nel 2007/2008.
Di fronte alla persistenza di questo problema, per quale motivo la riluttanza delle oligarchie economiche ad accollarsi una patrimoniale secca per accelerare l’abbassamento del debito pubblico, dovrebbe essere tollerata da chi sta peggio, condividendo le riforme strutturali e accollandosi la maggior parte del loro costo? Sin tanto che questo interrogativo non avrà una convincente risposta, il problema della fuoriuscita dell’Italia dal tunnel della crisi è destinato a rimanere irrisolto.
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