Città metropolitane, perché non due?

14 Novembre 2015
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Gianfranco Sabattini

Ecco un altro punto di vista sul tema…

Il processo di modifica e riforma istituzionale già in atto a livello nazionale e regionale focalizza il dibattito politico sull’opportunità di costituire per le due aree portanti dell’Isola, Cagliari e Sassari, il nuovo ente locale “Città Metropolitana”, previsto dalla legge Delrio. Il dibattito è ridotto a puro campanilismo e, nel migliore dei casi, alla riproposizione di viete valutazioni riguardo ai possibili esiti negativi dei processi di riforma in atto; esiti, questi, che avrebbero l’effetto di determinare conseguenze asimmetriche sul piano economico-sociale dell’intera Sardegna se l’istituzione del nuovo ente locale fosse istituito non solo per l’area di Cagliari, ma anche per quella di Sassari.
Coloro che si oppongono alla costituzione, anche per l’area di Sassari, dell’ente “Città Metropolitana” paventano che il nuovo ente non si addica alla Sardegna, per via dello stato di arretratezza in cui versano ancora gran parte dei territori del resto dell’Isola. La ratio della legge Delrio, però, deve essere vista in altra prospettiva; essa offre a tutti i territori nazionali, in particolare a quelli ricadenti all’interno delle regioni meridionali, l’opportunità di realizzare, attraverso il riordino degli enti locali, le condizioni che più rispondono alla logica propria della moderna teoria dello sviluppo locale.
Nella prospettiva dello sviluppo locale, l’ente “Città Metropolitana” non è strumento destinato ad aggravare gli squilibri territoriali esistenti; è, al contrario, strumento propulsivo per la crescita e lo sviluppo, non solo dei territori ricadenti all’interno del nuovo ente locale, ma anche di quelli ad esso esterni. Per capire la poca avvedutezza del dibattito sul ”pro” e sul “contra” l’istituzione dello status di “Città Metropolitana” per le due aree portanti dell’Isola, vale la pena riassumere brevemente i fatti, riguardanti i termini del dibattito, occorsi in questi ultimi anni.
Il referendum regionale del 2012 ha sancito la soppressione delle province regionali, lasciando però la Sardegna in mezzo ad un pericoloso “vuoto istituzionale”. Nel corso della scorsa legislatura regionale, pur con ritardi, la Regione ha messo in atto un impianto normativo finalizzato a dare seguito alla volontà popolare, per procedere alla soppressione delle province: quelle vecchie e quelle nuove. Occorreva, tuttavia, tener conto di quanto stabilisce lo Statuto della Regione, che assegna alla stessa una potestà legislativa primaria in materia di ordinamento degli enti locali.
Per abrogare in modo definitivo le province storiche della Sardegna occorreva avviare un iter di modifica dell’articolo 43 dello Statuto; modifica avviata nel 2013, allorché il Consiglio regionale ha approvato una legge che ha modificato il suddetto articolo 43, nel senso che la Regione Sardegna, con tale legge riformatrice, ha ricondotto a sé la disciplina dell’ordinamento degli enti locali senza alcun vincolo di sorta.
Contemporaneamente, a livello nazionale, ha avuto inizio l’iter di modifica del titolo V della Costituzione, che ha prefigurato, con la legge Delrio, la soppressione delle province; la legge nazionale ha previsto il ridisegno del ruolo delle province: da enti con distinte funzioni amministrative sono stati trasformati in enti di secondo livello, strettamente legati ai comuni del territorio, per l’esercizio diretto di alcune specifiche funzioni di programmazione e di coordinamento a livello di aree sovracomunali che, in presenza in esse di rapporti di continuità, oltre che sul piano territoriale, su quello urbanistico, produttivo e su quello dell’organizzazione dell’offerta dei servizi pubblici, non più gestibili dai singoli comuni, sono state qualificate come aree vaste.
La legge, inoltre, ha previsto l’istituzione della “Città Metropolitana” di Roma capitale e di altre nove città (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) per il governo delle corrispondenti aree vaste, mentre per le regioni a statuto speciale (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, e Sicilia) ha stabilito che possono istituire, per alcune loro circoscrizioni, eventuali “Città Metropolitane”, in conformità ai propri statuti. Ancora, la legge ha previsto che il territorio delle “Città Metropolitane” possa coincidere con il territorio delle province omonime soppresse; infine, ha stabilito che, in attesa della riforma del titolo V della Costituzione e delle relative norme di attuazione, i principi della legge fossero assunti come principi di grande riforma economica e sociale per la disciplina delle “Città Metropolitane” e delle altre forme di aggregazioni di comuni.
