Gianfranco Sabattini
Il n. 2/2016 di “Micromega” dedica una sezione all’approfondimento del dibattito sulle cause di quanto è avvenuto la notte di S. Silvestro a Colonia, dove, nell’indifferenza delle forze dell’ordine presenti, una moltitudine di uomini provenienti dal Nordafrica e dal Medio Oriente ha, tra l’altro, molestato sessualmente le donne tedesche, convenute nella Piazza del duomo della città per festeggiare il Capodanno. Interessanti sono le considerazioni svolte sull’accaduto da due scrittrici, da sempre impegnate sul fronte del movimento per la liberazione della donna: Lucia Annunziata e Alice Schwarzer, quest’ultima, attivista del movimento femminista.
Lucia Annunziata, in un dialogo con Dacia Maraini (“Colonia, Europa”), non esita ad affermare che l’aggressione ai danni delle donne di Colonia non è stata solo un’espressione di sessismo, ma anche espressione “di una specificità culturale, forse persino religiosa”, che ha legato tra loro gli aggressori”; specificità di cui tener conto, se si vuole realmente intendere la natura del fenomeno dell’aggressività degli “ospiti” mussulmani nei Paesi europei.
In Europa, osserva l’Annunziata, il sessismo, per quanto frequente, non è pubblicamente accettato come fenomeno culturale, mentre quando se ne parla “in relazione ad altri mondi, in particolare al mondo arabo”, tutto viene ridotto a una “questione” culturale, secondo i principi propri di un ‘relativismo etico” alla moda. Si tratta della manifestazione di una “volontà di non giudicare che si traduce nell’accettazione acritica di tutte le differenze culturali”. Ciò che è successo a Colonia non può essere spiegato sulla base di questo malinteso relativismo valoriale; l’aggressione consumata nella città tedesca non è stata una manifestazione di riprovevole sessismo, ma un “atto di guerra”, in quanto aggressione di ciò che la donna rappresenta per la cultura occidentale: un simbolo di uguaglianza. Se così stanno le cose, si chiede l’Annunziata, sono integrabili le persone che, come gli aggressori di Colonia, hanno mostrato di non volere accettare il modo proprio di concepire sul piano culturale l’organizzazione sociale dell’Occidente? Costoro, sempre secondo l’Annunziata, non sono integrabili, perché attraverso l’aggressione della notte di S. Silvestro hanno mostrato di essere portatori di una scelta politica contraria.
Dello stesso parere è Alice Schwarzer: quanto accaduto a Colonia non è stato solo un atto di maltrattamento delle donne, ma qualcosa di nuovo, grave per tutta l’Europa. Nella città tedesca, “la legge non l’ha imposta lo Stato ma mille-duemila uomini provenienti ‘dal Nordafrica e dal Vicino Oriente’”, che hanno commesso un atto di guerra che la polizia, per ragioni riconducibili a una malintesa tolleranza, ha ingiustificatamente tentato di ignorare. Tutto ciò, però, secondo la sociologa tedesca, “ha a che fare con il clima di falsa tolleranza nei confronti dell’islam politicizzato che domina da alcuni decenni e con la paura di essere accusati di razzismo”. Anziché tentare di nascondere l’accaduto, se ne doveva subito denunciarne la natura politica, partendo dal presupposto che mon poteva essere considerato razzismo, o politicamente scorretto, dire chi fossero i colpevoli e da dove provenissero; ciò perché, per poter combattere l’atto di guerra, esso doveva essere da subito denunciato, senza la paura di venire accusati di islamofobia.
In Germania, osserva la Schwarzer, e in molti altri Paesi, come ad esempio l’Italia, l’islamofobia non ha mai costituito un serio problema, se non per minoranze politiche contrarie alla cultura occidentale dello Stato di diritto. Al contrario, il problema è espresso dal multiculturalismo e dal relativismo culturale, sostenuti soprattutto da una parte della sinistra che, in nome di altre religioni, “non solo ha tollerato, ma ha regolarmente promosso la relativizzazione dello Stato di diritto e dei diritti umani”.
