Patologie dei minatori: dalla Sardegna di Cesare Loi al mondo del sottosviluppo

20 Marzo 2016
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Pierluigi Cocco

Segue dall’articolo di ieri.

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La chiusura delle attività produttive primarie ed il loro trasferimento in Paesi in via di sviluppo non elimina il problema delle patologie umane determinate dal mancato o insufficiente controllo dell’ambiente di lavoro e della sua sicurezza; lo sposta. Ora a soffrire delle patologie respiratorie professionali e di tubercolosi sono i minatori di quei Paesi: Cina, Cile, Perù, Kazakhstan, Sud Africa, Kenia, Congo, Namibia o Tanzania. Le condizioni di quei lavoratori sono oggi non dissimili da quelle dei minatori Sardi del 1906-08. Il bisogno di lavoro, il sottosviluppo, la fame, la disorganizzazione, si traducono in basso costo della forza lavoro, in mancanza di controlli e vincoli, in maggiori profitti. Non abbiamo da rallegrarci se si chiudono le miniere o altri impianti industriali. Esistono i mezzi per controllare le emissioni e rendere le iniziative industriali compatibili con la salute umana e l’ambiente; si preferisce chiuderle e trasportare i problemi dove la forza lavoro è più debole. Saranno altri a morire, lontano da noi; non faranno titoli sui nostri quotidiani. Dalle nostre parti, nessuno se ne accorgerà.
Pretoria, Sud Africa. 11 Agosto 2014. Il vice presidente Sudafricano Cyril Ramaphosa, durante la sua audizione davanti alla commissione d’indagine sull’uccisione da parte della polizia di 34 minatori della miniera di Lonmin in sciopero, dichiara che le condizioni di vita di molti minatori, alla base del loro sciopero, sono spaventose e disumane.  Ramaphosa si augura che la pressione politica sulle compagnie minerarie affinché siano messi in pratica i loro obblighi sociali imposti dalle loro concessioni governative, ma scarsamente osservati, quali relazioni sindacali, paghe adeguate ed alloggi confortevoli, abbiano qualche effetto. La tubercolosi è una piaga tra i minatori sudafricani, esposti ad elevate concentrazioni di silice e, molti di loro, minati dall’AIDS.
Okahandja, Namibia. I lavoratori della miniera di manganese Purity, a 100 chilometri da Okahandja, vivono in quattro in una piccolo cella arredata con un solo letto, la cui finestra è chiusa da fogli di plastica.  Queste  condizioni hanno spinto il responsabile della sicurezza della miniera, Immanuel Shilongo, a sollevare la sua voce di protesta per le condizioni di povertà disumana dei minatori e di mancata applicazione delle normali procedure di sicurezza del lavoro. La miniera non ha un’ambulanza, ed in caso di infortunio o di precarie condizioni di salute, i minatori devono recarsi a piedi fino ad Okahandja. Il cibo fornito dalla miniera è insufficiente e scarso, nonostante ai lavoratori sia trattenuta una sostanziale parte del salario per i pasti. Un rapporto del ministero del Lavoro aveva ordinato ai datori di lavoro di fornire ai lavoratori adeguati dispositivi di protezione individuale, ed indumenti di lavoro, e a fare in modo che l’orario di lavoro ed i pasti non mettessero a repentaglio la salute e la sicurezza dei lavoratori. Il rapporto sottolineava l’elevato numero di incidenti sul lavoro verificatosi in un ridotto arco di tempo ed il fatto che nella metà dei casi si trattasse di eventi gravi.  A seguito della sua presa di posizione, Shilongo è stato licenziato. La scorsa settimana si è fatto saltare in aria con la dinamite, portando via con sé parte della miniera ora inaccessibile.
La Tanzania è il quarto produttore d’oro del mondo. Esistono piccole miniere condotte da proprietari locali, e caratterizzate dal non essere in regola con le autorizzazioni, i registri  e le misure di sicurezza, e dall’impiegare bambini di otto anni. Questi scavano, perforano, e caricano pesanti sacchi di minerale aurifero in pozzi profondi e instabili, lavorando a turni anche notturni.  La Medoro Resources, che abbandonò la miniera di Furtei e l’annesso deposito di cianuro, dopo avere svuotato la collina, in ritorsione per la mancata concessione per lo sfruttamento della miniera di Monte Ollasteddu, in agro di Perdasdefogu, ha certamente trovato modo di rifarsi del guadagno perduto.
Cina. Quando Ruan Fayou fu assunto nella miniera di carbone di  Shiqiao nelle colline della provincia di Guizhou, nel 2001, gli fu assegnata la mansione di minatore e palista. Usava un martello pneumatico ed una pala. Racconta: “Era buio pesto, dichiara, la galleria era alta due, tre metri. Lampadine nude erano appese ogni 50 metri, ma le gallerie laterali erano completamente buie. Lavoravo otto ore al giorno in sotterraneo. Ogni tanto, un soffio d’aria gelida, spinto dalle turbine, si diffondeva attraverso i tunnel, per allontanare i gas tossici del carbone. Alla bocca del pozzo, gli uomini arrancavano coperti da polvere nera. Le maschere erano distribuite saltuariamente, qualche volta ogni tre mesi. Alcuni minatori dicono di non averle mai avute.”
Tra i tanti atti del Parlamento Europeo, tra le tante carte delle agenzie a protezione dell’ambiente,  della sicurezza del lavoro e degli alimenti, manca un atto di civiltà che autorizzi le imprese Europee a spostare la loro attività economica in Paesi in via di sviluppo a condizione che in quei Paesi esse garantiscano l’applicazione delle stesse normative Europee sulla sicurezza del lavoro. La salute e la sicurezza dei lavoratori è un bene universale che dovrebbe seguire l’impresa ovunque essa si sposti.

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