Adelmo Cervi oggi a Cagliari presenta il suo libro

1 Dicembre 2015
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Gianna Lai

Oggi 1° dicembre alle ore 17 presso la Fondazione “Enrico Berlinguer” in via Emilia 39 a Cagliari, l’ANPI presenta, con la partecipazione dell’autore, Adelmo Cervi,  “Io che conosco il tuo cuore”. Il libro narra le vicende di Aldo, padre di Adelmo, e dei suoi 6 fratelli, trucidati dai fascisti il 28 dicembre 1943.
Ecco una recensione di Gianna Lai.

 

 Raccontare del padre partigiano, e sentirsi direttamente immerso in quella storia così viva e reale: in ‘Io che conosco il tuo cuore’ Piemme 2014, Adelmo Cervi ricostruisce la vicenda di Aldo, e dei fratelli, e dei genitori, e ne tratteggia carattere e mentalità e cultura, secondo il ricordo e i racconti degli adulti. E vuole comprendere, Adelmo, e ridare significato alle scelte di Aldo, ricollocandolo nel contesto familiare e dei luoghi che l’hanno visto crescere, per cercare di definire uno spazio anche per sé, che lo accolga e gli restituisca identità, in un mondo completamente cambiato. ‘Qui mi piace far finta di esserci, immaginare questa cosa impossibile, vederli come se fossi in mezzo a loro, anche se loro non mi vedono’.249
Vedere, attraverso i pochi documenti che restano del padre, alcune fotografie, le schede personali del servizio militare, le lettere a Verina e le due ultime dalla prigione di Reggio, prima dell’esecuzione. Ricordare, Aldo e la sua famiglia, nei racconti della madre e del nonno Alcide.  Immaginare, ripercorrendo sulle loro tracce i luoghi della fanciullezza, tra i casolari  abbandonati. Il presente come  memoria, che ricostruisce pensieri e stati d’animo  del tempo, suggeriti e alimentati dall’intreccio continuo tra passato e presente, ‘non sono sicuro che la storia sia vera ma non ha importanza’. Spesso senza distinguere i fatti dai racconti, ‘quello che ho sentito dire da quello che mi sono detto’.
Vicende personali e collettive, per narrare la storia di Aldo Cervi, Gino, e parlare di un sentimento forte, in un  rapporto apparentemente impossibile, tra il bambino e il padre mai conosciuto, quel padre che continua tuttavia ad essere presente nei racconti sulla Resistenza,  nei libri delle scuole, nel cinema e nella memoria degli italiani. I momenti importanti  della crescita di Adelmo emergono fortemente segnati da questa  mancanza, dalla tragicità del dolore di bambini e adulti, cui è difficile  rassegnarsi, e insieme dalla volontà di ripercorrere in modo consapevole quell’esistenza e, in maniera critica, la storia che l’ha determinata.
 E’ la vita dei contadini che si presenta immediatamente allo sguardo dei lettori e che, nella ricostruzione attenta dei particolari, traccia il quadro di un’ingiustizia profonda, ancora oggi mai sanata. Tagliavino, Olmo, Valle Re, Campo Rossi, nella vivezza dell’immagine che Adelmo ha del padre ancora bambino, Alcide Cervi e la sua famiglia ‘fanno S. Martino’ sulla ‘biga’ carica delle masserizie. La terra della mezzadria è particolarmente crudele, ‘i patti erano fregaroli, come diceva mio nonno Alcide, perchè il contadino ci doveva mettere del lavoro e dei servizi non pagati, i polli per la tavola del padrone, la sua biancheria sporca da lavare -magari d’inverno nel canale gelato- e riparare i guasti di tutto, con le sue mani e il suo tempo, e quello di moglie e figli’. Fino a una forte presa di coscienza, maturata da tempo nella famiglia dei Cervi, e in quella di tanti altri poveri mezzadri come loro, per emanciparsi da un padrone che tiene tutti in pugno. Si raddoppiano i sacrifici si ottiene un contratto d’ affitto e si prova a praticare  nuove culture e tecniche  nuove della coltivazione, che sollevano finalmente la famiglia dal continuo peregrinare da un podere all’altro e dalla miseria in cui la mezzadria l’aveva precipitata. ‘Gli strani, i matti, gli zingari’, divengono ‘contadini di scienza’ e costruiscono un’azienda familiare modello.
