Disuguaglianze e infelicità sociale

10 Febbraio 2016
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Gianfranco Sabattini

Nel libro “La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici”, Richard Wilkinson e Kate Pickett, entrambi epidemiologici, ma dotati di una robusta cultura economica e antropologica, presentano i risultati di un lunghissimo lavoro di ricerca per far comprendere “le cause delle grandi disparità di speranza di vita – le cosiddette ‘disuguaglianze di salute’ – tra gli individui a diversi livelli di gerarchia sociale nelle società moderne”. I due studiosi vogliono anche fare capire perché “le condizioni di salute peggiorano via via che si scende lungo la scala sociale”, per cui i poveri sono meno sani degli individui di classe media, i quali, a loro volta sono meno sani delle persone ricche.
Le società moderne – affermano Wilkinson e Pickett – presentano uno ingiustificabile paradosso: pur avendo esse raggiunto un alto livello scientifico, tecnico e materiale, una parte considerevole dei loro cittadini sono ansiosi e depressi, spinti a consumare in continuazione e privi di una vita di comunità, quale il livello di benessere dovrebbe consentire. Nei paesi ricchi, il “contrasto tra successo materiale e insuccesso sociale” indica ormai che per “innalzare ulteriormente la qualità della vita, occorre spostare l’attenzione dal tenore di vita materiale e dalla crescita economica alla maniera di migliorare il benessere psicologico e sociale di intere collettività”. Oggi, sulla base delle informazioni di cui si dispone, è possibile costruire un “quadro organico e coerente” dei possibili rimedi ai quali ricorrere “per liberare la società dalla morsa di tanti comportamenti disfunzionali”.
La crescita economica, il grande motore che a lungo ha sorretto il progresso dei paesi ricchi, è giunta al “capolinea”. Gli indicatori del benessere e della felicità hanno cessato di crescere di pari passo con il reddito nazionale; al contrario, all’aumento della ricchezza materiale, le società ricche hanno visto aumentare i disagi individuali e sociali dei loro componenti, giungendo così al termine di un lungo percorso storico. Le informazioni fornite dalle molte ricerche sul campo dimostrano, inconfutabilmente che, via via che i paesi diventano ricchi, gli ulteriori miglioramenti del tenore di vita hanno, per esempio, un’influenza sempre minore sulle condizioni di salute della popolazione; la qualità complessiva della vita, però, dipende anche da altri fattori, per cui, oltre alla salute, anche la relazione tra felicità e crescita economica si affievolisce all’aumentare del reddito.
Ciò significa che, presto o tardi, con la crescita economica, i paesi raggiungono un livello di opulenza tale da determinare rendimenti decrescenti, nel senso che, superata una certa soglia di reddito, ulteriori incrementi di questo si coniugano con quantità sempre minori di salute, benessere e felicità. Inoltre, mentre si esauriscono i benefici reali a livello individuale e sociale, insorgono anche problemi ambientali, i quali, già di per sé, rendono problematica la capacità degli attuali paesi opulenti di sostenere gli alti livelli di produzione di consumo. Ancora, secondo gli autori, ricorre pure un altro fenomeno, consistente nel fatto che al successo materiale non corrisponde, a causa delle disuguaglianze, un successo sul piano sociale; nel corso delle loro ricerche, Wilkinson e Pickett hanno scoperto che quasi tutti i mali che colpiscono le fasce sociali più povere, “si riscontrano più comunemente nelle società meno inclini all’uguaglianza”.
La persistenza di una crescente disuguaglianza sociale all’interno dei paesi ricchi interagisce con la crescente disuguaglianza nella distribuzione interindividuale del reddito; fatto, questo, che causa il formarsi di una struttura gerarchica della società. Ciò diventa indicativo, oltre che delle influenze negative sul livello della salute, del benessere e della felicità, anche come causa delle differenze di status sociale, che hanno un peso rilevante nella determinazione di quelle di natura culturale e di classe, destinate ad originare gli specifici livelli individuali di disagio. L’esperienza dei paesi ricchi è destinata a replicarsi anche nei paesi poveri; per questi ultimi, l’aumento del tenore di vita materiale è all’origine, sia delle misure oggettive del loro benessere, come la speranza di vita, sia di quelle soggettive, come la felicità. Ma appena un paese povero raggiunge gli standard di reddito propri dei paesi ricchi, gli ulteriori aumenti di reddito diventano via via ininfluenti sulle condizioni di vita della sua popolazione.
Come è possibile ridurre le disparità economiche esistenti nelle attuali società ricche, oppure impedire che esse si formino nelle società meno ricche, onde evitare i disagi connessi al continuo miglioramento del reddito? Secondo Wilkinson e Pickett, sarà necessario attuare una vera e propria trasformazione del vivere insieme: “una trasformazione che non sarà certo agevolata dal ricorso a metodi violenti, ma che difficilmente potrà essere conseguita arrabattandosi con metodi politici di minore entità”. A tal fine, occorrerà la nascita di un forte movimento sociale, dotato di una chiara visone di come realizzare l’uguaglianza, attraverso i cambiamenti economici e sociali necessari.
Secondo Wilkinson e Pickett sulle generazioni attuali incombe la necessità di produrre una delle “maggiori trasformazioni della storia dell’uomo”; ciò, in considerazione del fatto che la crescita economica non è più in grado di contribuire al miglioramento della qualità della vita e che le condizioni di sopravvivenza delle generazioni future risiedono nel miglioramento dell’ambiente sociale e nella conservazione di quello naturale, di cui le generazioni attuali godono: l’uguaglianza distributiva costituisce la precondizione per porre un limite all’ulteriore deterioramento del livello del benessere e della felicità, che da tempo sta minando la capacità di tenuta della coesione sociale dei moderni sistemi avanzati.

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