Al fine di favorire la comprensione e la rifllessione dello scontro in atto al Senato, pubblichiano due interviste, una di Repubblica e la seconda di Libertà e giustizia, ad Alessandro Pace, già docente nella Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari, direttore della rivista Giuripruduenza costituzoinale. L’autorevole costituzionalista è netto: “Se Palazzo Madama mantiene funzioni legislative deve per forza essere elettivo, sennò sarà bocciato dalla Consulta”
di LIANA MILELLA
da Repubblica 2 settembre 2015
ROMA. Il costituzionalista Alessandro Pace non ha dubbi: “La riforma del Senato non può restare com’è adesso”.Cosa bisogna fare? Lasciare la versione della Camera o riaprire la possibilità di cambiare l’articolo 2?
“Bisogna riaprire senza alcun dubbio la partita degli emendamenti, per una duplice ragione. Primo, perché c’è già un parere della giunta del regolamento della Camera del 1993 presieduta da Napolitano, che decise l’ammissibilità di un emendamento soppressivo di quanto votato in precedenza dalle due Camere trattandosi di una modifica dell’articolo 68 della Costituzione “.E lei trova delle similitudini tra il caso attuale e quello del ‘93?
“Certamente sì. Perché, in entrambi i casi, si tratta di revisioni costituzionali. In occasione dell’emendamento del ‘93 si sottolineò che la norma regolamentare sugli emendamenti delle leggi ordinarie non potesse applicarsi a quelle costituzionali. Nel caso attuale è ammissibile un emendamento totalmente modificativo di quello che ha approvato la Camera”.Ne fa solo una questione di regolamenti oppure di sostanza?
“Di sostanza, e anche di più. Così come l’articolo 2 del ddl Renzi-Boschi è stato formulato andrebbe senz’altro incontro alla declaratoria di incostituzionalità, in quanta la Consulta, già nella sentenza 1.146 dell’88, ha affermato che anche le leggi costituzionali non possono violare i principi costituzionali supremi, tra i quali, in questo caso, la sovranità popolare”.Mi faccia capire bene: se la riforma dovesse passare così com’è adesso potrebbe essere stoppata dalla Consulta? E perché?
“Se al Senato si dovesse confermare la funzione legislativa, ma non gli si riconoscesse l’elettività, ciò urterebbe contro l’articolo 1 dell’attuale Costituzione che, proclamando la sovranità popolare nelle forme e nei modi da essa previsti, indirettamente riconosce ai cittadini il diritto di eleggere i parlamentari ai quali sia demandato il compito di approvare le leggi, che i cittadini stessi dovranno rispettare. Ciò è stato confermato dalla Consulta nella sentenza del 2014 relativa al Porcellum”.
Ma se al Senato si attribuisse la funzione legislativa, non gli si dovrebbe altresì far votare la fiducia al governo?
“No, per due ragioni. La prima è che la doverosa elettività del Senato discende, come già detto, dall’articolo 1 della Costituzione. Mentre la titolarità del rapporto fiduciario a un sola delle Camere è una libera scelta del legislatore costituzionale. Che però, in questo caso, ha un notevole fondamento politico-costituzionale, in quanto mentre la Camera ha la rappresentatività generale dei cittadini italiani, il Senato rappresenterebbe soltanto gli enti territoriali “.
Ed ecco ora l’intervista apparsa su Libertà e giustizia
“Renzi è intollerante a garanzie e contropoteri”
Il pacchetto delle riforme costituzionali è nato sotto una costellazione confusa: mille tira e molla, voltafaccia, modifiche su singoli punti nate da trattative plurilaterali. Il caos ha indotto i più a pensare a faciloneria, scarsa dimestichezza con la materia, fretta soprattutto. E se invece dietro il disordine ci fosse un disegno consapevole? “A mio avviso è ben chiara l’idea di concentrare i poteri nella Camera dei deputati e, in definitiva, nella coalizione di maggioranza”, spiega Alessandro Pace, professore emerito di Diritto Costituzionale alla Sapienza di Roma.
Partiamo dalla madre di tutti i guasti: la legge elettorale.
L’Italicum, con l’abnorme premio di maggioranza, riproduce nella sostanza il Porcellum bocciato dalla Consulta. L’altro aspetto, unanimemente criticato, riguarda la disparità di trattamento dei partiti rispetto alle coalizioni, che si risolve di fatto nell’impedimento alla partecipazione alle elezioni dei partiti che non raggiungano l’8 per cento. Non solo: la trasformazione dei voti in seggi non si produce nelle circoscrizioni dove si vota, ma nell’ufficio centrale circoscrizionale, per cui sarà un diverso candidato a beneficiare di quel voto. Detto ciò, se analizziamo il ddl costituzionale Renzi-Boschi alla luce dell’Italicum, che garantisce il premio di maggioranza (pari a 340 deputati) a una coalizione ancorché assai lontana da quel traguardo, ci avvediamo della gravità delle conseguenze.
