Gianfranco Sabattini
I fondi di investimento hanno trovato nel mondo del calcio uno dei comparti dai rendimenti più redditizi; i loro gestori, al fine di aumentare la rimunerazione delle risorse impiegate, hanno messo a punto “modelli di ingegneria finanziaria”, considerati adatti allo scopo. All’inizio degli anni Duemila, i fondi di investimento sono comparsi nel mondo del calcio sudamericano, per poi approdare, invertendo il percorso delle caravelle di Colombo, nel Vecchio Continente, sulle coste della Spagna e del Portogallo, vincendo il soffio degli alisei verso occidente, con il miraggio dei facili profitti da realizzare mediante lo sfruttamento della passione degli sportivi per il “gioco più bello del mondo”.
Com’è accaduto che, andando di pari passo con l’approfondimento e l’allargamento della globalizzazione, il mondo del calcio finisse per essere plasmato secondo la logica dell’neoliberismo finanziario? Per capirlo, Marco Bellinazzo, autore di “Goal economy. Come la finanza globale ha trasformato il calcio”, suggerisce di osservare l’evoluzione del mondo del calcio in una prospettiva storica, identificando tre fasi, per analogia a quelle proprie dell’evoluzione della rivoluzione industriale. Il periodo che va dalla fine degli anni Ottanta a quella degli anni Novanta è quello della “Prima Rivoluzione Industriale del calcio”, caratterizzata dalla comparsa delle “pay-tv”, che ha indotto i club e le Leghe “ad evolversi in aziende capaci di dilatare i profitti, […] dando luogo a investimenti in infrastrutture, governance e attività commerciali e creando tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, le condizioni per l’avvento della Seconda Rivoluzione Industriale” del calcio; caratterizzata, questa, da un salto di qualità di cui hanno “approfittato principalmente la Premier League inglese, la Bundesliga tedesca e le due ‘regine’ di Spagna, Real Madrid e Barcellona”. La fase attuale è infine quella della “Terza Rivoluzione Industriale”, nella quale si trova “immerso” il mondo del calcio, caratterizzata da una esasperata finanziarizzazione e dalla conquista di nuovi mercati, cioè dalla colonizzazione calcistica di quasi tutti i Paesi del mondo.
Con la comparsa dei fondi di investimento, la terza fase ha anche segnato l’esaurirsi della propensione dei club a farsi quotare in borsa; mentre la diffusione planetaria del gioco, motivata dagli alti profitti che i gestori dei fondi possono conseguire attraverso la compravendita di calciatori e di squadre, è sorretta dalle strategie suggerite dal “The International Centre for Sports Studies” che, creato nel 1995 presso l’Università di Neuchatel, in joint venture con la FIFA, ha costruito modelli matematici per la certificazione del valore dei calciatori, agevolando la loro quotazione. L’Italia, osserva Bellinazzo, che era stata uno dei protagonisti della “Prima Rivoluzione Industriale”, è rimasta ai margini della successiva evoluzione del mondo del calcio, con conseguenti ricadute negative sul piano sportivo e su quello economico; infatti, oggi, dal punto di vista calcistico, l’Italia è postergata rispetto a Spagna, Inghilterra e Germania, avendo perso il diritto di essere rappresentata da quattro squadre nella Champions League; mentre, dal punto di vista economico, essa è per lo più disertata dai fondo di investimento, anche a causa della litigiosità interna degli organi di governo del gioco. Solo di recente, i fondi hanno trovato conveniente interessarsi dell’Italia, secondo procedure svolte non sempre alla luce del sole, come stanno a dimostrare le cessioni totali o parziali di Inter e Milan.
Il processo di finanziarizzione del calcio ha stravolto completamente il modo tradizionale in cui funzionava il “mercato dei calciatori”; non molto tempo addietro, i principali artefici delle compravendite calcistiche erano i procuratori, ora sono le Super-Agenzie, quali, solo per ricordarne alcune tra le più importanti, la brasiliana Europe Sports Group, le tedesche Mondial Sport Management, Stellar Football Ltd, Sports Total, la britannica Europe Sports Group, la spagnola Bahia International, l’olandese Sports Entertainment Group e così via; rari sono ormai i procuratori sopravvissuti che agiscono a titolo individuale, come Mino Raiola, operante per lo più in Olanda e noto in Italia anche per aver riportato Mario Balotelli, nel corso dell’estate di quest’anno, dal Liverpool a Milan.
Tra i fondi che stanno finanziarizzando il settore del calcio c’è il Royal Football Lmt di Dubai, il britannico Media Sports Investments, il maltese Doyen Sport Investment, il cui massimo rappresentante è Nelio Lucas, che farebbe parte della cordata organizzata dal broker thailandese Bee Taechuabol per l’acquisto di una parte del Milan, e il fondo sovrano qatariota “Qatar Investment Authotity”, gestito dall’emiro in pectore del Qatar, Tamin bin Hamad al Thani, che, attraverso il Qatar Sport Investment, si muove con sicurezza nel mondo del calcio in Francia ed in Spagna; l’emiro in pectore è sospettato d’essere il “deus ex machina” degli intrighi che hanno portato la FIFA nel 2010 ad assegnare lo svolgimento del campionato del mondo di calcio del 2022 al Qatar, provocando polemiche ed accuse di “dazioni di danaro, regalie e tangenti elargite per orientare il voto”.
