Massimo Marini
Al di là delle dichiarazioni di facciata dei leader europei e dei media più allineati e governativi, il vertice tenutosi a Bruxelles sul clima e l’accordo che ne è scaturito rappresentano una sconfitta totale sia dal punto di vista politico/economico che strettamente tecnico. Ancora una volta si è avuta l’impressione di essere parecchio lontani dall’ideale di politica europea unitaria negli intenti e nei modi, questione fragorosamente emersa ai tempi del Trattato di Lisbona. Ancora una volta ogni singolo leader ha cercato in ogni modo e con ogni mezzo, perfino il ricatto, di portare acqua al proprio mulino, infischiandosene dei nobili principi e intenti con il quale il vertice era stato promosso: riduzione delle emissioni inquinanti per far fronte al surriscaldamento globale dovuto alla massiccia produzione di gas serra. Surriscaldamento globale che sta già provocando, anche in territorio europeo, desertificazione, cambiamenti climatici che interferiscono con la produttività in agricoltura e con la vita dell’uomo (gelate, inondazioni, nubifragi, etc), immigrazione da stragi climatiche in zone confinanti, innalzamento del livello medio dei mari, etc.
Particolari interessi di parte che hanno implicazioni naturalmente di natura economica, come quelli difesi strenuamente dal Governo Berlusconi per mezzo dei suoi Ministri Stefania Prestigiacomo e Andrea Ronchi e di fatto oggettivamente soddisfatti dall’accordo partorito dal vertice. Per farla breve, l’obiettivo di questo Governo è stato quello di promuovere la de-localizzazione delle fonti di produzione verde al di fuori dei confini nazionali e addirittura europei, mediante il famigerato mercato di scambio delle quote di emissione di CO2. In questo modo non solo il cittadino italiano si troverà con il danno di pagare le multe che da Gennaio verranno inflitte dalla Comunità Internazionale per il mancato rispetto dei vincoli imposti da Kyoto, ma dovrà subire anche la beffa di dover contribuire all’acquisto delle quote di CO2 da Paesi in via di sviluppo e di ritrovarsi comunque le produzioni inquinanti ancora in casa. Nonostante sia oramai appurato da un’ampia letteratura scientifica che il mix di efficienza energetica (con il controllo puntuale dei consumi e lo sviluppo/diffusione delle tecnologie atte al loro contenimento) e di produzione di energia da fonti rinnovabili sia economicamente molto vantaggioso, anche e soprattutto in termini occupazionali, la strada scelta dal Governo italiano è quella della lobby energetica del carbone che all’Enel fa riferimento. Non solo a breve sarà operativa la nuova megacentrale di Civitavecchia, ma esistono progetti di sviluppo/conversione a carbone anche per le centrali di Porto Tolle, Piombino, Vado Ligure, Fiumesanto, Saline Joniche, in attesa solo del nulla-osta dal Ministero dell’Ambiente. Essendo la centrale di produzione a carbone la maggiore fonte di produzione di gas-serra, ecco che si capisce perfettamente perché in tutti i modi gli inviati del Governo Berlusconi abbiano tentato di rilanciare al ribasso durante il vertice in termini di: percentuali di riduzione, di impegni vincolanti, di de-localizzazione totale (ovvero permettendo il conteggio anche di quanto non solo prodotto al di là dei propri confini, ma addirittura nemmeno importato), di gratuità del mercato di scambio delle quote di CO2, di ritrattazione dei livelli in corso di attuazione dell’accordo. Se poi allo scenario di cui sopra si somma l’incomprensibile taglio agli incentivi del 55% alle rinnovabili e al risparmio energetico nel settore edilizio residenziale, e i vaneggiamenti sul nucleare (tecnologia che non produce emissioni, ma che non ha ancora risolto i propri problemi legati alla sicurezza, allo smaltimento delle scorie, e la cui produttività risulta eccessivamente protratta nel tempo), si evidenzia in modo inequivocabile come la strategia del Governo sia volta ad indebolire gli accordi internazionali sul clima e la politica energetica europea e nazionale, allo scopo di difendere particolari interessi industriali legati alla lobby energetica Enel. Una politica economico ambientale miope ed estremamente dannosa e pericolosa per i cittadini italiani e per lo sviluppo tecnologico, culturale ed economico del nostro Paese.
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