Gianfranco Sabattini
Il numero uno del 2016 di “Micromega” celebra i trent’anni della sua fondazione, con la pubblicazione del contributo di quattro autori sui “fondamenti” dell’essere a sinistra; nella prospettiva che “esista ancora un’opinione pubblica di una sinistra che ‘non si accontenta’ né politicamente né intellettualmente e intende tornare a pensare […] le ragioni del proprio essere a sinistra…”. Il primo dei quattro scritti (“Che fare? Dialogo sul comunismo, il capitalismo e il futuro della democrazia”) è il risultato di un confronto svoltosi tra i due noti filosofi francesi Alain Badiou e Marcel Gauchet: il primo professore all’Università di “Paris VII” (Vincennes – St-Denis) e dell’ École Normale Supérieure, il secondo professore presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales e direttore delle rivista “Le Debat”.
Il confronto tra i due filosofi si sviluppa e si articola riguardo alla prospettiva di un possibile ritorno del comunismo per rimediare ai mali del capitalismo; le conclusioni del confronto non potevano risultare più diverse, considerato che quelle di Badiou sono di un comunista avanti lettera, mentre quelle di Gauchet sono di un riformista democratico.
Secondo Badiou, l’esperienza storica del fallimentare comunismo reale “non costituisce di per sé un argomento decisivo contro l’idea in quanto tale. Non ha senso trasformarla in un tribunale storico della prospettiva comunista”. Dopo la formulazione dell’idea da parte di Marx, c’è stata, è vero, l’esperienza della sua “zoppicante a traviata messa in pratica dallo Stato; ma ora, all’inizio del XXI secolo, secondo Badiou, si è aperta una fase nuova, “segnata dal ribollire di varie contraddizioni”, che lasciano presagire la possibilità di “tornare al comunismo delle origini, di ricuperare le caratteristiche fondamentali dell’Idea stessa per poterla adattare nel modo più appropriato al mondo contemporaneo”. Si tratterà di un comunismo che, oltre a sottrarre il divenire dell’umanità intera “all’influenza nociva del capitalismo”, di rimuovere la separazione del lavoro manuale da quello intellettuale, dovrà evitare che lo Stato coercitivo appaia una “forma naturale e imprescindibile della strutturazione delle società umane”. Combinate insieme, le tre dimensioni dell’idea comporranno “un’alternativa complessiva all’evoluzione che ha caratterizzato la storia umana fino ad oggi”.
Nel momento attuale, secondo Badiou, l’alternativa è tanto più necessaria, se si considera che la democrazia parlamentare appare sempre più inidonea a controllare l’egemonia sulla società del capitalismo; ciò perché la “democrazia rappresentativa è costitutivamente sotto l’autorità del capitale”. In queste condizioni, i partiti si alternano al governo “strombazzando ai quattro venti la propria volontà di riformare il sistema in profondità”; ma, una volta al potere, ogni partito riesce a tradurre la propria ostentazione di riformismo in piccoli aggiustamenti, dal momento che “i governanti hanno in realtà un’unica urgenza: sottomettersi nuovamente al culto del capitale”. In sintesi, secondo Badiou, ogni tentativo di addomesticare il capitale non può che passare per una drastica messa in discussione del “’pluralismo democratico’, che non è altro che il pluralismo delle sfumature, delle piccole differenze che il contesto del capitalismo è in grado di tollerare”.
Badiou ritiene che la democrazia pluralista abbia evidenziato i propri limiti negli anni Settanta, soprattutto con l’inizio del processo di globalizzazione delle economie capitaliste, col quale l’accumulazione primitiva del capitale è stata “rilanciata in grande stile assumendo proporzioni gigantesche”; poiché non è possibile pensare alla globalizzazione senza un potere imperiale strumentale alla concentrazione del capitale, il processo di internalizzazione delle economie nazionali ha segnato il ritorno, dopo la decolonizzazione, al potere imperiale del capitalismo; fatto, quest’ultimo, che, a parere di Badiou, vale a dimostrare l’esistenza di un legame spesso non indagato, “non solo fra il capitalismo e l’imperialismo, ma anche fra l’imperialismo e la stessa democrazia”. Pertanto, la crisi attuale del capitalismo non sarebbe dovuta all’egemonia neoliberista dei mercati finanziari, non essendoci nulla di nuovo sotto il sole del capitalismo; quella del 2007/2008 sarebbe una “banale crisi di sovrapproduzione, come ce ne sono già state in passato”, per cui il ricondurla alla preminenza dei mercati finanziari su quelli reali non può che costituire un abbaglio. La crisi dei “subprimes” ha infatti innescato un processo di sovrapproduzione, in quanto è stata originata dall’ostinazione di “voler vendere un’enorme quantità di case a persone che si sono indebitate per acquistarle e che si sono alla fine rivelate insolventi”.