Ma se i padroni hanno sempre bisogno di essere difesi dai soldati, dai carabinieri, e poi anche dagli squadristi, come dice Adelmo, mentre va radicalizzandosi fra le leghe dei contadini la lotta contro gli arcaici patti di mezzadria, insieme a una nuova coscienza politica, significa che altre storie premono nel giuoco a incastro che ricostruisce la figura di Aldo. Il fascismo, la  guerra, la Resistenza, le idee, l’organizzazione, sono dentro il racconto fin da subito, si intrecciano e vivono nel quotidiano della famiglia, ed  emergono come richiamo continuo del quadro precedente, se non dalla casuale coincidenza di persone e cose e luoghi. I Sarzi teatranti, Marx e le letture politiche, i contatti con la rete clandestina del Partito e le staffette partigiane, finiscono per dominare al centro della narrazione. Fino a divenire punto di riferimento nel territorio, l’intera famiglia, sempre coerente con le sue convinzioni. Sia che  si tratti di mettere al sicuro oppositori italiani e stranieri, o di sottrarre all’ammasso fascista e nazista le derrate alimentari, o di partecipare direttamente alla Resistenza, organizzando in prima persona i partigiani del territorio, la banda Cervi, in contatto con tutta la provincia di Reggio. E sarà questa coerenza forte e la decisa visione di un ‘Italia democratica, da costruire nella lotta contro il nazifascismo, che ne determinerà il destino.
 La coralità dell’esistenza riacquista vigore nella sua collocazione dentro un quadro storico ben definito, così la tragedia della famiglia Cervi rappresenta nitidamente l’Italia come era, e come è diventata poi, finendo drammaticamente nel baratro del fascismo e della guerra. E lo stupore che sembrava prendere Adelmo all’inizio del libro, nel delineare la personalità e il modo di pensare del padre, ‘vedo mio padre che corre da un posto all’altro pedalando come un matto’. E l’emozione che man mano cresce quando ne scopre sensibilità e intelligenza. Fino alla commozione ultima,  per essere riuscito a sentirlo ancora più vicino, vicino a tal punto da poterne rappresentare il dolore  del distacco, sono la vera espressione di una scrittura che si fonda sulla memoria consapevole. Nella quale in Italia dovremmo ancora un pò esercitarci, onde  contrastare ogni negazione della storia, l’invenzione che i morti sono tutti uguali è negazione della storia,  per riaffermare la Resistenza come moto popolare che prepara la Repubblica e la Costituzione. E che non può essere trascurata nè travisata, anzi documento popolare a presidio della Carta stessa, contro le manomissioni delle maggioranze parlamentari dei giorni nostri. 
Sarà per quell’andamento colloquiale e discorsivo, e per quella leggerezza del narrare come dal vivo. Sarà per quella scelta di dedicare singoli paragrafi a temi importanti, alla descrizione di ciascun componente la famiglia,  alle donne in campagna, al 1943, a dire che cos’è la Resistenza, all’eccidio di Ferrara e delle Officine Meccaniche Reggiane. 
 Sarà perchè il racconto  nasce non all’insegna del mito e della celebrazione,  ma dalla volontà di conoscere, sostenuta da un forte sentimento, credo sia destinata  questa lettura ai giovani, alle scuole, nell’approfondimento della storia del nostro paese e di questo ancora così recente, difficile Novecento. 

Presentazione dell’editore

Un ex-ragazzo di oggi, figlio di un padre strappato alla vita, racconta quel padre, Aldo, partigiano con i suoi sei fratelli nella banda Cervi, per rivendicare la sua storia e, al tempo stesso, per rivendicare di essere figlio di un uomo, non di un mito pietrificato dal tempo e dalle ideologie.
Una vicenda straordinaria racchiusa tra due fotografie. La prima, degli anni Trenta: una grande famiglia riunita, contadini della pianura, sette fratelli, tutti con il vestito buono, insieme alle sorelle e ai genitori. La seconda, due anni dopo la fucilazione dei sette fratelli: solo vedove e bambini, indifesi di fronte alle durezze del periodo, alla miseria, ai debiti, anche alle maldicenze. Adelmo è seduto sulle ginocchia del nonno, in faccia l’espressione di chi è sopravvissuto a una tempesta. O a un naufragio.
C’è tutto un mondo da raccontare in mezzo a quelle due foto, con la voce di un bambino che ha imparato a cullarsi da solo, perché suo padre è morto troppo presto e sua madre ora è china sui campi.
Questa è una storia vera, talmente vera che sembra un romanzo. Il romanzo d’amore di chi sa bene che l’amore si nutre di libertà.

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