Recentemente, a livello regionale, l’attuale Giunta ha approvato e trasmesso al Consiglio regionale un proprio disegno di legge di riforma degli enti locali (DDLR n. 176 del 15 gennaio 2015 – “Riordino del sistema delle autonomie locali della Sardegna”). I pilastri su cui è fondata la riforma proposta sono i comuni che, in forma singola o associata, svolgono funzioni amministrative e la Regione cui è riservato il compito di svolgere funzioni di indirizzo, programmazione e controllo. La costituzione dell’area vasta cagliaritana in “Città Metropolitana è affrontata in uno specifico capo del DDLR, dove è previsto che il territorio della Regione, oltre ai comuni ed alle unioni fra comuni, si articoli nella “Città Metropolitana” di Cagliari e nelle province di Sassari, Nuoro, Oristano e Sud Sardegna; quest’ultima coincidente con la provincia storica di Cagliari, escluse le circoscrizioni comunali facenti parte della “Città Metropolitana” omonima.
Il DDLR, quindi, con riferimento all’area vasta di Cagliari, riconosce la particolare condizione di stretta connessione sul piano economico-sociale della città di Cagliari con alcuni dei comuni a essa contermini. In proposito, riconosce anche il lavoro svolto dai 16 comuni che avevano partecipato originariamente alla elaborazione del “vecchio Piano Strategico” riferito all’area vasta cagliaritana, evidenziando l’opportunità di assoggettare tale “area” a una specifica disciplina, in funzione della promozione della sua crescita e del suo sviluppo. Il DDLR, quindi, prevede l’istituzione della “Città Metropolitana” di Cagliari, limitata al perimetro corrispondente ai territori dei comuni che si sono espressi originariamente a favore di un governo congiunto dei problemi dei loro territori.
Nel complesso, il DDLR, pur rappresentando un passo in avanti nel percorso volto alla creazione di un soggetto istituzionale per il governo dell’area vasta cagliaritana, manca però di un suo razionale inquadramento in una prospettiva riformatrice organica, entro la quale inserire i livelli istituzionali sub-regionali, giudicati ottimali in funzione delle loro crescita e del loro sviluppo futuri.
Dopo oltre sessant’anni di politiche pubbliche regionali orientate a favorire il verificarsi della tanto agognata Rinascita, l’Isola è ancora irreversibilmente in crisi. Per rimuoverla dallo stato attuale, una riforma degli enti locali disordinata e casuale, come quella che il DDLR propone, non pare certo rispondere alle attese; sarebbe, infatti, necessaria una riforma degli enti locali che risultasse più rispondente alla logica della prospettiva dello sviluppo locale. In altri termini, occorrerebbe che la riforma risultasse compatibile con una sostanziale discontinua dell’azione politica regionale rispetto a quella del passato. A tal fine, essa dovrebbe essere fondata sull’acquisizione di un nuovo paradigma, cioè di un nuovo modello di riferimento, per ridisegnare la “cornice” alla quale ricondurre la futura forma della crescita e dello sviluppo dell’Isola.
L’acquisizione del nuovo paradigma dovrebbe essere centrato sulla capacità degli enti locali di programmare la loro crescita e il loro sviluppo; in questo contesto, i territori, attraverso la riforma degli enti locali, dovrebbero essere messi nella condizione di esprimere la loro reazione alle ipotesi poco realistiche e fallimentari in base alle quali sono state formulate le politiche pubbliche del passato. In questa prospettiva, la riforma regionale degli enti locali dovrebbe assumere una valenza ben più ampia di una semplice riforma orientata a razionalizzare il governo dei soli fatti amministrativi.
Dopo il rapido excursus dei fatti che hanno preceduto il dibattito in corso sull’estensione o meno dello status di “Città Metropolitana” anche all’area di Sassari, appare superflua ogni perplessità circa la possibilità che anche all’area sassarese debbano essere riconosciuti gli stessi caratteri che il DDLR riconosce all’area vasta di Cagliari; un’area, nella prospettiva dello sviluppo locale, deve essere considerata vasta, non per volontà politica a fini esclusivamente amministrativi, ma per via della complessità del governo di tutte le relazioni che in essa si svolgono (urbane, economiche, di servizio, ecc.); poiché l’area di Sassari, forse ancora più dell’area Cagliari, ha tutti i connotati per essere definita area vasta, ad essa sarebbe auspicabile fosse esteso lo status di “Città Metropolitana”.
Pertanto, sono da ritenersi fuori luogo le preoccupazioni di chi afferma, senza ragione, che la costituzione di enti territoriali nelle forma di “Città Metropolitane”, in una regione che versa in una stato continuo di crisi come la Sardegna, avrebbero solo l’effetto di approfondire gli squilibri economico-sociali esistenti e non già di affievolirli; ancor più immotivate sono le tesi di chi sostiene che la proliferazione degli enti locali sarebbe inutile per la Sardegna e, per di più, causa di maggiori costi. E’ proprio vero, quel che a volte si afferma, che il maggior problema della società civile regionale, soprattutto in questo momento, sembra essere quello di trovare il modo con cui riuscire a sottrarre il destino dell’Isola dalle mani di chi oggi la governa.

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