Il superamento del capitalismo, per il neo-comunista Badiou, deve partire dalla piena consapevolezza dei presupposti sui quali è fondato, ovvero che il capitalismo ha a suo fondamento il liberalismo, “vale a dire la dottrina secondo la quale esistono solo individui. […] Il capitalismo ha un bisogno essenziale di una concezione antropologica di questo tipo”; ciò perché, per esso, non vi è nulla di più importante dell’idea di un insieme di “individui sovrani che trovano un accordo grazie all’intervento miracoloso della mano invisibile…”. L’alternativa al capitalismo non può che essere il comunismo classicamente inteso, la cui dimensione politica non può che essere mondiale, ad opera di tutti i movimenti popolari locali, dato che “quando si ha di fronte un avversario bisogna cercare di essere alla sua altezza, e il capitalismo è una forza mondiale…”.
Una posizione diametralmente opposta alla tesi di Badiou è quella di Gauchet, secondo il quale un incontro di movimenti popolari locali, aventi come scopo la riproposizione dell’idea comunista, non può essere assunta come prova della sua validità per la soluzione dei problemi del mondo attuale; l’incontro dei movimenti sull’idea comunista può valere solo a confermare il potere di seduzione dell’idea. Gauchet concorda con Badiou nel ritenere che gli effetti del capitalismo attuale sulle capacità di tenuta della coesione dei sistemi sociali siano deleteri, per cui è comprensibile che coloro che soffrono le conseguenze del capitalismo aspirino a una società migliore. Si tratta di un’aspirazione “legittima e nobile. Ma la nobiltà di una causa – afferma Gauchet – non è di per sé garanzia di un approccio corretto. Essa può invece fare da schermo impedendo di vedere come stanno realmente le cose”.
Secondo Gauchet, i sostenitori dell’idea comunista presentano la caratteristica di sentirsi diversi e in rotta di collisione col mondo, sino a trasformare la loro radicalità in una postura, consistente nel “rincarare costantemente la dose della propria opposizione al mondo così com’è”. La postura, però, consente solo il vantaggio di raccogliere gli effetti della radicalità, senza dover pagare il prezzo del lavoro da svolgere per la cura dei mali del mondo; in tal modo è inevitabile che la postura si sostituisca alla radicalità, divenendo un fine in sé. L’idea comunista – afferma Gauchet – nella sua dimensione puramente intellettuale non disturba affatto, in quanto è “un’idea erede del progetto della modernità”, distinguendosi dalle imprese reazionarie d’inizio del XX secolo; i problemi sorgono quando si tenta di concretizzare quell’idea, andando incontro alle difficoltà che si manifestano allorché si vuole realizzare un programma che non è né praticabile né auspicabile.
Ciò perché niente è più pericoloso “del coltivare l’idea secondo cui, mentre il marxismo applicato così come si è incarnato nella storia è un abominio, i suoi fondamenti rimangono sempre veri”; il marxismo, dopo l’esperienza del socialismo reale, va esaminato dal punto di vista del suo valore di verità, soprattutto in relazione all’assunto che l’evoluzione del mondo avvenga secondo presunte leggi della “scienza della Storia”. Al contrario, tutti i discorsi “che si presentano sotto gli auspici di una scienza della storia, anche rinnovata, anche riattualizzata, devono […] destare sospetto ed essere combattuti”. I tragici eccessi che hanno caratterizzato il comunismo mostrano il “fallimento di qualsiasi tentativo ideologico di comprendere in maniera anticipata e definitiva il funzionamento di una società”; solo una comprensione della società, liberata dalla “zavorra scientista”, può consentire di formulare una volontà in grado di fare evolvere la società nella direzione che si ritiene più opportuna. La condizione politica in cui è costretta a vivere l’umanità è infatti espressa dalla tensione che si instaura tra la dinamica spontanea della storia e la volontà di modificarne la direzione che l’umanità ha la possibilità di esprimere.
