Gianfranco Sabattini
Ricordiamo Luciano Gallino, instancabile studioso dalla parte del mondo del lavoro, con questo articolo di Gianfranco Sabattini, autorevole economista dell’Ateneo cagliaritano. Segue una nota biografica.
Di recente, Luciano Gallino, con il suo nuovo lavoro “Il denaro, il debito e la doppia crisi”, rivolgendosi alle nuove generazioni, cerca di spiegare la crisi del capitalismo moderno, indicando il possibile “sentiero” da percorrere per il suo superamento. Lo fa, senza mancare di indicare le responsabilità delle generazioni più anziane, le quali, pertanto, anche per ragioni anagrafiche, non sono le più indicate per realizzare una valida opposizione critica alla “stupidità” di chi attualmente ha la responsabilità del governo dell’economia mondiale.
L’appello alle nuove generazioni è motivato dal fatto che esse, a differenza di quelle più anziane, “dovrebbero avere il tempo e le energie per porre rimedio al disastro che sta soffocando il nostro paese, insieme con altri paesi, di quella che doveva essere l’Unione europea”; disastro che è stato determinato, secondo Gallino, da una “doppia sconfitta”, dovuta alla scomparsa di “due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: idea di uguaglianza e quella di pensiero critico”; sconfitta che è stata aggravata dalla “vittoria della stupidità”.
La causa fondamentale della confitta dell’uguaglianza è stata, dopo l’avvento del pensiero neoliberista, la crisi del sistema capitalistico e di quello ecologico, inteso quest’ultimo come supporto che sottende il sostegno della vita; senza la comprensione della crisi di questi due sistemi, la speranza di potervi fare fronte è esposta al rischio di dover essere abbandonata. A causare la sconfitta del pensiero critico, invece, è stata l’egemonia acquisita dal pensiero neoliberale, “connessa all’irresistibile ascesa della stupidità al potere”, poiché coloro che sono riusciti ad accedere al governo dell’economica si sono affidati alle implicazioni di teorie che non “hanno previsto la crisi del 2008”: teorie che, oltre a non offrire una spiegazione decente delle cause della crisi, hanno consentito di elaborare modelli lontani anni luce dalla realtà economica, giustificando il principio che anzitutto bisognava salvare le banche, senza chiedere loro nulla in cambio, e soprattutto avallando l’idea che una crescita senza limiti dell’economia capitalistica fosse possibile e desiderabile.
Cosa possono fare le nuove generazioni – si chiede Gallino – per porre rimedio alla stupidità di chi ora governa l’economia-mondo? La risposta, per il sociologo economista, è che gli eredi delle vecchie generazioni possono trovare il modo di opporsi alle conseguenze della “stupidità al potere”, ispirandosi “a quanto di meglio il pensiero occidentale ha espresso in venticinque secoli” di storia, avvalendosi in particolare della distinzione tra “ragione soggettiva” e “ragione oggettiva”, che esso ha concorso ad affermare. Grazie all’interiorizzazione delle implicazioni dei due tipi di “ragione”, le nuove generazioni potranno farsi “un’idea solida del tipo di persona, di essere umano” che vorranno essere, per contrapporsi sul piano antropologico alle concezioni oggi perseguite dal pensiero neoliberale per imporre la realtà di un essere umano dotato dello “spessore morale e intellettuale di un orologio a cucù”.
A tal fine, per coltivare la speranza di potersi opporre con successo al pensiero unico del neoliberismo, le nuove generazioni dovranno strutturare le loro azioni individuali e collettive secondo la logica propria della ragione oggettiva e non di quella soggettiva; ciò perché quest’ultima presuppone l’esistenza di esseri umani ridotti a macchine da calcolo, che ponderano “senza tregua il rapporto tra mezzi e fini”: idea, questa, che è alla base dell’ideologia neoliberista. Al contrario, la ragione oggettiva consente di valutare che ciò “che più conta sono i fini, non i mezzi. Essa non guarda alla massimizzazione dell’utile, bensì al problema del destino umano, ‘al modo di realizzare i fini ultimi’. Incluso l’ideale dell’uguaglianza, e quello di evitare all’umanità, in un futuro che si avvicina rapidamente, il fosco destino che l’aspetta”, se non si provvede quanto prima a riparare i guasti da la ragione soggettiva ha causato al sistema ecologico”.
