Gianna Lai
Gianni Fresu parla di ‘Gramsci e il fascismo’ agli studenti del Liceo Scientifico Alberti di Cagliari. Nell’ambito del percorso Storia e memoria, organizzato dall’ANPI e dallo SPI-CGIL. La prima parte della relazione è stata pubblicata due settimane fa. Ecco la sintesi della seconda a cura di Gianna Lai.
Ampliare il fronte antifascista fu prerogativa della Resistenza. Dopo il Luglio 1943 e l’8 Settembre, una parte del movimento antifascista dice che deve svilupparsi una lotta popolare, marginalizzata nel Risorgimento; una parte che deve trattarsi di un secondo Risorgimento, protagoniste le masse popolari. Per liberali e casa regnante, bisognava invece aspettare l’arrivo degli Alleati, ed evitare di coinvolgere le classi popolari: essendo il fascismo una parentesi, sarebbe bastato tornare alle vecchie strutture garantite dallo Statuto Albertino.
Secondo Gramsci liberare il paese dal fascismo significava liberarlo dalle ragioni strutturali che lo avevano determinato. Contro i vecchi equilibri istituzionali, lotta popolare per liberare l’Italia dalle cause che avevano portato alla vittoria di Mussolini. La condizione strutturale era data dalla sua economia, e dalla subalternità delle masse, era necessario quindi un processo costituente e una Costituzione nuova. Lo Stato deve garantire l’uguaglianza sostanziale, deve intervenire a rimuovere gli ostacoli, col coinvolgimento delle masse popolari, che svolgano funzione dirigente, perchè è la partecipazione permanente a garantire l’egemonia. Il tema della democrazia, che poi in Italia si afferma attraverso la Costituzione italiana, per garantire uguaglianza effettiva, è il nuovo punto essenziale di riferimento in Gramsci.
La storia italiana, la storia del Risorgimento e delle classi dirigenti italiane, serve a capire la crisi stessa delle classi dirigenti, che ha avuto un’evoluzione non democratica, ma eversiva, una volta travolto il movimento popolare. E non solo in Italia. Radicate le ragioni della crisi nei processi risorgimentali, nei limiti dello sviluppo economico e nei limiti del movimento socialista, che ha lasciato sconfitto il biennio rosso.
Prima di Gramsci si riteneva che lo Stato si esprimesse attraverso l’uso di Magistratura e polizia. Più importante dell’uso della forza, sono i valori di civiltà che assorbiamo. Ha valore di tipo prospettico lo studio del fascismo in Gramsci: se si devono moltiplicare i rapporti sociali, bisogna restituire egemonia ai ceti popolari, senza delegare questa funzione ai dirigenti del partito. Una delle sfide politiche, che segna il futuro, mette al centro la crisi dei rapporti di rappresentanza e della politica, a causa della divaricazione tra chi governa e chi è diretto. La completa democrazia si costruisce quando questa situazione viene meno, il partito composto e diretto dalle masse popolari, secondo categorie oggi centrali nella filosofia e nella politica: la categoria, in particolare, dell’egemonia.
Le domande degli studenti.
D. Come tradurre nell’esperienza pratica il pensiero di Gramsci?
R. I Quaderni di Gramsci sono patrimonio dell’umanità, a livello internazionale, e la Teologia della Liberazione ha avuto un riferimento essenziale in Gramsci, tanto che in Brasile sanno tutti dove è la Sardegna, perché è la patria di Gramsci.
Asia e Inghilterra partono dalla categoria di Gramsci sulla subalternità nei processi di colonizzazione, ed è utilizzazione pratica del pensiero di Gramsci, che non si studia solo per studiare. Così a Rio de Janeiro si è fatto da poco un Convegno latinoamericano di studi su Gramsci, sui subalterni nelle dinamiche coloniali.
Drammatico elemento il sovvertismo reazionario anche in America latina, anche qui vi è la tendenza ciclica al sovvertivismo nei periodi di crisi, da parte dei ceti dirigenti. Così i colpi di Stato del’64 e del ‘68, Brasile, e poi Argentina e Cile. La lettura di Gramsci ci spiega la storia di quel Paese, partecipazione passiva e sovvertivismo.
Per quanto riguarda l’Italia, l’esperienza pratica gramsciana è quella della stagione costituente. Il passaggio dall’elaborazione alla pratica: in che modo lo Stato interviene a rimuovere gli ostacoli? DC, PSI, PCI organizzano partecipazione e aggregazione sociale, secondo Costituzione, e si garantisce l’ingresso di categorie nuove nella vita sociale, destinate a venir meno con la Guerra fredda, che ha distrutto gli equilibri progressisti. Il tentativo c’è stato, ma senza andare oltre il primo gradino.
D. In Occidente c’è lo Stato più avanzato, ma i lavoratori non son classe dirigente.
R. Il sapere è presentato dagli intellettuali come troppo complicato per gli altri, il diavolo nell’ampolla. Non spiegano il sapere, gli intellettuali. Tutti gli uomini sono filosofi, dice Gramsci, devono assumersi il processo di emancipazione, rompere l’ampolla e garantirsi il sapere. Ogni uomo è filosofo attraverso la trasformazione del lavoro, per superare la divisione tra lavoro manuale e intellettuale. Un partito non piramidale, l’intellettuale collettivo, è l’organizzazione orizzontale che nasce dalla cultura di ogni lavoratore. Il problema della politica è questo dualismo tra chi governa e chi è governato: il partito deve instaurare un rapporto organico, essere come la barriera corallina, deve emergere per l’azione di tutti i lavoratori.
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