All’Alberti si parla di Antonio Gramsci e del fascismo

15 Febbraio 2016
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Gianna Lai

Gianni Fresu parla di ‘Gramsci e il fascismo’ agli studenti del Liceo Scientifico Alberti di Cagliari. Nell’ambito del percorso Storia e memoria, organizzato dall’ANPI e dallo SPI-CGIL.

Gramsci nasce nel 1891, in tempi di pesante miseria, moti insurrezionali e grandi repressioni, che vive in prima persona, specie dopo l’arresto del padre. Gramsci non è un intellettuale da tavolino, le sue teorie sulla subalternità di pastori e contadini son frutto di una conoscenza precisa dei moti endemici che li hanno sempre travolti. Al tempo di Gramsci  la povertà del Mezzogiorno e della Sardegna era dovuta, secondo i ceti dirigenti, non a cause economiche e sociali: essi  ritenevano che i sardi fossero delinquenti, e la tendenza al banditismo fosse da attribuire alla mancanza di un processo evolutivo nella stirpe sarda. E il Meridione era arretrato non perchè l’unificazione Nord-Sud avesse creato quelle condizioni, ma perchè naturalmente lazzaroni i meridionali. Convinzioni che pervadevano anche la cultura socialista, l’Italia si divideva insomma in nordici e sudici. Gramsci si preoccupa invece di indagare la condizione delle masse del sud e delle masse operaie del Nord, partendo dallo studio della subalternità delle masse popolari, che è studio della divisione fra chi governa  e chi è governato, sulla base della divisione del lavoro.
Secondo Gramsci, è nella Prima Guerra Mondiale che va ricercato l’elemento chiave per spiegare il fascismo: controllo delle colonie e crisi d’egemonia, le classi dirigenti non sanno più esercitare la direzione del Paese a seguito della nascita della società di massa e dei partiti politici. Masse popolari e cittadini non seguono più le ideologie delle classi dirigenti, la crisi morale e politica europea porta alla Prima guerra mondiale. Per Croce e il liberalismo, invece, il fascismo fu parentesi irrazionale nella storia d’Italia,  parentesi determinata dalla Prima guerra mondiale, senza legame alcuno con le classi dirigenti. Ma per Gramsci ha radici profonde il  fascismo nella storia italiana, e parte dal Risorgimento: quando si realizza l’unificazione, la borghesia è classe minoritaria, che non riesce a esercitare l’egemonia nel Meridione, quindi i processi di unificazione nazionale nascono in assenza di classe dirigente. Una rivoluzione senza rivoluzione, gli equilibri sociali restano gli stessi della storia precedente, e le classi subalterne si mantengono nella loro condizione.
Il Risorgimento fu per Gramsci un compromesso fra la classe della borghesia del Nord e i latifondisti del Sud, dal cui scontro e dialettica  nasce, invece, in Europa lo stato democratico. In Italia l’intesa porta a governare assieme, per  garantirsi il dominio del nord e del sud. Così la politica doganale per difendere le produzioni del nord e del sud e, in assenza di dialettica reale che comprendesse lo scontro fra due classi, il paese viene ingessato, secondo la categoria del trasformismo. Il trasformismo, dice Gramsci, governa l’Italia, organico all’intesa fra latifondisti e borghesia del Nord, e non solo come malcostume politico nella costruzione delle classi dirigenti per cooptazione, ma come continua frantumazione del fronte opposto, per assorbirlo nella gestione del potere: così furono assorbiti molecolarmente Crispi e Depretis, provenienti dal mazzinianesimo. Quando c’è la crisi, le classi dirigenti rispondono con il sovvertivismo reazionario, e si accantonano le garanzie per mantenere sicuro il potere con la forza. Crispi  anticipa Mussolini, e così la crisi di fine secolo e l’eccidio di Milano, contro le masse che chiedevano pane. Questa sovversione si ha con l’ingresso in guerra, pur essendo contro di essa l’Italia, il Parlamento, il Vaticano, i socialisti. Unico favorevole il governo, che impone una soluzione extraparlamentare, servendosi dei moti di piazza. Si sovvertono le strutture politiche, così come avviene dopo la Marcia su Roma, quando a Mussolini, che  ha appena il 5% dei deputati, vien dato l’incarico per formare il nuovo governo: vero sovvertimento degli equilibri liberali.
Il primo dopoguerra segna la grave crisi dell’Italia, stagnazione, inflazione, soldati senza lavoro dopo che son state promesse loro le terre. Le masse rivendicano un ruolo e si radicalizza lo scontro durante il Biennio rosso, con l’occupazione delle terre e delle fabbriche. Lettura molto originale quella di Gramsci, il dramma della nascita e dell’avvento del fascismo è esito reazionario del Risorgimento, quando, già da allora, la risposta avrebbe dovuto essere la riforma agraria, già al tempo di Mazzini, che non la volle per timore delle masse contadine.  Gramsci dice che non vi fu rapporto armonico, inversamente proporzionale fu lo sviluppo del Nord rispetto all’impoverimento del sud, trasformato in bacino di manodopera e mercato per il Nord. Così, attraverso il fascismo, centrale diviene garantire equilibri passivi, ideologie nuove, secondo Gramsci, che hanno base sociale nella  piccola e media borghesia. I più colpiti dalla guerra sono i ceti medi declassati, una proletarizzazione dei ceti medi, con perdita di status. Fra studenti e professionisti si sviluppa il fascismo antisocialista, con ideologie che mirano a coinvolgere  i movimenti popolari: il malessere delle classi medie che si salda agli interessi delle classi dirigenti, industriali ed agrari, veri finanziatori del fascismo. E siccome non tutta la classe dirigente si schierò col fascismo, il varo delle leggi fascistissime, servì anche a  controllare settori borghesi e bancari che non vi aderirono. Fenomeno che ha radici profonde nella storia delle classi dirigenti italiane, il fascismo si deve studiare, per Gramsci, attraverso la storia delle classi dirigenti.
 

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