Se al multiculturalimso ed al relativismo valoriale, di cui è portatrice una parte della sinistra, è imputabile la mancata attuazione di una politica aperta all’integrazione dei diversi all’interno dei contesti culturali occidentali, dove sta il difetto? Poiché il multiculturalimso è un’”invenzione” della cultura americana, può l’esperienza della società americana essere assunta a paradigma, per intendere le implicazioni, positive e negative, sottostanti l’humus culturale atto a favorire i processi di integrazione fra portatori di culture diverse?
L’esperienza del processo di integrazione vissuto dalla società americana è stata in sostanza la stessa dal processo di formazione degli Stati-nazione: essi hanno ricondotto a sé l’esercizio della funzione potestativa, per perseguire l’obiettivo di fare corrispondere i propri confini territoriali a quelli della nazione, intesa come amalgama di tutti soggetti che avevano subito l’ordinatio ad unum sul piano dell’adesione ad un unico modello organizzativo statuale: è questa la fase del melting pot. All’interno di una siffatta esperienza, gli Stati-nazione che hanno subito un processo di trasformazione in senso democratico hanno consentito di ricuperare, parzialmente o totalmente, alcuni dei tratti culturali originari delle singole componenti dei popoli, tenuti insieme da una crescente propensione alla cooperazione ed alla solidarietà, attraverso l’affermazione di una generalizzata adesione al cosiddetto “patriottismo costituzionale”: è questa la fase del salad bowl, su basi però di un multiculturalismo aggregante.
Per essere aggregante, il patriottismo costituzionale presuppone che tutti i gruppi culturali insistenti su un determinato territorio accettino spontaneamente un insieme condiviso di valori enunciati nelle Carte costituzionali e che nessuno dei gruppi abusi dei “suoi” valori particolari per una strategia politica di potere, come mostrano di voler fare invece alcuni gruppi di cultura islamica presenti in molti Stati Europei.
La paura di essere esposti all’accusa di razzismo ha provocato la tendenza a sottovalutare, come afferma l’Annunziata, che una buona parte del mondo arabo, al quale appartiene la parte più consistente degli immigrati nei Paesi europei, coltivi “oggi una piattaforma politica contro di noi e l’esprima in maniera organizzata”. I gruppi di immigrati di religione islamica, perciò, non sono integrabili, in quanto costituiscono “un’enorme massa di giovani politicizzati in chiave antioccidentale” e molti di essi sono portatori di “un fortissimo sentimento antioccidentale”, perché ritengono l’Occidente colpevole della loro attuale condizione. Tutto questo non può che richiedere un radicale cambiamento del discorso tradizionale sull’integrazione. Giunti a questo, punto che fare allora?
Si può solo fare appello alla politica, perché diventi più responsabile e abbandoni la falsa tolleranza, mostrata sinora oltre ogni limite, nei confronti dei gruppi di immigrati che non accettano i valori sui quali è fondata la nostra convivenza civile. Se ciò accadesse, diverrebbe necessaria l’attuazione di una politica dell’immigrazione più selettiva, idonea ad evitare che si debbano subire atti di violenza, forse ancora più gravi di quelli manifestatisi a Colonia.
In tal modo, le singole popolazioni dei Paesi europei, di fronte alle dimensioni attuali del fenomeno migratorio, potrebbero perlomeno consolarsi del fatto che la politica, abbandonando la falsa tolleranza sinora adottata verso il diverso, acquisisca finalmente la consapevolezza che l’integrazione non va genericamente difesa con l’accusa di razzismo rivolta indistintamente contro chi denuncia gli atti di guerra dei diversi, ma con l’inizio di un nuovo atteggiamento da assumersi nei loro confronti, perché sia chiaro che all’interno delle società occidentali possono essere accolti solo coloro che accetteranno di rispettare i valori dello Stato di diritto, senza che la sua integrità sia messa in discussione da chicchessia, sia egli indigeno o alieno.
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