Dove và la sanità in Italia?

20 Dicembre 2008
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Antonello Murgia

Io lotto insieme a coloro che questo male…vogliono distruggere, io prendo parte attiva, insieme con essi, alla vita politica del mio Paese. E non mi importa nulla se questi uomini coi quali mi associo si chiamano socialisti e se sono considerati come la feccia della società, insultati, vilipesi, temuti, perseguitati. A me basta che combattano per la verità e per la giustizia. A me basta che costituiscano quella forza che manca alla scienza per passare dal campo del sapere a quello del fare”.
(Tullio Rossi Doria: Medicina sociale e socialismo. Scritti per l’educazione politica ed igienica dei lavoratori. Mongini, Roma 1904).

La lunga strada verso la riforma sanitaria (parte I)

Ricordare la legge di riforma sanitaria 833/1978 oggi, a 30 anni dalla sua emanazione, non è un esercizio retorico. Non lo è soprattutto perché nel nostro Paese è in atto un attacco violento al diritto alla salute (come anche agli altri diritti fondamentali). Per poter declassare la salute da diritto a merce, affidata quindi alle leggi del mercato e con l’obiettivo non più dell’interesse collettivo ma del profitto privato, è necessario svalutare, mistificare, negare un percorso virtuoso che ha prodotto uno dei migliori sistemi sanitari al mondo. E allora, commemorare ha per me il senso di difendere la verità, di ripercorrere, pur a grandi linee, un processo fatto di partecipazione, di battaglie democratiche (v. ad es. l’art. 9 della Legge 300/1970 - Statuto dei lavoratori), di ricerca di un largo consenso (la L. 833/1978 fu votata da opposizione e Governo con l’eccezione dei soli liberali). Ed ha il senso di contrastare uno smantellamento del sistema che ci farebbe tornare indietro come minimo di 60 anni. L’attacco al diritto alla salute da parte del Governo attuale è rappresentato molto bene dal cosiddetto “libro verde” del ministro Sacconi. Rimando ad esso (e per chi volesse al mio relativo commento: “La vita buona nella società attiva” ovvero quanto ci vuole bene il ministro Sacconi) per un eventuale approfondimento.

Andando alla ricerca dell’idea di servizio sanitario come organismo per la tutela della salute dei cittadini, possiamo dire che tracce di essa erano già presenti nell’antica Roma (grandi acquedotti, fognature, servizi igienici e bagni pubblici, etc.). Fu poi intorno al 1400 che, per fronteggiare le devastanti epidemie di peste del Trecento, si cominciarono ad elaborare strategie più organiche, soprattutto di tipo igienico-preventivo, come l’imposizione della “quarantena” a chi arrivava dall’esterno, misure di igiene degli alimenti e degli indumenti, sorveglianza della prostituzione, etc.). Vennero creati i lazzaretti e poi gli ospedali, con il compito soprattutto di ridurre il contagio isolando i malati, stanti l’eziologia sconosciuta e la mancanza di cure valide per la gran parte delle malattie. Ed esattamente nel 1400 Gian Galeazzo Visconti, in fuga da Milano duramente colpita dalla peste, lascia al suo plenipotenziario l’incarico di istituire una sorta di Ufficio di sanità che viene poi istituzionalizzato nei decenni successivi dal figlio Filippo Maria Visconti1: è la nascita di un pur rudimentale servizio sanitario, che si estenderà poi agli altri Stati della penisola.
Tutto ciò per dire che il Servizio Sanitario come strumento della collettività viene da lontano, che anche nei periodi più bui ci furono, in questo campo, conquiste significative, spesso all’avanguardia rispetto agli altri Paesi. Per fare un esempio più vicino nel tempo, anche nel ventennio fascista di grave limitazione sia della libertà che di altri diritti fondamentali, ci furono importanti realizzazioni in campo sanitario quali la rete sanatoriale e dispensariale (che diede un contributo importante nella lotta contro la tubercolosi), l’istituzione dell’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro: Regio decreto 6 luglio 1933 n. 1033) e dell’INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale: Regio decreto 4 ottobre 1935 n. 1825). Argomento, questo, utile soprattutto in una fase politica come quella attuale, di privilegio della governabilità sulla democrazia, per discutere di priorità fra i diritti, dell’efficacia di scelte tecniche condivisibili, ma concomitanti ad altre che restringono gli spazi di libertà, informazione e partecipazione.

