Gonario Francesco Sedda
In un recente editoriale [Quel club anomalo antiriforma, Corriere della sera, 17 gennaio 2016] Angelo Panebianco ha dato una prova di grossolana propaganda a favore della controriforma costituzionale di M. Renzi.. Il politologo liberal-conservatore, quasi renziano o “diversamente renziano”, comincia con un tentativo di discredito degli oppositori alla riforma regressiva che sarà sottoposta a referendum il prossimo autunno. «La politica – ha scritto – può dare luogo alle più imprevedibili e bizzarre convergenze». La imprevedibilità e la bizzarria riguardano il caso. Ma subito dopo (accogliendo un gradito suggerimento da Il Foglio) la convergenza casuale è diventata «alleanza di fatto» tra i “conservatori” della Costituzione (coerenti e tuttavia opportunisti) e i berlusconiani (incoerenti e anche confusi).
Sembra la stessa cosa e invece non lo è.
Un’alleanza presuppone un accordo tra i contraenti e li impegna a concedersi reciprocamente appoggio in vista del raggiungimento di un comune scopo politico. Non vi è accordo invece tra chi vuole migliorare la Carta Costituzionale conservando e rafforzando il suo potenziale democratico contro le tendenze oligarchiche e chi vuole (e ha cercato a suo modo) di scassarla per restringere gli spazi democratici innestando spezzoni di Costituzioni più vecchie della nostra. Non vi è un comune scopo politico tra loro, perché vogliono Costituzioni diverse e divergenti.
La locuzione «alleanza di fatto», al limite del non senso, ha una certa forza di distorsione ideologica, allude a una politica inevitabilmente e bassamente pattizia dalla quale quasi nessuno – neppure i “professoroni” – può fuggire, salvo il “professorino” Angelo Panebianco che con freddezza scientifica e con distillato spirito neutrale analizza i “fatti” e imparzialmente dà dignità solo alla proposta e all’azione del cinguettante restauratore Matteo Renzi.
Dunque, solo “convergenza nel voto”: i fautori di una Costituzione migliorata (e con il suo potenziale democratico rafforzato) e i berlusconiani (fino a ieri “compagni di merenda” del guastatore di Rignano sull’Arno) non saranno visti lavorare «spalla a spalla», non procederanno «mano nella mano», perché agiranno in postazioni diverse e seguiranno percorsi diversi. Nessun «club anomalo». Quando esistono almeno due opposizioni – una dentro il medesimo blocco dominante e l’altra fuori dal blocco dominante nel suo complesso – le “convergenze nel voto” sono addirittura frequenti e non sono neppure «imprevedibili e bizzarre». Se vi è dissenso e lotta per l’egemonia dentro il blocco dominante, può succedere che si abbiano “convergenze nel voto” non solo tra le due opposizioni in minoranza, ma anche tra la maggioranza governante e la minoranza esistente fuori dal blocco dominante.
2. Secondo il nostro politologo lo scontro referendario del prossimo autunno sarebbe tra chi intende abolire il bicameralismo paritetico (due Camere con uguali poteri) e chi invece vuole conservarlo per impedire che si realizzi «un disegno autoritario». Ora, una cosa è vera: gli oppositori “conseguentemente democratici” vogliono impedire che una deriva oligarchica che è già nei fatti si consolidi con un cambiamento restauratore dell’ordinamento costituzionale. Ma non è il bicameralismo perfetto che di per sé può fare argine a una deriva autoritaria.
Nessuno dei “democratici conseguenti” vuole conservare il bicameralismo paritetico. Il professor Panebianco non può non saperlo e dunque mente sapendo di mentire; oppure sa di fare propaganda grossolana e allora si arruoli apertamente nella schiera dei pifferai renziani o “diversamente renziani”.
Di più, preferire un bicameralismo non perfetto (ma strutturato e forte) non vuol dire che di per sé il monocameralismo è la realizzazione di un disegno autoritario. Il problema della rappresentanza e del controllo democratico esiste sia con il bicameralismo sia con il monocameralismo.
In Italia si propone di passare da un bicameralismo perfetto a un “bicameralismo scemo”. Un Senato che per competenze incerte, per composizione, per modalità di elezione e di funzionamento appare più un mostriciattolo che un’istituzione autorevole è un organismo inutile. Sarebbe stato meglio abolirlo.
Angelo Panebianco non solo ha fatto ruotare il suo ragionamento attorno alla favola della conservazione del bicameralismo paritario, ma ha voluto disintegrare qualsiasi preteso fondamento del ragionamento altrui: «Ciò che, a quanto pare, sentiremo ripetere continuamente prima del referendum d’ottobre a proposito di autoritarismi e progetti autoritari ha dunque un’origine antica, e non si spiega se non ricordando ciò che scrisse Keynes: le idee circolanti in ogni momento si devono invariabilmente alla penna di scribacchini defunti ormai da tempo». Ora, fatte tutte le misure e proporzioni, non pare che l’autorevolezza del nostro politologo sia allo stesso livello di quella di John Maynard Keynes e che dunque sia cosa meschina servirsi del prestigio altrui per colpire velenosamente i propri avversari.
Scribacchino chi?
Naturalmente vengono da “scribacchini” defunti le idee circolanti fatte proprie dagli avversari, mentre quelle fatte proprie dal prestigioso professor Panebianco vengono da “scrittori” vivi, vigorosi e sempre verdi! Le ideologie sono tutte morte, salvo la sua.
3. In realtà al nostro editorialista liberal-conservatore non interessa il confronto con chi non sa liberarsi dal “complesso del tiranno”, con chi vedrebbe inesistenti disegni autoritari, con chi vorrebbe impedire «la formazione di governi forti e efficienti», con chi vorrebbe solo governi fragili e paralizzati nel gioco dei poteri di veto. L’idea semplice che i “democratici conseguenti” non stiano e si rifiutino di stare dentro il suo schemino polemico è un’idea che non passa per niente nella testa di A. Panebianco. Infatti rimane estaticamente fermo nella convinzione che tutti i suoi avversari coltivino «la stravagante idea secondo cui un governo istituzionalmente forte (come è, ad esempio, il Cancellierato tedesco) sia del tutto incompatibile con la democrazia». No! Quella stravagante idea è una sua invenzione. Un governo istituzionalmente forte non è per niente incompatibile con la democrazia. Solo che quell’istituzionalmente forte non può voler dire “privo di una ragionevole rappresentatività e senza controllo democratico”. E il Cancellierato tedesco – con una legge elettorale prevalentemente proporzionale e un ordinamento statuale di tipo federale – ha poco a che vedere con il disegno restauratore di M. Renzi. Ma il nostro politologo è dichiaratamente allergico alla rappresentanza e ai «cosiddetti, e mal detti, contrappesi». Vuole finalmente sentire «il “peso” di un forte esecutivo» senza troppi lacci e laccioli; vuole un elettorato “maturo” e quindi propenso all’astensione di massa, una democrazia debole nel territorio e inesistente nei luoghi di lavoro.
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