Gianfranco Sabattini
Secondo Roberto Chiarini (“La memoria maledetta di Bettino Craxi”, in “Nuova Storia Contemporanea”, n. 6/2015), diverse sono le ragioni per cui la figura di Craxi resta ancora “impiccata al capestro di Tangentopoli”. A connotare la “damnatio” è stato sicuramente, anche se non esclusivamente, il “marchio di Tangentopoli”, che oltre a provocare la rovinosa caduta di Craxi, ha determinato – afferma Chiarini – “l’esecuzione legale della condanna a morte della prima Repubblica già maturata nell’opinione pubblica anticipatamente decretata dai processi sommari celebrati nelle piazze, reali e medianiche, di tutta Italia”.
Le disillusioni provocate dall’avvento della Seconda Repubblica, attraverso la quale gli italiani speravano di “riappropriarsi dello scettro del potere” di cui abusavano i partiti, hanno contribuito “a depotenziare gradualmente il rigetto per conclamata indegnità dei politici della Prima Repubblica”. Secondo Chiarini, di questa tendenza a sottrarre la classe politica a una sua sbrigativa liquidazione “ha finito per beneficiare, almeno parzialmente, in questi ultimi anni anche la figura di Craxi. Nei suoi confronti si sono fatti sempre più frequenti e diffusi i riconoscimenti di politico di razza, di statista e persino di coraggioso sostenitore dell’improrogabile, per quanto tardivo rispetto al resto dei partiti socialisti europei, abbandono del marxismo come stella polare della sinistra a favore di quel riformismo così tenacemente negletto”.
La resistenza e le difficoltà del maggiore partito della sinistra (il PCI) a raccordarsi al riformismo sono diventate però degli ostacoli assoluti, non appena il “riformismo autonomista” dei socialisti e la “via nazionale al socialismo” dei comunisti si sono personificati nelle figure di Craxi e di Berlinguer, i quali sono così diventati i “protagonisti di un lacerante duello a sinistra”. Dal duro confronto sono nati gli stereotipi della “damnatio”, che da sinistra sono stati “ricuciti” sulla figura di Craxi, quali: la sfida annessionista al PCI, l’ossessione anticomunista, i metodi spregiudicati usati per favorire la crescita del suo partito, il decisionismo senza freni, la proposta di una Grande Riforma istituzionale imperniata sul presidenzialismo, considerata un disegno per destabilizzare la prassi tradizionale e conservatrice dei rapporti tra i partiti nati dall’opposizione al fascismo, e così via. Su questi stereotipi hanno costruito le loro fortune gli eredi di Berlinguer, che si identificano nella sinistra post-comunista, i quali sono gli unici nella fase attuale a perpetuare la continuità dell’odio viscerale contro i socialisti, già sparso a mani basse dai loro più immediati predecessori.
Una considerazione meno punitiva nei confronti della memoria di Craxi ha preso corpo allorché lentamente si è usciti dalla logica della contrapposizione Berlinguer-Craxi; utile a tale scopo è stato il fatto che il criterio di valutazione privilegiato abbia cessato d’essere fondato sul pregiudizio dell’anticomunismo tout-court, per essere individuato – afferma Chiarini – nel “merito dell’iniziativa politica” sviluppata da Craxi. E’ questo il criterio privilegiato da alcuni militanti della sinistra, esterni al PSI, quali Myriam Mafai, Emanuele Macaluso, Piero Sansonetti ed altri. Essi, infatti, riportando sul terreno politico la proposta complessiva di Craxi, ne rimuovono i “tratti di un romanzo criminale”, che gli stereotipi erano valsi a radicare nell’immaginario collettivo, portandola ad assumere “il rilievo di una proposta politica, finita certo male, ma non priva di uno spessore e anche di una dignità in quanto disegno pensato per superare blocchi e ritardi della democrazia italiana”.
Sansonetti (Mondoperaio, n. 1/2010) sostiene, a ragione, che l’inchiesta di “Mani Pulite” è stata “utilizzata dall’economia per liberasi della politica”; colpevoli dell’estromissione della politica dal controllo sociale dell’economia nazionale sono state le maggiori forze del Paese, DC e PCI. Queste forze, per il loro conservatorismo e la chiusura alle “novità della storia”, non sono state in grado di contrastare sul piano politico l’azione giudiziaria; ad esse, in particolare a quelle della sinistra comunista, è sfuggito che l’uso, nel confronto politico, dell’arma impropria dalla questione morale non risultava strumentale all’esecuzione di una “normale operazione di pulizia”, ma alla delegittimazione della politica, per privarla della sua funzione. L’unico partito che ha tentato di opporsi allo straripamento della magistratura in un campo che non le era proprio è stato quello socialista, guidato in quel momento da Craxi. A Craxi, perciò, conclude Sansonetti, si sarebbe dovuto imputare di aver fatto un largo e spropositato uso del suo anticomunismo in un momento in cui il sistema sovietico si trovava a vivere una fase di pesante riflusso, ma non di essere stato esclusivamente “un ladro o “un malfattore”, come poi la vulgata post-comunista è stata felice di continuare, non disinteressatamente, a sostenere.
