Sa Die…è morta. Che fare per resuscitarla?

29 Aprile 2016
2 Commenti


Andrea Pubusa


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Aligi Sassu, Moti angioiani

Certo Sa die de sa Sardigna è nata da una discussione fiacca in Consiglio regionale. Ci fu più eccitazione e partecipazione, ad esempio, quando votammo la legge che faceva Comune Lodine, la piccola frazione di Gavoi. Anche a quel tempo i consiglieri erano attenti alle presenze nelle tribune dell’Aula e per Lodine c’era una folla di lodinesi, mentre per Sa die, gli Angioy e i tanti altri martiri della sarda Rivoluzione non erano lì, neppure nel ricordo dei vivi. D’altronde il fatto storico, la cacciata dei funzionari piemontesi, è importante, ma molto temporaneo, preceduto e seguito, com’è, da una dominazione ottusa e sanguinaria quale fu quella dei Savoia. Dopo quel 28 aprile c’è stata la grande macelleria che ha visto il supplizio di Francesco Cillocco a Sassari, la forca per Sorgia, Putzolu e Cadeddu  a Cagliari, la reclusione a vita di Vincenzo Sulis, che stoltamente difese i Savoia dai francesi, ma divenne troppo popolare, da far ombra e destare sospetto negli ambienti di una Corte di ingrati e sanguinari. Poi, giù giù fino all”eccidio di Bugerru, di Iglesias, l’insensato massacro della Grande Guerra e il fascismo. Una storia di sopraffazioni, di patimenti e di sangue.
Ha ragione Tonino Dessì, anche per questi motivi Sa die è rimasta una ricorrenza irrisolta, e non a caso, nelle occasioni migliori, fin dalla prima ricorrenza post legem fu relegata al rango di una specie di mascherata generale in costumi dell’epoca, senza impatto sull’oggi e sul  domani.
Questa irresolutezza ha consentito quest’anno alla Giunta Pigliaru di parlar d’altro e inventarsi un diversivo, la giornata dei migrantes, importante certo, ma di cui si può ben parlare nei restanti 360 giorni dell’anno. Si capisce che per Pigliaru, coi sui magri risultati, parlar di Sardegna è proibitivo.
A questo punto, se non vogliamo trasformare le ricorrenza in occasione di conflitto permanente e rinverdire l’antica definizione (pocos, locos e malunidos), occorre dare un senso a Sa die. Certo, è difficile resuscitare i morti. Ci vorrebbe un miracolo. Ma forse la politica è l’unico terreno in cui i prodigi non sono impossibili, anche se son rarissimi, quasi come le guarigioni di Fatima o di Lourdes. Che fare, dunque, per resuscitare la giornata dei sardi? Sul piano simbolico, si potrebbe attualizzare la ricorrenza, facendone l’occasione per la cancellazione simboli della dominazione  reazionaria. Per esempio, trasformando in Largo dei Martiri di Palabanda il Largo Carlo Felice e erigendo lì, in faccia a Carlo Felice, un grande monumento a Cadeddu, Sorgia e Putzolu, a ricordo perenne dei fatti del 1812. Se non vogliamo eliminare le opere della dominazione, possiamo ribaltarne il significato e il messaggio. Ad esempio, lasciando la statua di Carlo Felice, ma spiegando - come hanno fatto ieri molto opportunamente alcuni intellettuali ai piedi del monumento - nella lapide a caratteri ben visibili  che quel re, dal nome così accattivante, fu soprannominato Carlo il Feroce per la sua vocazione reazionaria e sanguinaria.  E così, a ondate successive, ogni anno, accompagnando gli eventi con dibattiti di massa, non solo a Cagliari, ma in tutte le contrade della Sardegna, dove  i nomi dei protagonisti della lotta dei sardi per la democrazia non sono evocati a dar nome a Piazze e e viali.
Ma certo questo è un fatto di memoria, anche se è importante per l‘acquisizione di una consapevolezza storica. E l’attualità? Si può recuperare, facendo de Sa die il giorno del discorso del presidente della regione sullo “stato della Sardegna”, un po’ come si fa negli States, dove il presidente, ogni anno, si rivolge al popolo tracciando consuntivi e delineando preventivi, ossia la prospettiva, gli obiettivi di breve e lungo termine. In tale discorso il presidente della Regione potrebbe descrivere sia le condizioni generali dell’Isola sotto il profilo sociale, economico e politico, sia l’agenda della giunta, sia, ancora, i progetti per il futuro e le priorità. Oltreoceano il discorso è tenuto sulla base dell’articolo II, terza sezione, della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che richiede al presidente di riferire al congresso lo “stato dell’unione” e le misure che crede sia necessario prendere, in Sardegna potrebbe essere previsto integrando la legge istitutiva de Sa Die.
In una terra in cui non si fanno mai consuntivi seri e mai previsioni credibili e non propagandistiche, il “discorso sullo stato della Sardegna” potrebbe essere un momento, se fatto con serietà e rigore,  per una discussione generale e di massa sulla condizione dei sardi e la politica isolana. Un modo puntiglioso di fare i conti con noi stessi e con gli altri. Un momento di verità e di mobilitazione del popolo sardo. Il contrario del fatto di folkore degli uni e della rimozione degli altri.

2 commenti

  • 1 Sa die una festa da difendere con ostinazione contro la sua sterilizzazione voluta dagli attuali decisori politici regionali. Riflessioni e proposte | Aladin Pensiero
    29 Aprile 2016 - 09:42

    […] Andrea Pubusa su Democraziaoggi […]

  • 2 Tonino Dessì
    29 Aprile 2016 - 12:13

    Concordo sulle tue proposte, Andrea. Indicano la strada per salvare Sa Die dal non senso che la sta ogni anno di più condannando all’indifferenza e ormai al vero e proprio fastidio della stragrande maggioranza dei sardi. Non avrei da parte mia molto altro da aggiungere. O forse si. Magari bisognerebbe non esaltare troppo impropriamente il fatto che si sia caratterizzata come “sa die de s’acciappa” (sa comunque troppo di rastrellamento, di retata e questo nostro è periodo di retate ben più nefaste) e nemmeno come la giornata del “nara cixiri” (mio figlio congolese non sa pronunciarlo e non saprei quanti immigrati senegalesi lo sappiano fare: peraltro, da quando ho letto che i Palermitani lo fecero con i Francesi durante i Vespri Siciliani, non lo trovo più così autoctono http://www.ragusanews.com/articolo/26384/ceci-tra-il-siciliano-ciciri-e-l-angioino-sisiri). Ma soprattutto, a integrazione di quello che hai proposto, mi piacerebbe anche che in questa occasione i Comuni decidessero di inaugurare qualche nuova strada o piazza come Via, Viale, o Piazza del Popolo Sardo. Così, un paio nuove ogni anno, semplice semplice, senza scontri ideologici (popolo o nazione? Popolo, intanto, come il sovrano in Costituzione e, proprio quello sardo, uno dei titolari dell’iniziativa legislativa in Statuto; poi si vedrà). Non so perché non si sia mai pensato di farlo: non è vietato.

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