Che sarebbero?
Fino a ieri, in forza del testo originario del ddl Renzi-Boschi, la coalizione di governo, già dal quarto scrutinio, avrebbe potuto disporre della maggioranza sufficiente di 366 parlamentari (26 senatori oltre ai 340 deputati) per eleggere anche il presidente della Repubblica. Grazie al sub-emendamento Gotor, questa possibilità è stata spostata al nono scrutinio: un traguardo lontano, ma non impossibile, sempre che la maggioranza resti rigidamente inquadrata dopo le molte votazioni. Invece non sarebbe affatto difficile, per la coalizione di governo, riuscire a eleggere tutti e i cinque i giudici costituzionali, date le maggioranze politiche attualmente esistenti nei consigli regionali. Infatti l’articolo 31 del ddl Renzi-Boschi (diversamente dall’attuale articolo 135 della Costituzione) non prevede esplicitamente che i giudici costituzionali debbano essere eletti dal Parlamento in seduta comune. Per cui, verificandosi l’abrogazione implicita (“per nuova disciplina della materia”) dell’articolo 5 della legge costituzionale n. 2 del 1967 che disciplinava il voto nel Parlamento in seduta comune, basterebbe la maggioranza relativa per la loro elezione sia alla Camera (tre giudici) che al Senato (due giudici ).
Qual è il disegno di Matteo Renzi secondo lei?
Il disegno iniziale portato avanti da Renzi – da un lato una Camera dei deputati al centro del sistema dominata dalla coalizione di governo grazie all’Italicum, dall’altro un Senato non eletto dal popolo, i cui componenti sarebbero sindaci e consiglieri regionali part time – ha trovato qualche ostacolo in commissione. Tuttavia le materie nelle quali la funzione legislativa è esercitata collettivamente da Camera e Senato sono poche. Per il resto, le altre competenze legislative che il “nuovo” art. 70 attribuisce al Senato sono più illusorie che effettive perché sono comunque superabili dal voto contrario della Camera, semmai a maggioranza assoluta, che è un obiettivo tutt’altro che irraggiungibile grazie all’Italicum.
Oltre a ciò il Senato non sarebbe elettivo.
Il fatto che le materie di competenza legislativa siano poche e il voto del Senato sia superabile da parte della Camera non esclude che quelle approvate dal Senato – tra cui le modifiche della Costituzione! – siano leggi a tutti gli effetti. Se ciò è vero, è altrettanto vero che il ddl Renzi-Boschi viola un principio basilare dello Stato di diritto secondo il quale le leggi le fanno i rappresentanti diretti del popolo e non delle persone elette ad altri incarichi che fanno i senatori part time. Né l’elezione indiretta da parte dei Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome risolverebbe il problema. Ma c’è dell’altro…
Cioè?
Il secondo comma del primo articolo della Carta dice che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Ne discende chi i poteri pubblici sono sempre essenzialmente limitati. Diminuire radicalmente le funzioni del Senato oltre a eliminarne l’eleggibilità significa che il Senato non potrà più svolgere il suo ruolo di contropotere della Camera. E ciò urta contro un altro principio fondamentale, proprio delle democrazie pluraliste, la necessità dei contro-poteri. Una siffatta concentrazione di potere in capo ad un solo organo e a una sola coalizione (per non dire in capo ad un solo partito e al suo leader) è impensabile in una democrazia liberale. Lo affermò esplicitamente lo stesso Presidente Napolitano nel suo bellissimo discorso per il 60° anniversario della Costituzione, allorché prese le distanze dal semipresidenzialismo francese, di cui lamentava l’assenza di contropoteri. Ebbene una delle caratteristiche di quel sistema è il criticatissimo “voto bloccato”, che – guarda caso! – è stato previsto, ciò nondimeno, nel ddl Renzi-Boschi.
E l’immunità dei senatori?
Se il Senato resta elettivo, ai suoi componenti competono insindacabilità e immunità. Altrimenti dovrebbe restare soltanto l’insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle proprie funzioni. Cosa pensa della proposta di innalzare la soglia minima di firme necessarie per la legge d’iniziativa popolare da 50mila a 250mila?
È sbagliata. Si giustifica tale restrizione sostenendo che verrebbero garantite a tali proposte di legge “tempi, forme e …limiti”. Il che è uno specchietto per le allodole, in quanto serve nel frattempo a non agevolare (come dovrebbe) ma a limitare l’iniziativa legislativa popolare, violando così, ulteriormente, l’articolo 1 della Costituzione che proclama la sovranità popolare.
Ma se questa cosa l’avesse fatta Berlusconi?
Saremmo tutti quanti saltati per aria. Renzi ragiona come se le maggioranze siano destinate a rimanere invariate per l’eternità. Ma sbaglia, questo non lo può non sapere.
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