Referendum costituzionale: le ragioni del NO

9 Febbraio 2016
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Alfiero Grandi

 Anche a Cagliari si è costituito il Comitato per il NO al referendum. Si riunisce ogni settimana in via Alagon 30. Chiunque può aderire anche soltanto indicando la propria mail per riceve le comunicazioni. C’è pure un profilo facebook.  Ora il Comitato sta organizzando per venerdì 12 la partecipazione, presso la Sala del Banco di Sardegna di viale Bonaria, ad una Conferennza del Prof. Federico Sorrentino, costituzionalista della Sapienza, sulla portata delle modifiche costituzionali Renzi-Boschi-Verdini. Da molte parti ci si chiede cosa fare e cosa dire nella campagna referendaria. Abbiamo già dato alcune indicazioni. Eccone altre, sempre ad opera di Alfiero Grandi del Comitato nazionale per il NO al referendum..

Lo scenario futuro non è più caratterizzato da un’alternanza tra schieramenti diversi ma dal tentativo di costruire un potere centrale (il ricordo va inevitabilmente alla DC) che in parte assorbe dominandole e in parte emargina le altre componenti politiche. In sostanza è un tentativo di costruire un regime. Della costruzione di un regime fa parte essenziale un sistema istituzionale funzionale a questo disegno, che la Costituzione uscita dalla Resistenza non permette. L’attuale Costituzione ha permesso di distruggere la legge elettorale definita “porcellum” perché contraria ai suoi principi, anche se troppo tardivamente, dalla sentenza della Corte. La Corte ha salvato gli atti già compiuti da un parlamento eletto con una legge elettorale illegittima ma dopo avrebbero dovuto esserci nuove elezioni, con un nuovo sistema elettorale, possibile anche con quello uscito dalla sentenza. Invece no. Il parlamento a trazione del governo Renzi per le più disparate - spesso poco nobili -  ragioni ha approvato una legge elettorale ipermaggioritaria simile al porcellum e ha fissato l’asticella dei deputati nominati dai capi partito ad almeno i due terzi degli eletti della Camera. Innestando questa legge elettorale sullo scasso della Costituzione in corso di approvazione si avrebbe questo esito: il Senato diventerebbe una camera fittizia che avrà più poteri di quanti riuscirà ad esercitarne e con componenti non eletti dai cittadini, ai quali non debbono rispondere del loro operato. Faccio un esempio, se l’Italia dovrà decidere su pace o guerra l’unica sede in cui farlo sarà la Camera dei deputati, in quanto il Senato non conterà nulla. La Camera eletta con un sistema ipermaggioritario avrà la maggioranza di un solo partito, per di più con deputati in buona parte designati, guarda caso, dal capo del partito.
Con queste modifiche istituzionali su pace o guerra deciderà di fatto il governo e in particolare Renzi, semprechè non scopra che potrebbe vincere qualcun altro. In altre parole si prefigura un sistema autoritario, centralizzato, monocratico che nel nostro paese non c’è mai stato dalla Liberazione ad oggi. Si arriverà a qualcosa di molto simile al Sindaco d’Italia.
Forse Renzi non è il primo ad auspicare questa soluzione ma è il primo ad essere in condizione di ottenerla.
A cosa serve questo enorme accentramento di potere? Non è solo per desiderio di potere personale e nemmeno solo il tentativo di eliminare in radice i possibili contrasti. Parte dalla consapevolezza che l’Italia è prossima a decisioni forti, il rispetto dei parametri e il cosiddetto risanamento imporranno scelte che sposteranno drasticamente i rapporti di forza a danno dei lavoratori: Ci sarà chi comanda e chi è comandato, punto.
Per questo il sindacato (quando è autonomo) è di troppo. Si pensa di imporre tagli importanti allo stato sociale,  introducendo nella scuola come nello stato sociale processi di privatizzazione sempre più importanti. Ci sarà sempre più un uso spregiudicato, di regime, degli organi di informazione, con buona pace dei processi di diffusione delle informazioni. Agitare uno smartphone non salverà dalla riduzione drastica delle vere informazioni disponibili. Il futuro rischia di essere un selfi continuo con la presenza del Presidente del Consiglio, considerato eterno perchè dovrebbe essere rappresentato solo quello che il potere vuole. La crisi della destra berlusconiana può avere confuso una parte del Pd che ha finito con  l’assumere una posizione di attesa del termine di questa fase per esaurimento naturale, sottovalutando i connotati culturali, politici necessari ad una valutazione critica. Quando questa fase si esaurirà anche il Pd non starà granchè bene, perché troppo coincidente con l’oggetto della critica. Quello che guadagna oggi verrà pagato caro.
Per questo chi ha un altro punto di vista di fronte al prevalere di una logica autoritaria, di dominio, che impone già oggi  scelte non condivise, come è accaduto non solo sull’articolo 18 ma anche sulla scuola con una legge che rischia di deformarne seriamente la funzione, sull’ambiente con norme che hanno dato il via libera a scelte devastanti, è obbligato a scegliere un terreno di scontro non usuale come i referendum abrogativi o la rivendicazione del referendum oppositivo sulle modifiche della Costituzione.
Se il parlamento non ce la fa, e non ce la sta facendo, a contrastare le scelte dominanti, se gli interessi politici prevalenti spingono ad approvare provvedimenti inaccettabili, resta solo la possibilità di fare appello ai cittadini, cercando di renderli consapevoli che le scelte in ballo sono di fondo e decideranno del futuro del nostro paese. Nessuna faciloneria nella scelta referendaria ma la consapevolezza che lasciar correre vorrebbe dire rinunciare a condurre una battaglia difficile ma  inevitabile per rendere consapevole il paese dei problemi da risolvere e delle scelte da fare per evitare che metta radici una vera e propria torsione autoritaria. I referendum sono una via impervia ma è l’unica che resta per fermare il renzismo prima che diventi regime. Se a primavera inizierà una stagione referendaria che investirà, come sembra possibile, modifiche della Costituzione, legge elettorale, scuola, diritti di chi lavora potrebbe crearsi una diversa consapevolezza nei cittadini e potrebbe tornare la speranza che il regime targato Renzi non è l’unico futuro possibile.
Aspettiamoci demagogia a non finire. Renzi insisterà sul taglio dei senatori, ma sarà facile rispondere che si potevano differenziare i ruoli delle camere e ridurre il numero dei parlamentari con altri meccanismi, indicati ad esempio dalla proposta di legge Chiti, ignorata dal governo.
Altre scelte erano e sono possibili, a condizione che queste vengano bocciate.
Fermare è possibile, fermare è necessari. Salvare la Costituzione da manomissioni è un compito primario. Impedire derive su materie come lavoro, scuola, legge elettorale può prefigurare una novità politica. Mobilitare energie sociali e politiche, le coscienze di singoli, offre a tutti la possibilità di contribuire ad evitare una deriva preoccupante e che il nostro paese non merita.

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