Francesco Cocco
Il risultato elettorale in Abruzzo e la vicenda della Campania sono la conferma della strada rovinosa intrapresa dalla sinistra. Una sorta di cupio solvendi che occorre superare al più presto se si vuole impedire la grave degenerazione istituzionale in atto, il cui naturale sbocco è un regime autoritario, e con esso la fine della democrazia. La sinistra deve saper ritrovare la sua unità, che non è un vuoto slogan se a sorreggerla è un sistema di comuni valori aggreganti.
E’ vero che, dopo la crisi dei primi anni Novanta, molto è cambiato, che sono caduti miti e illusioni legati talvolta a modelli estranei alla nostra tradizione nazionale. Però è altrettanto vero che in oltre un secolo di lotte è stato creato un sistema di valori ai quali riallacciarci per uscire dalla stagnazione e riprendere un cammino positivo. In fondo è sostanzialmente su questo sistema di valori che anche a sinistra avviene lo scontro politico e si gioca la democrazia. L’avversario passa non per la sua intrinseca forza ma per la nostra debolezza..
Proverò a richiamare, a mo’ d’esempio, qualcuno di quei valori. Inizierò dal disinteresse personale nell’amministrare la cosa pubblica che doveva caratterizzare il rappresentante di un partito di sinistra nelle istituzioni. Emilio Lussu diede a tal proposito esempi illuminanti che dovrebbero essere tenuti ben presenti.
E’ un valore da giudicare superato? Molti a sinistra sembrano pensare che lo sia visti certi comportamenti diffusi e la stessa possibile commistione tra affari pubblici e privati sancita persino a livello di norma giuridica.
Si può pensare al superamento di un tale principio ma alla fine il risultato è la disaffezione del corpo elettorale. E sarebbe ancora poca cosa se l’esito finale non fosse poi la totale scomparsa del più elementare senso di bene comune e il progressivo accaparramento per bande della cosa pubblica, propria di certi paesi dell’America del Sud e del Centro-Africa. La scarsa attenzione, che da qualche tempo va emergendo su questo principio, la dice lunga sul venir meno di una bandiera che generava la diffusa fiducia del corpo elettorale verso gli eletti di sinistra. .
Altra regola era il rifiuto dell’infeudamento personale. Il militante di un partito del movimento operaio non poteva accettare di essere un mero supporter di un qualche leader. La sua militanza era essenzialmente al servizio di una causa e non di un singolo dirigente. Questo non significava il rifiuto di simpatie e sostegni che però trovavano il loro limite nel richiamo ad una causa comune. Era una caratteristica collegata al processo di crescita democratica che ha caratterizzato l’Italia sino agli anni Ottanta. Oggi esso è appannato da forme di acritica soggezione personale, spesso suggerite da ancor più negative forme di clientelismo e di cortigianeria. In passato non mancava la figura del “capo”, che però nasceva da rigorosi processi di selezione, fondati sulla capacità e la dedizione e non certo sul censo. Da oltre un ventennio si è sostanzialmente interrotto in Italia il processo di costruzione della democrazia. Il sorgere dei partiti azienda, fondati o acquistatati in varie forme da magnati, hanno finito per generare una regressione verso forme di feudalesimo politico.
Altro principio era la dimostrazione di capacità e fedeltà al ruolo . Chi era chiamato ad una funzione di rappresentanza istituzionale doveva avere dato in precedenza concrete dimostrazioni di meritare l’incarico. Pertanto si era designati ad un ruolo politico od istituzionale non per una sorta di diritto proprio ma in funzione del “servizio alla causa”. Non era quindi possibile certo accaparramento di incarichi di partito e istituzionali. Nella migliore delle ipotesi questo processo ha finito per ridurre quel che rimane dei partiti a semplici comitati elettorali, che non di raro si trasformano in comitati d’affari e di potere.
Per brevità ho voluto indicare solo qualche principio il cui ripristino potrebbe restituire dignità a quel che residua delle antiche aggregazioni partitiche. Non si tratta di richiamare in vita partiti storici, piuttosto di far rivivere un sistema di valori che è nel miglior patrimonio ideale della sinistra italiana. Patrimonio potenziale, aggiungo, perché non pare scontato che esso lo sia per tutti, come dimostrano i tanti interventi sulla stampa, compresi questi nostri blog. Perché esso torni ad essere pienamente il comun denominatore occorre che da parte di tutti vi sia volontà di dialogo. I tanti fastidi reciproci che vedo palesarsi, con conseguenti contumelie, dimostrano che il cammino da percorrere è lungo.
Forse non è sufficiente neppure il dialogo. Occorre uno sforzo in più: la ricerca delle ragioni dell’altro. E’ necessario porsi in posizione di ascolto e disponibilità a recepire le motivazioni quando esse non nascono da puro tornaconto personale. Dopo aver esperito tutti i possibili tentativi di costruire questo comun denominatore di valori, solo allora si sarà legittimati alle necessarie distinzioni di schieramento.
3 commenti
1 Gianluca Scroccu
23 Dicembre 2008 - 12:26
Grazie a Francesco per le sue dense ma soprattutto profonde riflessioni. Sottoscrivo in pieno il suo appello finale alla ricerca delle ragioni dell’altro e all’ascolto reciproco per creare un comune denominatore di valori.
2 GIORGIO COSSU
24 Dicembre 2008 - 17:32
Non solo ascolto ma ricerca degli altri quelli delusi e messi ai margini, per non dipendenza, di un partito somma di gruppi, che non cerca soluzioni attraverso il dibattito e il contributo di competenze diverse, con la ricerca del consenso, la condivisione partecipata di scelte. Mi sorprende che Gianluca oggi sottoscriva dopo le diverse accettazioni di SORU, che intende un partito controllato anche in minoranza, che non discute a nessun livello, persino imponendo scelte in materie non politiche come l’architettura, con HERZOG a MONTEPONI, su cui T.DESSI’ chiese, in 19 quesiti, conto di inquinamento, analisi e costi. Come ha imposto con una Commissione politica su quella scientifica di soli urbanisti le scelte finali del PPR, come ha fatto con il PRTS per il turismo in cui non c’è una scelta per la soluzione dei problemi, sottoutilizzazione, stagionalità, assenza stranieri tutte collegate ad una carenza di servizi e integrazione dell’offerta, e delle potenzialità del settore proprio per fermare l’edilizia e l’utilizzo e la privatizzazione del territorio. L’unica proposta contenuta nelle conclusioni è ancora un Osservatorio per il Paesaggio, mentre nelle tesi si sostiene il turismo interno, negli alberghi diffusi.
Se non esiste pluralismo “convergente” nelle istituzioni, nei programmi e nei progetti sempre meno le scelte possono essere valide, non si consente neppure alla politica di esprimere idee e contributi aggravando la crisi “strutturale” di qualità, competenze ed etica dei partiti.
3 baseresti
22 Dicembre 2015 - 14:58
Questo intervento è decisamente scritto come si deve, nello stesso modo in cui tutto il il blog
(https://www.democraziaoggi.it) . Son un fan, ottimo lavoro.
maggiori suggerimenti sono presenti a questo blog
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