Andrea Pubusa
Sembra imminente una marcia come quella che, a suo tempo, fece Giommaria Angioy, ma con percorso inverso e, a sentire i sassaresi, con obiettivi simili, aggiornati ai tempi nostri. Allora si trattava di “moderare sa tirannia dei is barones” del Capo di sopra (Cab’e susu), ora l’arroganza è dei politici regionali del Capo di sotto, pro Cagliari, metropolitanamente parlando. E nell’esercito del capo di sopra si sono intruppati anche uomini di studio che più che la spada dovrebbero usare il pensiero. Di Guido Melis ho già detto, Ora Omar Chessa, docente di diritto costituzionale all’Università di Sassari, si segnala per un’intervista a Sardiniapost nella quale fornisce un parere tecnico, ma che di “tecnico”, nel senso anche di obiettivo, ha poco o niente. Il nucleo dell’opinione del prof. sassarese è sintetizzabile in queste sue parole: “La città metropolitana è il nuovo ente locale di area vasta disegnato dalla legge nazionale Delrio. È un concetto giuridico e non va perciò confuso con l’area metropolitana, che è invece un concetto delle scienze urbanistiche, demografiche, socio-economiche, ecc.“. Chessa mette così subito le mani avanti: “per la legge Delrio il territorio della città metropolitana deve coincidere con quello della preesistente provincia, a prescindere dal fatto che questa abbia una tessuto urbano continuo e le caratteristiche che in genere sono possedute dalle aree metropolitane. Lo prova il fatto che delle nove città metropolitane istituite dalla legge Delrio solo un paio possono forse assimilarsi a quelle che negli altri Paesi vengono intese come aree metropolitane in senso proprio“. Sarà anche come dice Omar, ma Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, più Roma Capitale, non hanno certamente le caretteristiche di Sassari e neanche quelle di Cagliari, anche se il capoluogo sardo fu inserito fra città metropolitane “facoltative” nella legge sul governo locale del 1990.
A questa evidente forzatura Chessa aggiunge un’altra furbizia dialettica. Alla domanda dell’intervistatore, Michele Spanu, sui “punti di forza” e “di debolezza” di Sassari e del suo territorio, risponde glissando: “In base a questa prospettiva (la sua n.d.r.) non è utile fare la ricognizione dei “punti di forza e di debolezza” di Sassari, per poi decidere di accordare o negare la città metropolitana secondo che prevalgano i primi o i secondi“. Ciò che è rilevante per il costituzionalista è considerare che “la realtà complessa del Nord Sardegna è attualmente in declino“. E allora ecco il quesito: “dobbiamo assecondare questa fase declinante, favorendo una ulteriore concentrazione di risorse a favore di chi è già il più ricco e “infrastrutturato”; oppure dobbiamo ripensare l’impianto complessivo del ddl Erriu, per adottare soluzioni istituzionali che valorizzino le realtà locali sarde nel loro complesso?”.
D’accordo, niente privilegi a questo o a quel territorio. Ma se è la città metropolitana che dà i vantaggi, delle due l’una: o creiamo in Sardegna tante aree metropolitane quante sono almeno le province storiche o, a stare ai proff. Chessa e Melis, favoriamo solo Cagliari e Sassari. E gli altri? Per loro la condanna ad un futuro di depauperizzazione progressiva.
Come si vede la prospettiva è, mi scusino il colleghi sassaresi, demenziale o contraddittoria. Contraddittoria se eleviamo al rango di città metropolitana Cagliari e Sassari, perché impoveriamo gli altri territori; demenziale se, per non lasciare indietro nessuno, facciamo almeno quattro città metropolitane quante sono le province storiche. In una regione disabitata, dove parlare di metropoli, in senso giuridico o urbanistico, fa solo ridere, noi ne creiamo addirittura quattro! Vogliamo che il mondo intero ci rida addosso? O vogliamo mostrare un pizzico di serietà? La legge non può dire che ciò che è rosso è nero e neppure che un deserto è una foresta! E allora partiamo da presupposti reali: in Sardegna non esistono realtà metropolitane. Esiste, come dappertutto, l’esigenza di un ente intermedio fra Comuni e Regione. Non lo vogliamo chiamare provincia? Chiamiamolo distretto o giudicato, scegliete voi, l’importante è che sia un’istituzione di area vasta, a cui attribuire le funzioni sovracomunali e quelle sub regionali, asciugando i Comuni da quelle che non possono esercitare e la Regione da quelle che non dovrebbe esercitare. Una vera riforma implica il ritorno alle cose semplici e sopratutto alla realtà. La rivoluzione vera in Sardegna è ridurre la Regione a ente prevalentemente di legislazione e programmazione, togliendole le funzioni amministrative esecutive e di dettaglio. L’altra è rendere di nuovo questi enti, Regione, ente intermedio e Comuni, rappresentativi con leggi elettorali d’ispirazione proporzionale e con accorgimenti per dare stabilità alle consiliature.
L’oggetto della discussione attuale imposto dalla politica regionale è irreale e privo di senso. E’ demenziale. Possibile che l’intellettualità alta isolana non riesca a sottrarsi a questo gioco, dettando i temi della discussione e prospettando soluzioni che ridiano fiato a una democrazia isolana, ormai morta?
0 commenti
Non ci sono ancora commenti. Lascia il tuo commento riempendo il form sottostante.
Lascia un commento