Tonino Dessì
Sulla questione metropolitana ecco un interessante intervento.
Però, qualcuno la verità dovrebbe dirla.
Per quanto la tematica delle aree metropolitane sia stata in tempi relativamente recenti più viziata che arricchita da temi premiali impropri, in Italia, dai tempi della legge 142 del 1990, non se n’è istituita manco una dotata della strumentazione istituzionale prevista.
E non solo: non ci sono state finora nemmeno le premialità nè le incentivazioni, nè le compensazioni per gli oneri dei servizi sostenuti, direttamente o indirettamente, a favore del restante territorio, che gravano in genere sugli agglomerati “metropolitani”.
Non è stato un caso. La costituzione delle istituzioni metropolitane comporterebbe forme di direzione e di coordinamento delle politiche economiche, infrastrutturali e urbanistiche d’area le cui competenze sono detenute attualmente da ciascuno dei comuni, i quali non se ne spogliano affatto volentieri a favore di un altro ente in qualunque forma sopraordinato.
Occorre poi ricordare alcuni aspetti costitutivi oggettivi, non superabili dalle estemporanee speculazioni di qualche opinionista.
Un’area è metropolitana a condizione che siano presenti livelli di concentrazione demografica per kmq percentualmente elevati e forme particolarmente intense di contiguità urbanistica tra insediamenti limitrofi, tali da rendere necessaria la gestione più integrata possibile e più conveniente economicamente di servizi di scala e d’area.
In Sardegna solo Cagliari presenta -sia pure in forma minore rispetto alle altre realtà della Penisola considerate metropolitane- queste condizioni e questi problemi e non a caso solo per Cagliari era originariamente prevista dalla legge statale 142/1990 l’istituzione -per di più non obbligatoria- di un’area metropolitana.
Sul punto ho letto qualche considerazione stravagante da parte di chi ritiene che la potestà legislativa “primaria” della Sardegna in materia di ordinamento degli enti locali consentirebbe di istituire anche un’altra area metropolitana.
È una tesi un po’ tirata, ma è stata sostenuta a suo tempo per istituire con legge della Regione otto province (poi affrettatamente soppresse), in luogo delle quattro precedentemente previste (tre dallo Statuto e una dalla legge statale).
Non bisognerebbe a questo proposito omettere di dire, però, che l’ordinamento dello Stato resterebbe del tutto indifferente a una simile soluzione, perché nessun onere potrebbe derivarne sulla finanza statale, esattamente come avvenne per le province “regionali”.
Più o meno lo stesso ragionamento vale per i fondi comunitari.
È vero che essi, a loro volta, sono -relativamente- indifferenti all’assetto istituzionale dato agli agglomerati territoriali dall’ordinamento di uno Stato membro. Tuttavia i parametri europei per definire “metropolitano” uno di questi agglomerati non sono nominalistici, bensì oggettivi. Quindi torniamo a bomba: niente “metropolitanità” oggettiva, niente soldi europei “metropolitani”.
Infine, io non contesto le esigenze di equilibrio tra territori. Ma la discussione sull’area metropolitana, per queste finalità, non conduce da nessuna parte. Pensiamo alle zone interne, per esempio, sulle quali statistici e sociologi in questi giorni hanno scoperto che si campa solo di pensioni (statali).
Proprio sulle aree interne, mi paiono indicativi dell’”eticità” della discussione in corso sui temi metropolitani il fatto che esse non siano considerate come l’altro polo imprescindibile del tema e persino il fatto che per allettarne l’alleanza se ne evochi l’annessione-spartizione tra i due altri poli.
Comunque, conclusivamente, la discussione è più sassarese che cagliaritana. A Cagliari il tema intriga meno, in quanto l’istituzione dell’area comporterebbe un riassetto dei poteri, istituzionali e reali, nella conurbazione, che storicamente e attualmente molti non desiderano affatto. In effetti penso che se non se ne facesse nulla, a Cagliari non correrebbero fiumi di lacrime, ma non per ragioni virtuose. Nel territorio sassarese, invece, mi pare che per l’ennesima volta un intero ceto politico e intellettuale, giocando con forme varie di illusionismo, stia semplicemente cercando di legittimare localmente sè stesso.
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