Le accuse hanno provocato un’azione giudiziaria contro i vertici della FIFA: nel maggio 2015, l’FBI statunitense ha spiccato un mandato di arresto contro numerosi dirigenti della Federazione calcistica internazionale (FIFA), riuniti a Zurigo per la rielezione alla presidenza della Federazione di Joseph Blatter, con l’accusa di associazione a delinquere e corruzione. Tuttavia, nonostante il clamore, Blatter è stato rieletto per la quinta volta consecutiva, annunciando successivamente le sue dimissioni, dopo essere stato ininterrottamente presedente della FIFA per diciassette anni. Il suo successore dovrebbe riformare un sistema che sinora ha governato con poca trasparenza una Federazione che include 209 federazioni nazionali, in presenza però di un conflitto sempre più profondo che vede all’opposizione le federazioni emergenti di Russia, USA, Cina, India, Qatar ed altre ancora.
Cosa potrà diventare il mondo del calcio con la sua finanziarizzazione, si può desumere da quanto Blatter ha dichiarato, in occasione del 64° Congresso della FIFA, al cospetto dei delegati delle federazioni nazionali, alla vigilia delle elezioni presidenziali del maggio scorso: “Dovremmo essere orgogliosi dell’impatto e dell’importanza che il nostro sport ha nella mappa geografica mondiale. Ecco, perché il calcio non è solo un gioco. Il calcio è più di un business, perché è più di un gioco. E’ un business multimiliardario, crea opportunità, ma crea anche controversie e difficoltà. Il calcio non è politica, ma forse possiamo contribuire a risolvere problemi che i politici non riescono ad affrontare in maniera rapida”. Certo, dopo il clamore sollevato dal mandato d’arresto di Zurigo del maggio scorso, la FIFA sarà chiamata a governare il mondo del calcio in modo più trasparente e ad adottare nuovi regolamenti, soprattutto “per impedire che catene di partecipazioni e intrecci azionari, alta finanza spicciola, fondi in cerca di allocazioni sempre più redditizie e club da spolpare continuino ad affastellarsi nei gangli del sistema incancrenendolo progressivamente” a danno dei consumatori dei servizi calcistici, ovvero dei tifosi.
Un maggior impegno della FIFA per un governo trasparente del mondo del calcio è tanto più necessario, per evitare che in Paesi come l’Italia, dove il pallone è simbolo dello sport più popolare e diffuso, sia oggetto delle mire di finanzieri-d’assalto antichi e moderni. E’ recente la notizia che la società di mediazione di proprietà cinese In front, fondata da Philippe Blatter (nipote di Joseph), la cui filiale italiana, per le modalità con cui ha gestito il patto col quale sono stati divisi tra il gruppo Sky e Mediaset i diritti televisivi per la trasmissione delle partite delle serie A e B italiane e quelle della Champion league e di Europa League, è oggetto di indagine anti-trust. Inoltre, è di questi giorni la notizia che due squadre blasonate italiane, Genoa e Sampdoria, avranno nuovi proprietari; guarda caso, titolari di risorse accumulate nel mondo del petrolio e in cerca di nuove forme d’investimento: l’azionista di maggioranza del Genoa sarà Giovanni Calabrò che, dopo aver fatto fortuna in Russia e stretto amicizia con Putin, sostituirà l’indebitato Enrico Preziosi; mentre Gabriele Volpi, dopo aver fatto fortuna in Nigeria, sostituirà Massimo Ferrero, per il quale la presidenza della Sampdoria risulta al di là delle sue possibilità.
Come reagire contro l’invadenza della finanza d’assalto nel mondo del calcio e contro i maneggi dei proprietari delle società ai danni dei tifosi, offuscando il prestigio e l’immagine del “gioco più bello del mondo? Non c’è che una via: occorre una riforma organizzativa che “consenta ai tifosi, attraverso trust, associazioni, o altre formule, una maggiore partecipazione alla vita societaria, che riconosca loro più poteri decisionali e di controllo sul management a fronte del pagamento di quote associative”; è questa la via imboccata da tre club europei prestigiosi: Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco si sono dotati di una “struttura aperta”. Si tratta di una riorganizzazione che nel Regno Unito è stata persino accolta dal manifesto del partito laburista presentato per le elezioni politiche del maggio 2015; nel manifesto si proponeva una modifica della governance del calcio inglese, incentrata sull’istituzione di “supporter trust”, ai quali riconoscere il diritto di ottenere informazioni riguardo al giro d’affari dei club, di nominare almeno due membri nei consigli di amministrazione e di acquisire fino al 10% delle quote azionarie qualora i cluc cambiassero di proprietà. Ma la riorganizzazione del mondo del calcio dovrebbe soprattutto prevedere l’estensione dell’azionariato diffuso anche per l’acquisto dei calciatori.
Sarà una pia illusione sperare che il controllo dei supporter trust e l’azionariato diffuso possano concorrere ad estraniare il neoliberismo finanziario dal mondo del calcio e dai comportamenti di chi pensa che, nascondendosi dietro la logica della contrattazione privata, si possa continuare a danneggiare impunemente i tifosi-consumatori; c’è solo da sperare che questi ultimi percepiscano quanto prima l’urgenza di un loro maggiore impegno, non solo negli stadi, per supportare la “squadra del cuore”, ma anche all’interno della società, premendo perché siano adottati, a livello politico, i necessari provvedimenti, al fine di porre un freno agli effetti negativi che la logica perversa dei fondi di investimento sta provocando ai danni del mondo del calcio, con implicazioni altrettanto negative per l’intero sistema sociale.
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