Al servizio della Nazione ed il partito della nazione

4 Marzo 2016
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 Lucia Pagella

Rileggere oggi l’art. 67 della Costituzione e le discussioni che portarono alla sua emanazione dà la misura dell’abisso che si è spalancato fra il tempo dei Padri Costituenti ed il nostro ( quello dei Razzi, degli Scilipoti, dei De Gregorio, tanto per fare i nomi più gettonati ).
La libertà da un vincolo di mandato era stata teorizzata e sancita perché non si voleva che i rappresentanti del popolo fossero prigionieri dei loro elettori come in passato e si pensava che il passaggio da una formazione all’altra fosse in ogni caso dettata da superiori esigenze di buon governo.
Fu un grande costituzionalista come Mortati a prevedere l’assenza del vincolo di mandato e, sia pure con sfumature diverse, tutti gli altri membri della commissione furono d’accordo. Non mancarono addirittura coloro che propugnarono l’esigenza di rafforzare il concetto parlando di assenza di vincolo di mandato da “ esercitarsi liberamente “. Solo alcuni di loro manifestarono qualche perplessità come Terracini che sottolineò come la modifica del sistema del collegio uninominale rendesse non più attuale il problema e fu Grieco che ritenne il vincolo di mandato necessario in quanto i candidati si presentavano sulla base di un programma che faceva riferimento ad un particolare orientamento politico ed ipotizzava che troppa libertà potesse dar luogo in taluni casi  al malcostume.
Oggi che le migrazioni sono divenute collettive e che c’è una sorta di prezziario occulto possiamo ben dire che il vagheggiato interesse della nazione sia divenuto essenziale al così detto partito della nazione che è tutt’altra cosa.
Non possiamo inoltre sottacere che molte cose sono cambiate e che se un tempo i candidati venivano scelti per lo più dal popolo, oggi essi sono l’espressione di una micro nomenclatura  che esercita nei loro confronti un ricatto costante. Ne è una prova la cosiddetta minoranza dem che si esercita per lo più in pigolii prontamente sconfessati dai voti che poi vengono espressi.
Se al bar, ormai divenuto a fronte del parlamento e delle varie riunioni nascoste e palesi un luogo in cui si esercita la politica al più alto livello, si chiedesse ai cittadini perché sono arrabbiati per le diaspore, questi risponderebbero di sentirsi traditi; è infatti  convinzione comune che se Tizio si presenta per difendere l’art. 18, lo statuto dei lavoratori, la progressività delle imposte e quant’altro ha fatto parte del patrimonio ideale della sinistra e poi vota leggi che aboliscono questi capisaldi di un comune sentire qualcosa non funziona anche perché tali trasferimenti non sono episodi sporadici di anime belle. Dorina Bianchi, assurta nell’ultimo rimpasto a più alti traguardi per avere finalmente infilato la porta giusta ha potuto sostenere, senza che gli scappasse da ridere, che i precedenti cambiamenti di casacca erano la manifestazione della sua estrema coerenza.
Occorre pertanto rivedere l’assenza del vincolo di mandato e garantire gli italiani ma per farlo occorre una iniziativa dal basso perché nessun partito rinuncerà mai alla possibilità di acquisire la maggioranza contro il parere espresso dai cittadini soprattutto in un periodo di tempo in cui, ribaltando la regola di De Coubertin “ non è importante partecipare ma vincere “.

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