Sovranisti di tutto il reame uniamoci! Il neocentralismo regionale e statale strangola la Costituzione

10 Dicembre 2015
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Andrea Pubusa

Leggo sui giornali dell’accentramento su Cagliari dell’Autorità portuale di Olbia, dell’accentramento su Cagliari, Nuoro e Sassari dei Tribunali di Lanusei e Oristano, dopo che sono stati soppressi quelli decentrati di Iglesias e Carbonia, di Sorgono, di Macomer e altri ancora. Leggo della nomina di commissari straordinari nelle province, da enti esponenziali delle rispettive comunità, ormai ridotte ad appendici amministrative della Regione. Leggo di proposte di legge che s’inventano una città metropolitana, dove non c’è metropoli, leggo di unioni di Comuni per far fuori con un solo colpo gli stessi comuni e le province (già fatte fuori!). Leggo tante altre amenità in campo istituzionale, il cui senso è uno solo: far fuori le autonomie locali e accentrare i poteri su Stato e Regioni. Leggo della restaurazione di rapporti di gerarchia fra il primo e le seconde.
Oltre che del governo nazionale questa recrudescenza neocentralistica è opera anche di una sgangherata e micidiale politica regionale. Eppure Francesco Pigliaru non deve andar lontano per sapere cos’è l’autonomia, quella vera. Gli basta leggere un saggio sull’autonomia, che certo ha nella sua biblioteca, del suo omonimo Antonio,  “L’autonomia come riforma democratica dello Stato e della sovranità e come momento di estinzione democratica dello Stato“, uno scritto che consiglio anche ai tanti confusi sovranisti nostrani. Lì trovano un riferimento teorico al loro sovranismo o, più semplicemente, uno strumento per capire il senso dei principi dell’autonomia locale e del decentramento, sanciti nell’art. 5 della Costituzione come sviluppo del principio democratico e della sovranità popolare posto nell’art. 1.
Da quella riflessione emerge anche la distanza siderale fra la situazione attuale e la prospettiva autonomistica nella versione più avanzata, che certamente Antonio Pigliaru esprime fin dal titolo del suo lavoro. L’autonomia non solo è la manifestazione a livello locale della sovranità popolare, ma determina quella spinta originaria, dal basso, al processo democratico di cui lo Stato non è il soggetto unico, ma uno dei protagonisti, insieme alle autonomie locali, secondo le competenze stabilite e distribuite dalla Carta costituzionale. In questo contesto, che non è indipendentista, ben si può parlare di sovranità anche con riferimento alle comunità locali e dunque anche di sovranismo a livello regionale. In questa prospettiva prende concretezza anche l’estinzione dello Stato, preconizzata da Karl Marx, e che molti hanno visto come ricaduta del filosofo tedesco nell’utopia, ma che invece manifesta tutta la sua concretezza e il suo realismo pensando alla integrale autonomia delle comunità territoriali e dei singoli come processo che estingue la vecchia macchina statuale chiusa e oppressiva. Questa viene spezzata in favore di un ordinamento veramente democratico perché ispirato al principio di eguaglianza delle comunità locali, dei gruppi e degli individui, cioè propriamente ad uno Stato senza classi.
Bene, rispetto a questa riflessione, che è anche un programma di lotta concreto, immediato e di lungo periodo, cosa fa Pigliaru figlio e cosa fa il governo Renzi? Avviano la più radicale e rozza controriforma istituzionale dal 1948 ad oggi, battendo insieme le autonomie locali e il decentramento. E gli argomenti a supporto? Sono i più beceri e banali, riassunti come sono nell’esigenza di contenere la spesa pubblica e di assicurare la governance, come. con provincialismo di ritorno, si ama dire oggi. Ma, a ben vedere, la democrazia ha sempre avuto un costo e, comunque, nel conto profitti e perdite, la democrazia è sempre in attivo rispetto all’autocratismo, anche se la democrazia poer essere tale dev’essere sobria e contenuta nelle spese. Quanto all’efficacia del governo è certo che le forme accentrate o peggio autoritarie non danno mai prova di buon governo: presto o tardi finiscono negli scandali di regime e nell’inconcludenza. Del resto mai come oggi il Paese è in preda ad un’immoralità politica e amministrativa diffuse quanto incocludenti! Nemico del buon governo non è la democrazia, ma quella degenerazione chiamata “democraticismo”, ossia quelle forme, solo apparentemente democratiche, caratterizzate da procedure decisionali barocche e costose, fatte di privilegi e prebende, da cui si esce non con forme di governo autocratiche, ma con la messa a punto dei meccanismi effettivamente democratici.
Francesco Pigliaru e il governo nazionale sono avviati invece sulla strada opposta. I sindaci protestano, ma sono anch’essi parte del meccanismo, in quanto difendono il loro status e la loro funzione podestarile. Gli amici sovranisti o si alleano ai loro boia (Maninchedda, Muledda, Sale & C.) o, salvo pochi, vanno a farfalle, perseguendo un sovranismo confuso, velleitario ed astratto.
Non c’è dunque alternativa? Beh, l’alternativa ci sarebbe, ma ad alcune precise condizioni: gli indipendentisti e i sovranisti dovrebbero almeno fare concretamente… gli autonomisti, proprio così dovrebbero essere autonomi dalle forze neocentraliste, dovrebbero opporsi senza se e senza ma al PD, anziché allearsi con lui in funzione subalterna per lucrare un assessorato o un seggio nell’assemblea regionale o in quelle comunali. Occorrerebbe poi lanciare un progetto serio con al centro non la Regione, che va disintegrata come ente neocentralistrico, per pensare in chiave sovranistica alla Pigliaru (Antonio s’intende!) l’insieme dell’ordinamento regionale, a partire dai Comuni e da un ente intermedio elettivo (se non lo vogliamo chiamare Provincia, chiamiamolo distretto, contea o… giudicato!), con una redistribusione equilibrata delle funzioni in riferimento alle esigenze delle comunità locali.
Il rapporto con lo Stato non può essere di supina subordinazione, ma in questa fase, se vuole essere sutonomista-sovranista alla Antonio Pigliaru, deve necessariamente essere conflittuale. Lo Stato accentratore deve essere svuotato delle funzioni di livello non nazionale, e dunque deve essere “estinto” come soggetto di accentramento e di oppressione. Quanto c’è da fare anche a livello regionale e locale per difendere e far avanzare la nostra democrazia!

