Quanto sono inopportune e strumentali le guerre di religione natalizie nella scuola pubblica!

3 Dicembre 2015
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Tonino Dessì 

E’ esplosa in questi giorni la polemica sull’opportunità di far prevalere nella scuola pubblica italiana, durante le imminenti festività natalizie, le manifestazioni più legate alla tradizione cattolica. Dopo l’episodio del dirigente scolastico di Rozzano, che avrebbe negato ad alcune madri di studenti l’accesso in un istituto per insegnare agli alunni disponibili, durante la ricreazione, alcuni canti religiosi natalizi cristiani, un ben più serio caso si è verificato a Sassari, dove pochi giorni fa la dirigente di una scuola pubblica ha negato l’autorizzazione allo svolgimento di una visita dell’Arcivescovo turritano nell’istituto.
Penso che non sia un caso se certi confronti assumono ancora, specificamente in Italia, le forme di una contrapposizione accanita, cui si accompagna altrettanto spesso una piuttosto squallida speculazione politica, prevalentemente attuata dai leghisti e dalla destra, alla quale da altri schieramenti si è risposto con ambiguità, se non con colpevole connivenza.
La vicenda sassarese è iniziata, come dicevo, con l’annunzio dell’intendimento arcivescovile di compiere una visita pastorale in una scuola pubblica.
Messa in questi termini, ritengo che l’accoglimento della richiesta, da parte degli organi monocratico e collegiale della scuola in questione, i quali sono organi dello Stato inseriti in una precisa organizzazione istituzionale, sarebbe stato anche sul piano formale un atto piuttosto azzardato, forse neppure di loro competenza e responsabilità.
La visita in una scuola pubblica del massimo esponente provinciale di un’istituzione religiosa, infatti, se non vuol essere valutata come un’iniziativa non consentita di proselitismo, deve avere una motivazione d’interesse pubblico specifico.
Se la motivazione fosse quella di instaurare un dialogo conoscitivo sul tema della religione con i ragazzi, ragioni di natura pubblicistica richiederebbero l’inquadramento dell’iniziativa in un programma di confronto paritario con altri punti di vista religiosi. Ma anche in questo caso, per tutti i coinvolti, ogni carattere di induzione a una o ad altra fede travalicherebbe il lecito confine del dialogo aperto con una comunità di discenti pluralistica. Aggiungo che anche le convinzioni ateistiche sono radicate e legittime e che vi sarebbe pari diritto degli studenti a conoscere da fonti culturalmente adeguate, dentro l’eventuale confronto, un punto di vista strutturato in materia. Aggiungo inoltre, per averci pensato, che nemmeno un’intenzione (che però non c’è stata) in linea di massima comprensibile -visti i drammi di questi giorni- volta a far convergere delle eminenti cariche religiose sul tema del dialogo per la pace e contro il terrorismo, finalizzata quindi alla diffusione del senso di tolleranza, potrebbe sfuggire allo scrutinio di interessi e di modalità cui ho accennato.
La questione quindi non può essere affrontata sbrigativamente nemmeno con la soluzione: “Ma chiamiamoli tutti”. Anche questa soluzione andrebbe ben ponderata.
Resta in ogni caso da superare il fatto che, soprattutto nella scuola, nonostante il principio della laicità delle istituzioni ispiri nel suo complesso la Costituzione, sopravvivono, anche per via della contraddittoria costituzionalizzazione delle procedure concordatarie e dei loro contenuti, forme e retaggi espliciti e impliciti di una “religione di Stato”.
Penso che proprio la perdurante presenza di questi retaggi - che non possiamo difendere come tradizioni - crei le difficoltà che incontrano gli operatori scolastici ad assicurare con razionalità e buon senso non tanto l’asettica indifferenza, quanto la valorizzazione della conoscenza reciproca e della convivenza fra ispirazioni, fedi, usi differenti - comprese le convinzioni dei non credenti - che tuttavia è pur sempre obbligo della scuola pubblica promuovere e garantire.
È su questo che siamo indietro. E questo ritardo è causato e voluto proprio da una politica che resta ambigua - quantomeno - nei confronti della scuola pubblica, che non ne rafforza il ruolo privilegiato di formazione alla cittadinanza e che non ne difende appieno il carattere di istituzione libera e autonoma sotto l’egida delle sole leggi della Repubblica.

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