Ciò che differenzia questo approccio alla cura dei problemi del mondo, rispetto all’altro suggerito dal comunismo, non riguarda la necessità di cambiare lo stato di cose presenti, ma la questione decisiva del come realizzare il cambiamento. Il comunismo propone un’uscita radicale dal capitalismo; l’approccio riformista invece, non implica una rottura definitiva col capitale, ma un dominio politico dell’economia, per imbrigliare il capitalismo, rimanendo all’interno del modello democratico del pluralismo politico, al fine di godere delle possibilità che tale modello offre. Per quanto al giorno d’oggi non si possa negare che i singoli governi dei sistemi capitalistici “si inginocchino di fronte al neoliberismo e che si limitino a ratificarne le derive”, tale stato di cose non è però ineluttabile, come sostengono i fautori del comunismo, non è però ineluttabile; esiste un’indipendenza del principio del pluralismo politico che rende la democrazia in grado di prendere il sopravvento sul capitale, come la prospettiva del riformismo politico suggerisce.
Sebbene la prospettiva del riformismo sia oggi svilita e vilipesa, è necessario riscoprirne le potenzialità, se si vuole migliorare la condizione in cui versa oggi l’umanità; per quanto questa prospettiva non ci liberi dal capitalismo, avrà però l’effetto di assicurarci condizioni esistenziali più vivibili.
La crisi attuale del capitalismo, secondo Gauchet, è stata causata dallo “sconvolgimento” che il modello democratico ha subito, da un lato, a seguito del massiccio processo di “individualizzazione” che ha investito le società capitalistiche con la pretesa dei loro cittadini di vedere soddisfatti un insieme di diritti umani sino ad allora rimasti insoddisfatti e, dall’altro lato, a seguito del processo di mondializzazione delle società capitalistiche; un fenomeno, quest’ultimo, che, a parere di Gauchet, a differenza della globalizzazione, ha un significato politico, che si è espresso, data l’incapacità degli Stati capitalistici di ricorrere alle pratiche imperialistiche del passato per rilanciare il processo di accumulazione del capitale, attraverso la globalizzazione delle economie nazionali, realizzata sulla base del primato dell’economia, “imbellettato nei panni […] di un’ideologia neoliberista ormai onnipervasiva”.
Questo processo complessivo ha determinato nelle società capitalistiche un affievolimento dell’azione politica democratica, originato dall’esterno con l’avvento della globalizzazione, che ha eroso i connotati propri degli stati–nazione, e dall’interno con l’espressione dei diritti individuali, che si è realizzata a spese della credibilità e della capacità di tenuta del modello democratico. Alla crisi, secondo Gauchet, è possibile rimediare attraverso il ricupero dell’efficacia dell’azione politica, con riforme economiche e politiche che dovranno avere un’ampiezza pari a quella che hanno avuto le riforme realizzate dopo il 1945, “per far rivivere la democrazia e l’ideale di giustizia che le è consustanziale.
Quale dei due approcci è più conveniente e desiderabile, per rimediare ai mali gravanti sulle società a causa del funzionamento del capitalismo senza regole? Se la storia deve essere assunta come “maestra di vita”, non si può trascurare che, se il capitalismo, come afferma Badiou, si fonda sulla concezione antropologica di una società costituita solo da individui, non è meno vero che il comunismo poggia su una concezione antropologica alternativa, fondata sul presupposto olistico che esista un unico soggetto collettivo; per la realizzazione del quale, nonostante Badiou ricordi che l’esistenza di uno Stato autoritario nella realizzazione dell’idea comunista non costituisce una condizione irrinunciabile, non va dimenticato che il perseguimento del paradiso collettivista prospettabile sulla base dall’idea comunista, con la soppressione delle specifiche individualità, o dei gruppi e classi, che costituiscono le società umane, è possibile solo attraverso l’inauspicabile esperienza di vita, anche se presunta temporanea, all’interno di un inferno in terra. Fatto questo, che rende impossibile non condividere l’approccio riformista al governo delle società, in alternativa a qualsiasi altro approccio autoritario ed esclusivo, tra i quali rientra sicuramente quello comunista di stampo sralinista.
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