1 commento

  • 1 Luca
    10 Dicembre 2015 - 14:41

    C’è anche un altro saggio di Antonio Pigliaru che credo altrettanto attuale e che in un certo qual modo integra e “completa” “L’autonomia come riforma democratica dello Stato e della sovranità e come momento di estinzione democratica dello Stato“. Mi riferisco a “Struttura, soprastruttura e lotta per il diritto”, dove Pigliaru poneva la questione della “lotta per il diritto” come un diritto coinvolto non solo come oggetto della riforma per cui si combatte, ma anche come strumento di combattimento, oltre che come momento della stessa realtà contro cui si combatte. Sicché la lotta per il diritto, combattuta in questa prospettiva di fondo, torna a precisarsi come una lotta combattuta con il diritto, in quanto viene a trovare fondamento nella ipotesi di una estinzione che è insieme ipotesi di reintegrazione e viceversa: reintegrazione progressiva che è¨ progressiva estinzione. In ogni caso, progressiva e permanente riautenticazione, critica e dialettica, di tutto il complesso quadro dell’esperienza giuridica. Insomma, concreto esercizio di sovranità e democrazia, cioè di auto-governo. Senza dimenticare, poi, che per chi proviene e/o si ispira ad una determinata tradizione politico-culturale, quella del vecchio movimento operaio, parole come auto-governo delle forze produttive, rete democratica consiliare e rete delle assemblee elettive, dovrebbero rappresentare un imprescindibile punto di riferimento e di (ri)partenza. E invece no, stiamo qui sospesi tra ridicolaggini giuridico-sociali come le “mini città metropolitane” e un confuso e vago “sovranismo”. Nel frattempo le istituzioni crollano a pezzi sullo sfondo di un disastro sociale e culturale abbondantemente annunciato.

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