Il modo di pensare secondo la logica della ragione oggettiva era proprio delle forze di sinistra; ma la loro cultura ora “è morta”, insieme ai partiti che la divulgavano. Se le nuove generazioni riusciranno a tenere viva in se stesse l’idea che “tutto ciò che è può essere diversamente”, la speranza di poter organizzare l’opposizione alle conseguenze negative dei fallimenti del capitalismo può essere coltivata con successo. Se tra queste ultime prevarranno quelle propense al cambiamento, per realizzarlo, esse dovranno muovere da due presupposti: il primo “è che la crisi del capitalismo e la crisi ecologica sono due eventi che non si possono affrontare separatamente”; mentre il secondo è costituito dal fatto che tali eventi implicano una distribuzione delle risorse che procede dal “basso verso l’alto”, causando in tal modo una crescente concentrazione della ricchezza nella mani di un numero di persone sempre più ristretto.
Muovendo dai due presupposti descritti, il momento decisivo per le nuove generazioni sarà quello di tracciare un “sentiero” che consenta di muovere “nella direzione giusta, quella che nel giro di qualche decennio […] dovrebbe portare il viandante, tutti noi, a superare insieme il capitalismo e la crisi economica”, contribuendo a realizzare le necessarie trasformazioni radicali che si renderanno necessarie. Quali? Gallino non ha dubbi al riguardo.
Innanzitutto, occorrerà togliere “alle banche il potere di creare denaro e la possibilità di diventare troppo grandi”, prevedendo in “quali modi e con quali strumenti istituzionali lo Stato potrebbe intervenire per sostenere lo sviluppo di nuove tecnologie e settori industriali che i privati da soli non riuscirebbero mai a lanciare”. In secondo luogo, occorrerà realizzare una distribuzione più equa del reddito, orientando l’equità verso una maggior produzione di “valori d’uso”, rivolti al sostegno dei più impellenti bisogni eistenziali, rispetto alla produzione di “valori di scambio”, rivolti unicamente alla produzione di profitti o di rendite parassitarie. In terzo luogo, occorrerà sostenere il perseguimento del risultato con un miglior uso delle risorse, ora impegnate per la conservazione del status quo, e con l’avvio di una politica che si opponga al capitale; ciò richiederà l’appoggio elettorale di un nuovo “soggetto politico”, del quale a sinistra si attende da tempo l’arrivo”, la cui origine sia riconducibile a un’organizzazione unitaria dei gruppi protestatari. Tale soggetto potrebbe “contribuire a raccogliere un numero assai più elevato di consensi di quanto oggi non sia dato immaginare”.
Gallino conclude il suo “messaggio” alle nuove generazioni, suggerendo anche una soluzione alternativa a quella implicante il superamento del capitalismo; ammesso – egli afferma – che il capitalismo possa essere “sostituito in blocco con un sistema diverso”, il nuovo soggetto potrebbe quantomeno tentare di ricondurre il capitalismo “entro argini che limitino la sua attività predatoria, pur continuando a guardare alla meta lontana di un suo superamento”.
La realizzazione dell’obbiettivo di fondo tracciato da Gallino richiede, come egli stesso riconosce, un insieme di mutamenti radicali, destinati a cambiare, oltre che il modo di lavorare e di consumare, l’organizzazione complessiva dei sistemi economico e di quello politico. Sul nome da dare all’insieme di questi mutamento radicali, egli accusa un evidente imbarazzo, causato dal fatto che la letteratura sull’argomento suggerirebbe una “pletora di proposte adottando le quali non si traccerebbe nessun sentiero, e altre che più che sentieri da tracciare camminando, paiono autostrade da aprire a forza di utopiche ruspe”, come se il sentiero da lui stesso indicato possa essere percorso senza l’aggiunta di caterpillar.
Al sentiero che si dovrebbe percorrere, per il superamento dell’iniquità del capitalismo neoliberista e della stupidità di suoi sacerdoti, Gallino non riesce quindi a dare un nome: non quello di “rivoluzione”, perché è un termine che la storia “ha caricato di troppe ombre”; non quello di “ecosocialismo”, perché termine “che fa pensare a riforme in senso socialista verniciate di verde”, mentre il cambiamento deve mirare a un traguardo “molto più vasto”; non quello di “grande trasformazione”, perché espressione, originariamente introdotta da Karl Polanyi, con la quale si designava “l’asservimento al mercato capitalistico della società occidentale effettuato da politica e ideologia del liberalismo nel corso dell’Ottocento e della prima metà del Novecento”.
Strana e incomprensibile l’affermazione liquidatoria di Gallino riguardo all’analisi critica del liberalismo fatta dal filosofo, antropologo ed economista austriaco alla fine della prima metà del secolo scorso; negli ultimi anni, di fronte agli esiti negativi del processo neoliberista di globalizzazione delle economie nazionali, il pensiero di Polanyi è stato riscoperto e riproposto, soprattutto per la critica in esso contenuta della visione antropologica del liberismo in generale: quella che rifiuta il carattere di mutazione culturale, prima ancora che economica, che esso ha introdotto nella storia dell’uomo e del mondo. Una mutazione che, secondo i liberisti, avrebbe affrancato l’uomo dagli impedimenti alla sua autorealizzazione, a causa della pervasività dello Stato nella regolazione dell’economia; mentre, secondo Polanyi, essa comportava, in realtà, solo il rischio di una degradazione dell’intera società.
