Tonino Dessì
Oggi, 28 aprile 2016, si celebra “Sa Die de sa Sardigna”, in ricordo di quel 28 aprile 1794 in cui la popolazione cagliaritana si rivoltò contro i Piemontesi. Il Vicerè Balbiano, tutti i funzionari reali continentali e le loro famiglie furono costretti a rimpatriare in terraferma. La Sarda Rivoluzione si estenderà all’intera Isola e vedrà svilupparsi un complesso tentativo di ampliare i poteri di autogoverno delle istituzioni e delle classi dirigenti locali. Nel contempo, tuttavia, si manifesterà un profondo conflitto interno, tra rinnovatori e conservatori. Questi ultimi alla fine prevarranno, riconsegnando ai Piemontesi il pieno controllo della Sardegna. L’esponente più prestigioso dei rinnovatori, Giovanni Maria Angioy, per sfuggire all’arresto e alla prigione, riparerà in Francia, dove resterà fino alla morte, avvenuta a Parigi nel 1808. La vicenda ha un prologo: nell’anno precedente, le milizie sarde, reclutate dalle città e dai possidenti locali anche in considerazione della scarsa consistenza dell’Armata reale stanziata nell’Isola, sventarono il tentativo della Francia rivoluzionaria di invadere la Sardegna. I Savoia non se ne mostrarono affatto riconoscenti, scatenando il giustificato malcontento popolare. Alla fine i sardi si erano opposti all’invasione francese per difendere degli altri invasori, per di più reazionari. E’ opinione prevalente, tra gli storici, che dovunque, anche sanguinosamente, come accadde in particolare nel periodo napoleonico, in Europa, le armate francesi siano passate, esse, insieme a tanta violenza, abbiano diffuso anche i segni indelebili di un grande avanzamento nelle idee, nei costumi, nel diritto, che la Restaurazione non riuscì a cancellare. La Sardegna, per rincontrare quelle idee e vederle incarnarsi in processi istituzionali democratici, ha dovuto attendere il 1948, anno di approvazione della Costituzione repubblicana e dello Statuto speciale.
La ricorrenza di oggi fu scelta nell’ottobre del 1993 dal Consiglio regionale della Sardegna (finale dell’XI legislatura, Presidenza della Regione on. Antonello Cabras, coalizione di governissimo, un centrosinistrone PDS-PSI-PSDI-PRI-DC, nato a seguito di un compromesso dopo uno scontro campale sulla legislazione urbanistica e sulla pianificazione paesaggistica), Presidente del Consiglio regionale on. Mario Floris, iniziativa legislativa unitaria, ma su impulso PSd’Az, all’opposizione), per istituire una giornata celebrativa della memoria identitaria del Popolo Sardo.
Una decisione che mise un apparente punto fermo su un’annosa discussione, scartando altre ipotesi alternative, la principale delle quali era stata proprio quella di istituire la Festa dello Statuto Speciale (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3).
Sembrava che, retrocedendo a un momento storico abbastanza remoto del periodo contemporaneo e a un fatto simbolicamente insurrezionale contro una dominazione esterna la celebrazione identitaria, si potesse trovare un compromesso adeguato rispetto al ricordo di altri momenti considerati più divisivi.
Già ascoltando la discussione in Aula, intrisa di retorica patriottica, ma salvo qualche eccezione poco approfondita nel merito della vicenda, si poteva avvertire un certo paradosso.
La Sarda Rivoluzione infatti conteneva in nuce il principale dei nodi irrisolti della debole soggettività politica sarda. L’aspirazione a un’identità moderna e radicale, infatti, si infranse nel 1794 contro lo scoglio del conservatorismo politico e più ancora sociale e culminò nel tradimento e in una sconfitta epocale.
Non essersi resi conto delle implicazioni profonde di quella vicenda e non avervi mai fatto i conti consapevolmente, ha fatto sì che Sa Die, alla fin fine, sia rimasta una celebrazione senza autore e senza soggetto, assolutamente non sentita da parte della stragrande maggioranza dei sardi.
Anche quest’anno essa si svolge all’insegna delle buone intenzioni (il tema dell’emigrazione-immigrazione, il rapporto con l’Isola di Corsica), ma senza alcuna volontà di misurarsi, in particolare, con un contesto impegnativo qual è l’evoluzione-involuzione del sistema costituzionale in corso, dal quale dipenderà la sorte della soggettività istituzionale e politica dei Sardi.
In conclusione posso solo ribadire che sono assolutamente favorevole a un’evoluzione istituzionale che veda affermarsi pienamente la soggettività del popolo sardo, della sua inestinta specificità linguistica, culturale, storica. Considero da tempo l’autonomismo una fase superata. Non disdegnerei di essere indipendentista, ma preferisco ancora considerarmi un federalista. Il problema è che non saprei vedere, oggi, in Sardegna, chi potrebbe scrivere con altrettanta maestria e generosità dei costituenti repubblicani i principi fondamentali della Costituzione nata dall’antifascismo. E ancora vorrei una classe dirigente sarda che quei principi li sapesse interpretare con l’esempio. Allora, forse, mi fiderei.
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