Tenendo conto di queste considerazioni, svolte da un commentatore che, oltre a non essere mai stato socialista, ha sempre militato a sinistra, appare del tutto plausibile l’auspicio, avanzato da Chiarini, che la “damnatio” che ancora pesa sulla memoria di Craxi sia sottoposta ad un’analisi critica di decantazione, non solo da parte dell’ambiente storiografico, ma soprattutto dagli esponenti della sinistra post-comunista; questi ultimi, ancora oggi, preferiscono coltivare il loro viscerale antisocialismo-giutizialista, anziché riconsiderare criticamente la propria esperienza politica per aprirsi al riformismo.
1 commento
1 admin
20 Aprile 2016 - 10:58
Andrea Pubusa
Interessante l’intervento di Sabattini perché apparentemente ci parla di ieri, ma in realtà ci fa riflettere sulla vicenda politica attuale, facendocene comprendere le radici.
Gli storici spesso hanno lo sguardo lungo sul passato, ma sono presbiti, non vedono il presente. Se in Italia c’è una sostanziale damnatio memoriae questa riguarda Enrico Berlinguer, non solo quello della “questione morale”, ma anche il Berlinguer che collegava la riforma del Paese e delle sue istituzioni ad una grande mobilitazione di forze sociali e politiche. Uno dei terreni in cui questa politica è stata testata positivamente è la lotta al terrorismo degli anni ‘70 in Italia, battuto grazie a un vasto mpvomento popolare a partire dalle fabbriche e dalle scuole fino a salire ai maggiori partiti (non a caso Craxi si autoescluse). Ancor prima quest’idea fu sperimentata nell’Assemblea costitutente e ci ha dato la Costituzione, garanzia delle nostre libertà e dello sviluppo democratico del Paese.
Il contrario dello spirito “divisivo”, come si dice oggi, che anima i protagonisti politici di oggi, da Berlusconi a Renzi. Il trombettiere toscano, specialmente nei suoi ultimi interventi contro il giustizialismo, ha preso in pieno l’eredità di Bettino anche su questo punto, come molti osservatori hanno ricordato.
Che Craxi sia stato un preveggente e uno statista lo sento dire da molte parti. Ma è statista chi ha distrutto un glorioso partito, il PSI, protagonista di battaglie decisive per i lavoratori e la democrazia italiana? E’ uno statista chi non ha saputo cogliere il superamento delle ragioni della scissione del 1921 per avviare pazientemente la riunificazione dei due grandi partiti del socialismo italiano, il PSI e il PCI? E’ uno statista chi ha aperto la via ad un confuso revisionismo costituzionale, fatto di forzature unilaterali anziché di coinvolgimento? E’ uno statista chi ha visto il blocco della democrazia italiana nel Parlamento e nella dialettica sociale, anziché porsi il problema della riforma, fondandola su forme più incisive di partecipazione democratica?
Da questo punto di vista, altro che damnatio memoriae, il craxismo è oggi vincente, senza Craxi!
Ma questo neocraxismo ha migliorato la vita degli italiano e delle nostre istituzioni?
Certo, non siamo ancora alle celebrazioni di chi ha distrutto un partito onorato, protagonista della storia d’Italia, Il PSI, e neppure all’esaltazione pubblica di chi ha alimentato un fastido per la Costituzione nata dalla Resistenza, e dato fiato alla questione immorale in Italia, ma questa è la sostanza della politica attuale.
Dove siano i resistenti nel PD a questa visione non vedo; ce n’è, molti, fuori, mentre mi sembra in perfetta continuità col craxismo la riforma costituzionale prima di Berlusconi (battuta al referendum del giugno 2016) ed oggi quella di Renzi-Boschi-Verdini (in fase di battitura ad ottobre). La sconfitta del craxismo senza Craxi, ossia del belusconismo-renzismo, può aprire la strada ad una riforma delle istituzioni e anche della Costituzione, sul modello (procedurale) americano, ossia con emendamenti che non stravolgono l’impianto e i delicati equilibri fra i poteri.
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