Da questo punto di vista, il pensiero di Polanyi, costituisce quanto di meglio possa essere proposto alle nuove generazioni: non per “cacciarsi nel cul de sac” di un sentiero percorso con la bussola della “ragione oggettiva”, all’inseguimento di fini ultimi, la cui difficile realizzazione avrebbe solo l’effetto di frustrarle e di ridurle all’inazione; ma per motivare le nuove generazioni all’impegno politico e sociale di ricondurre il capitalismo “entro argini che limitino la sua attività predatoria, nel segno di una ragione soggettiva”, resa responsabile da un riformismo continuo in grado di riproporre una società nella quale, come è accaduto nei “trent’anni gloriosi” del secondo dopoguerra, ogni generazione possa vivere ed operare nella certezza di lasciare alla generazioni successive un mondo migliore del proprio.
Nota biografica (Wikipedia)
Luciano Gallino (Torino, 15 maggio 1927 – Torino, 8 novembre 2015) è stato uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. Era considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono stati la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale, le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia, gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.
La sua formazione sociologica iniziò presso l’Olivetti di Ivrea (Piemonte), per volontà dell’ingegnere Adriano Olivetti. Nel 1956, infatti, venne chiamato a collaborare all’Ufficio Studi Relazioni Sociali costituito presso la Olivetti - struttura di ricerca aziendale inedita in quel periodo in Italia - e successivamente, dal 1960 al 1971, ricoprì la carica di direttore del Servizio di Ricerche Sociologiche e di Studi sull’organizzazione (SRSSO), ulteriore articolazione dell’ufficio Studi Relazioni Sociali. Nella struttura aziendale, il SRSSO faceva capo alla Direzione del Personale e dei Servizi sociali, di cui fu responsabile per lungo tempo Paolo Volponi. Dopo il 1971 lasciò il SRSSO dell’Olivetti, ma continuò a collaborare con l’azienda, come consulente, almeno fino al 1979.
Dopo aver ottenuto una libera docenza in sociologia nel 1964, divenne Fellow Research Scientist del Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences di Stanford (California). Dal novembre 1965 al 1971 fu professore incaricato presso la Facoltà di Magistero e la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino. Successivamente, dal 1971 al 2002, fu professore ordinario di sociologia alla Facoltà di Scienze della Formazione della stessa Università, della quale fu professore emerito fino alla scomparsa. Tra il 1968 e il 1978 fu direttore dell’Istituto di Sociologia di Torino, una delle prime strutture di ricerca in questo ambito disciplinare costituite nell’università italiana. Dal 1999 a fine 2002 fu direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione e della Formazione. In tale ruolo promosse lo sviluppo di un centro specializzato nello studio e nella realizzazione di corsi orientati alla “Formazione aperta/assistita in rete”. D’altra parte, sin dagli anni ottanta fece parte, quale rappresentante dell’ateneo torinese, del Comitato Scientifico del CSI Piemonte, ricoprendo, dal 1990 al 1993, la carica di presidente. Fondò e presiedette dal 1987 al 1999 il Centro di Servizi Informatici e Telematici per le Facoltà Umanistiche dell’Università di Torino, che sin dai primi anni novanta ha messo a disposizione Internet a studenti e docenti.
Parallelamente alla sua attività di ricerca e d’insegnamento, ricoprì diverse e prestigiose cariche istituzionali. Dal 1979 al 1988 fu presidente del Consiglio Italiano delle Scienze Sociali. Dal 1987 al 1992 rivestì la stessa carica nell’Associazione Italiana di Sociologia. Fu socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia Europea e dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Diresse dal 1968 la rivista scientifica Quaderni di Sociologia.
Collaborò inoltre con autorevoli quotidiani nazionali, in particolare tra il 1970 e il 1975 con Il Giorno, dal 1983 al 2001 con La Stampa, e dal 2001 con la Repubblica. Fece parte del comitato scientifico della manifestazione Biennale Democrazia.
Dal 2007 fu responsabile scientifico del Centro on line Storia e Cultura dell’Industria, progetto che promuove la conoscenza della storia industriale e del lavoro del Nord Ovest italiano dal 1850 a oggi, con finalità didattiche.
Dal 2011 fu presidente onorario nonché presidente del Consiglio dei Saggi dell’AIS - Associazione Italiana di Sociologia.
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