Giovanni Berlinguer nella “lezione magistrale” tenuta il 6 marzo 2008 in occasione dell’apertura della nuova sede del Ministero della Sanità2, ricorda il grande medico Rudolf Virchow che, chiamato dal Governo prussiano nel 1848 a combattere un’epidemia di tifo, capì la correlazione tra la malattia e le pessime condizioni di istruzione, igiene ed economiche della popolazione.
Una riforma sanitaria importante avvenne anche a fine 1800, per l’esattezza nel 1888. Essa migliorò notevolmente soprattutto la normativa in campo igienico e fu preparata da provvedimenti importanti quali la fondazione nel 1878 della Società di Igiene, l’istituzione nel 1887 della Direzione Generale di Sanità Pubblica (seppure collocata ancora nel Ministero dell’Interno), una maggiore delineazione della figura del medico condotto (già rappresentata “in nuce” nella Roma di Antonino Pio e poi meglio caratterizzata nell’Italia dei Comuni e soprattutto in quella napoleonica). La riforma del 1888 è degna di nota anche perché con si compie un passaggio non trascurabile e cioè il ruolo del medico nella promozione della salute collettiva. Mentre nel 1400 il mondo medico della penisola, che pure come pratica clinica era allora all’avanguardia, era rimasto sostanzialmente estraneo all’istituzione degli Uffici di sanità perché arroccato in gran parte in una medicina individualista ed elitaria (preoccupato più dei propri guadagni che delle necessità collettive), a fine 1800 aveva assunto il ruolo di avanguardia. Mentre il merito dell’approccio preventivo del 1400 è ascritto dagli storici all’efficiente apparato amministrativo degli Stati Italiani di quel periodo3, alla fine del 1800 sarà il mondo medico che costituirà l’ossatura del nuovo Servizio Sanitario e che farà da pungolo ad una burocrazia poco dinamica per recuperare il ritardo che l’Italia aveva a quel punto accumulato in sanità rispetto agli altri Paesi europei (anche per l’assenza fino a poco prima di uno Stato unitario).
Altro elemento che ha contribuito a creare quel clima culturale che porterà all’elaborazione di una legge avanzata come la 833/1978 fu la Costituzione del 1948, che all’art. 32 recita “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Una Costituzione pensata, come risulta anche dall’articolo 32, per impedire il ripetersi dell’orrore nazifascista (compresa la collaborazione di medici alle atrocità), nata, come ci hanno ricordato Giuseppe Dossetti e più recentemente Valerio Onida4, sulla scia del discorso delle quattro libertà di Roosevelt (1941) e coetanea della dichiarazione di Ginevra dell’Associazione Medica Mondiale e della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948). Da lì deriva un’idea di Costituzione che non vuole essere un mero strumento di regolazione della vita di una comunità locale, ma vuole affermare i diritti inalienabili di ogni essere umano, di qualsiasi parte del mondo, colore, religione, fede politica o censo. E da lì deriva il riconoscimento della salute come diritto fondamentale, il rifiuto di trattamenti sanitari imposti, l’inviolabilità del rispetto della persona umana.
Piantati i paletti principali, seguì un trentennio di gestazione nel quale furono emanate diverse leggi che prepararono il terreno alla grande riforma. Tra esse mi sembra opportuno ricordare:
- la Legge 132/1968 (“legge Mariotti”) che istituiva gli Enti Ospedalieri e ne regolamentava le attività e la gestione, anche se non ancora con le norme di efficienza che verranno diversi decenni dopo (valutazione dei costi standard e pagamento a DRG);
- la Legge 386/1974 (conversione in legge del D.L. 264/74) che avviava il commissariamento delle Mutue e trasferiva alle Regioni l’assistenza ospedaliera fino ad allora erogata dagli Enti previdenziali; il trasferimento verrà poi completato ad opera delle leggi 382/75 e 349/77 (che sopprime definitivamente le mutue). Iniziava così l’abbandono di un sistema in cui il diritto alle prestazioni dipendeva dall’iscrizione, su base lavorativa, ad un Ente di previdenza, e ci si avviava verso il riconoscimento della salute come diritto universale. Il commissariamento, che fu tentato già nel 1948, ma senza esito per resistenze soprattutto di tipo clientelare, fu facilitato dalla necessità di ridurre un disavanzo delle mutue che era divenuto una voragine: per dare un’idea, venne calcolato che il totale delle persone che risultavano assistite dalle mutue era superiore di oltre 15 milioni alla popolazione italiana complessiva. Un dato, questo, che dovrebbe far riflettere gli attuali “smemorati” sostenitori della privatizzazione del SSN: un servizio unico pubblico si sostituì alla miriade di mutue di tipo privatistico, con il risultato di produrre una tutela della salute molto più efficace a costi molto più bassi;
- la Legge 180/1978 (“Legge Basaglia”) che disponeva la chiusura dei manicomi favorendo il recupero ed il reinserimento nella società dei malati di mente. Per dare un taglio all’idea di manicomio come luogo di separazione e di espiazione (senza peraltro aver commesso alcun reato) da allora i malati di mente che necessitano di ricovero vengono assistiti negli SPDC (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura) che non possono esistere come strutture a se stanti, ma devono obbligatoriamente essere inseriti negli Ospedali generali.

Note:

G. Cosmacini: Storia della medicina e della sanità in Italia - Ed. Laterza, 1987;

G. Berlinguer: Corsi, Ricorsi e Prospettive della Sanità Pubblica www.g-berlinguer.it/index.php?option=com_content&task=view&id=175&Itemid=54

 

C.M. Cipolla: “Origini e sviluppo degli Uffici di sanità in Italia” in Annales Cisalpines d’histoire sociale; 1973, serie I, n. 4
V. ONIDA: La Costituzione ieri e oggi: la “internazionalizzazione” del diritto costituzionalehttp://www.astrid-online.it/Dossier–r/Studi–ric/60-anni-de/onida.pdf

 

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