Intervista a Alberto Asor Rosa di Fabrizio d’Esposito
il Fatto quotidiano 10 Ottobre 2015
Riportiamo l’intervista di Fabrizio D’Esposito ad Alberto Asor Rosa perché in essa c’è un’illustrazione ineccepibile della parabola discendente e del definitivo approdo a destra del più grande partito della sinistra italiana del secolo scorso, il PD.
Il professore Alberto Asor Rosa, icona degli intellettuali di sinistra, è stato il primo a usare la definizione di mutazione genetica nel linguaggio politico. Accadde nella Prima Repubblica, con il Psi di Bettino Craxi. Trent’anni dopo la stessa metafora scientifica accompagna, nella vulgata giornalistica, il Pd renziano nel suo grottesco viaggio verso la destra peggiore di questo Paese, quella degli ex berlusconiani Denis Verdini e Angelino Alfano, futuri inquilini o alleati del Partito del la nazione.
Professore, che cosa sta diventando il Pd di Renzi?
«Un partito nuovo che non ha più una base di massa, risponde al comando di un leader in contrastato e ha un gruppo dirigente conservatore di destra».
È una perfetta definizione accademica, senza fronzoli. Un partito di destra, nemmeno di centro.
«È un dato di fatto che l’attuale vertice del Pd ha escluso dal gruppo dirigente ogni erede della tradizione comunista, ma anche progressista o riformista. Sono tutti ex democristiani».
Una nuova Dc.
«No, perché ai vecchi democristiani non sarebbe mai venuto in mente di proclamare il Partito della nazione. L’obiettivo del Pdn è l’ulteriore perfezionamento in termini di destra di questa tradizione centrista, che non ha ritegno a considerare interlocutori Alfano e Verdini».
Risultato: Verdini non è il mostro di Loch Ness (Renzi dixit) ma Marino sì.
«La liquidazione di Marino può essere annoverata tra le molteplici iniziative di Renzi e del renzismo di avere sull’Italia un controllo totale. Quando questo controllo non c’è si ricorre all’aggressività».
Marino ci ha messo del suo.
«Il sindaco di Roma non ha rivelato quella tempra di condottiero necessaria, ma non ho dubbi che abbia prevalso, contro di lui, una spinta eversiva e catastrofica proveniente da tante parti».
Com’è possibile che il Partito di Loch Ness nasca a sinistra, anziché a destra?
«La risposta è facile. Per mettere in moto questo processo occorreva che la forza trainante fosse una parvenza di sinistra dietro cui nascondersi, altrimenti ci sarebbe stato un coro di sghignazzamenti, se non di manifestazioni di piazza».
Quindi il berlusconismo è stato meno pericoloso del renzismo.
«Sì, “Silviuccio” non era in grado di elaborare culturalmente una simile invenzione. E politicamente la piazza glielo avrebbe impedito».
A Renzi no, invece.
«Può fare quello che sta facendo perché il Pd è mutato nelle sue radici e la mutazione genetica ha investito anche i suoi elettori. Non dimentichiamo che lui arriva dopo una sequela pluridecennale di fallimenti del centrosinistra e la gente ha pensato: “Almeno questo fa qualcosa”».
Il fatidico 40 per cento alle Europee.
«Renzi ha un consenso vasto anche se il punto culminante del suo successo è già alle nostre spalle».
All’orizzonte c’è però l’autoritarismo della nuova Costituzione.
«Qualsiasi atto del presidente del Consiglio mira al restringimento della democrazia, in termini di spazi e di base del consenso. Contano solo i vertici del potere, dalle rappresentanze politiche al preside-manager della scuola. Per renzismo, intendo questo».
Combattere il renzismo dall’interno del Pd non sembra possibile.
Sulla minoranza del Pd, in questi giorni, mi sono venute in mente solo due parole».
Quali?
«Ridicola e penosa. Ridicola perché ha fatto ridere la battaglia su alcuni particolari della riforma Boschi. Penosa perché il risultato ha dimostrato che la minoranza non conta nulla. Poi ha superato anche il limite etico-politico perché non si è vergognata di votare con Verdini».
Fuori dal Pd c’è un deserto a sinistra?
Deserto mi pare eccessivo. Ci sono tanti pezzetti sparsi ma non c’è nessuno in grado di convogliare queste forze verso la stessa direzione.
Un effetto collaterale della mutazione genetica?
«Dalla crisi dei grandi partiti di massa nati dall’antifascismo e dalla Resistenza non c’è stata nessuna vera scintilla».
Come si qualifica una mutazione?
«Quando cambiano natura, vocazione e cultura».
Nel Pd renziano?
«Si parte dall’idea che i conflitti sociali siano dannosi per cui i sindacati diventano il nemici. Così la cultura della nazione impone una ratio comune che è quella del grande capitale e della grande finanza. Il terzo punto è il restringimento della democrazia. Il Partito della nazione, sviluppato sino in fondo, comprenderà anche Berlusconi e i berlusconiani, non solo Verdini e Alfano» .
1 commento
1 aldo lobina
14 Ottobre 2015 - 19:45
Sono d’accordo con Asor Rosa. Il PD è irriconoscibile come partito social democratico. E’ un pezzo del partito della nazione, cioè di quel partito che Renzi e Berlusconi (che Verdini non ha tradito) hanno pensato di realizzare nelle due Camere, utilizzando il consenso ricevuto da cittadini pur diversamente orientati . Tanto è vero che Renzi realizza progetti che Berlusconi stesso non si sarebbe neanche sognato di porre in essere. Due narcisisti, uno con grandi qualità imprenditoriali e non solo, l’altro senza qualità, fatta eccezione per le chiacchiere da imbonitore fastidiosissimo. Davvero il Paese - ma anche il PD - ha cambiato verso: è andato decisamente a destra.
Lascia un commento